Integrated Concurrent Engineering: metodi avanzati di collaborazione

Per una società di ingegneria mia cliente, mi è recentemente capitato di approfondire il concetto di Ingegneria Simultanea Integrata (in inglese ICE – Integrated Concurrent Engineering) e ne ho recentemente parlato nel modulo BIM.ProjectCoordination del percorso di Project Management per il BIM proposto da CLEX Academy per questo strano strano autunno che ci attende. Si […]

Per una società di ingegneria mia cliente, mi è recentemente capitato di approfondire il concetto di Ingegneria Simultanea Integrata (in inglese ICE – Integrated Concurrent Engineering) e ne ho recentemente parlato nel modulo BIM.ProjectCoordination del percorso di Project Management per il BIM proposto da CLEX Academy per questo strano strano autunno che ci attende.

Si tratta di un metodo di integrazione che discende da NASA e dalla sua Collaborazione Estrema (Extreme Collaboration – XC), parte quasi imprescindibile dei processi di Virtual Design and Construction. Ho sempre trovato che abbia troppa poca diffusione in Europa e il materiale a disposizione on-line è decisamente scarso, ma ha altissime potenzialità per il miglioramento della comunicazione e del lavoro di progettazione integrata.

– ICE è l’acronimo di Integrated Concurrent Engineering: non facciamoci prendere dall’entusiasmo, perché la Regina delle Nevi non c’entra nulla (un po’ come non c’entra nulla in questo cartone).

Integrated Concurrent Engineering (ICE) is a social method, helped by technology, to create and evaluate multi-discipline, multi-stakeholder VDC models extremely rapidly.

John Kunz, 2004

1. ICE what?

I – Integrated. L’integrazione è uno dei principi chiave del metodo e delle “sessioni ICE” che lo veicolano: si parla qui di integrazione tra le discipline coinvolte nel processo di costruzione, e che devono lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo.

C – Concurrent. Anziché svolgere i lavori in modo sequenziale, il flusso di progettazione viene portato avanti in modo simultaneo, contemporaneo, attraverso – appunto – le sessioni. Il lavoro simultaneo consente una migliore integrazione tra le discipline.

E – Engineering. Il metodo adotta un approccio ingegneristico al lavoro, ovvero la capacità di individuare i problemi e di sviluppare soluzioni progettuali come risposta al problema individuato.

Roba per soli ingegneri, quindi?

Assolutamente no. La “E” di ICE suggerisce l’approccio orientato alla risoluzione di problemi, che è forse l’espressione più alta dell’ingegneria. An Engineer Imagines, di Peter Rice, è una delle testimonianze più interessanti di questo approccio da parte di una delle figure più illustri del nostro tempo.

– L’ingegneria è la capacità di sviluppare soluzioni per fronteggiare problemi.

2. Extreme Collaboration on ICE

Obiettivi principali perseguiti dal metodo sono favorire le decisioni e migliorare la comunicazione, sfruttando al meglio le migliori tecnologie a disposizione.

Come anticipavo, il metodo nasce dalla Extreme Collaboration (XC), che nasce in seno al Jet Propulsion Laboratory NASA (per approfondimenti sulle origini del metodo, consiglio questo articolo di Gloria Mark). Il metodo vede lo svolgersi di sessioni di lavoro contemporaneo in quelle cui ci si riferisce come war rooms, stanze di guerra, e in generale l’organizzazione di eventi di gruppo che favoriscano la comunicazione tra i dipartimenti e le discipline coinvolte nella progettazione.

Facebook ha recentemente divulgato alcune fotografie di quella che dovrebbe essere la sua War Room per il controllo dei contenuti e la lotta alla disinformazione (trovate ad esempio un articolo sul Corriere a questo indirizzo).

– Se la vostra War Room è più ordinata di così, state sbagliando qualcosa: una War Room non è una sala riunioni, ma è uno spazio aperto di lavoro contemporaneo.

Prima ancora di arrivare alle sessioni ICE, l’implementazione di un ambiente che sia favorevole alla Collaborazione Estrema può essere opera non da poco. Nel 2017, Gartner ha identificato sei buone pratiche per la creazione dei presupposti giusti (li trovate narrati anche in questo articolo), ovvero:

  1. Favorire l’uso di spazi virtuali e web-based per la collaborazione durante il lavoro quotidiano;
  2. Sfruttare il valore della dipendenza che si crea quando le persone si abituano a comunicare quasi in tempo reale (“Near-Real-Time Communication Addiction“, nelle parole di Gartner);
  3. Utilizzare il crowdsourcing e strumenti di comunicazione popolari come i Social Media per favorire la collaborazione e la nascita di comunità dinamiche: il discorso è strettamente collegato alla creazione e all’implementazione di un Corporate Social Network di successo, che però meriterebbe un discorso a parte, ma ogni volta che organizziamo un aperitivo di condivisione del lavoro e ciascuno si occupa di portare qualcosa, stiamo mettendo inconsapevolmente in atto questo principio;
  4. Modificare i sistemi di ricompensa per incoraggiare la collaborazione, un punto sul quale il game design potrebbe aiutarci moltissimo;
  5. Utilizzare strumenti di analisi delle comunicazioni per misurare il comportamento collaborativo dei team;
  6. Organizzare eventi di gruppo per, ad esempio, avviare la comunicazione e la collaborazione in tempo reale sul progetto
– Gli eventi di gruppo sono naturalmente intesi come sessioni di lavoro, e non le discutibili iniziative di “team binding” che spesso vengono proposte in loro vece (magari chiamandole erroneamente “team building”).

3. Sessioni ICE

Per funzionare, le sessioni ICE dovrebbero essere sessioni multidisciplinari, pianificate con estrema cura, che vedono il lavoro simultaneo delle discipline coinvolte con l’obiettivo di vederne l’integrazione in tempo reale, spesso tramite lo sviluppo iterativo di più opzioni, e di prendere delle decisioni relative al progetto.

4. Benefici?

I benefici vengono quantificati in termini di tempo, integrazione e qualità e chiaramente il tempo, esattamente come accade per il LEGO Serious Play o per gli eventi di retrospettiva dello Scrum, è il primo argomento da affrontare perché sarà anche la prima obiezione che riceverete: chi non è abituato a valorizzare la creazione collettiva di soluzioni, potrebbe vedere le sessioni ICE come una perdita di tempo.

– Quando non abbiamo tempo per lavorare bene, di solito, è perché stiamo lavorando male.

4.1. Tempo

In termini di tempo, le sessioni ICE favoriscono la riduzione del lavoro di riprogettazione, perché il lavoro viene svolto in stretta collaborazione con le altre discipline e le iterazioni sono immediate, immediatamente validate e immediatamente valide.
Il lavoro simultaneo favorisce lo sviluppo di soluzioni progettuali più efficaci ed una migliore comprensione dei problemi per tutte le parti in causa, che hanno modo di sperimentare in tempo reale le conseguenze delle loro scelte di progettazione sulle altre discipline.
La pressione esercitata dal contesto, dev’essere tale da favorire decisioni più rapide, a patto che la sessione sia stata adeguatamente pianificata e sia quindi disponibile tutto il materiale e tutte le informazioni che occorrono per prendere le decisioni oggetto della sessione stessa.
E chiaramente l’utilizzo spinto dei modelli digitali nelle sessioni di progettazione favorisce una riduzione dei tempi su tutta la linea.

4.2. Qualità

Le soluzioni che emergono da una sessione ICE vengono sviluppate attraverso multiple iterazioni progettuali e, come tale, sono necessariamente e inerentemente migliori di quelle che vengono sviluppate durante un singolo ciclo creativo. Dato che queste iterazioni sono multidiscplinari, le soluzioni emerse sono anche verificate da tutte le parti in causa e quindi, secondo i principi della Progettazione Integrata, migliori.
La maggior qualità deriva anche dall’utilizzo spinto di soluzioni tecnologiche all’avanguardia, che come dicevo sono al centro nella pianificazione della sessione e la cui presenza costituisce spesso uno degli ostacoli all’implementazione del metodo.
Ma il principale vantaggio si riscuote nella gestione del progetto: prendendo parte a queste sessioni di lavoro, la loro natura trasparente consente un miglior monitoraggio dei progressi e delle problematiche, con conseguente aumento della qualità anche lato Project Management.

– L’uso di soluzioni tecnologiche all’avanguardia è un punto imprescindibile nell’organizzazione di sessioni ICE.

4.3. Integrazione

Il beneficio principale si ha naturalmente nella migliore e più rapida integrazione tra le discipline. Le sessioni ICE, oltre ad essere sessioni di lavoro estremamente proficue, sono anche importanti momenti di comunicazione e per il trasferimento informale delle conoscenze da una specializzazione all’altra. Cambiare cappello, per provare a pensare secondo i principi di un’altra disciplina, è un primo passo importante verso la reciproca comprensione e, quindi, verso un approccio al lavoro maggiormente integrato e consapevole. L’aumento di integrazione incrementa anche quello che la ICE chiama sense of belonging (senso di appartenenza) e che lo Scrum chiama sense of ownership (senso di appartenenza nei confronti dei prodotti).
L’integrazione viene raggiunta attraverso un approccio sistematico che parte dall’aver suddiviso il lavoro in pacchetti significativi, un altro dei principi dello Scrum, e nella loro corretta messa in priorità. In questo senso, l’uso del BIM Execution Plan come Product Backlog (ne ho parlato brevemente qui e in modo più esteso qui). diventa strumento fondamentale nella pianificazione delle sessioni.

Alcuni di questi benefici, insieme ad altri di cui non mi sono occupata, sono riassunti in un mappa ad albero pubblicata da BIM Corner a corredo di questo articolo, che incidentalmente è tra i migliori attualmente a disposizione sull’argomento. Dello stesso autore vi consiglio anche questo, che spiega cosa significhi VDC – Virtual Design and Construction.

Krzysztof, pal, great work: we are waiting for Part 2.

Nello stesso articolo trovate anche un’esaustiva sezione di possibili controindicazioni, o situazioni in cui il metodo potrebbe risultare difficilmente implementabile, oltre a qualche riferimento bibliografico… in norvegese.

– Se la bibliografia è in Norvegese, non possiamo nemmeno chiedere a lui…

I fattori base per una sessione ICE di successo vengono identificati da John Kunz e Martin Fischer in termini organizzativi e comunicativi. Trovate tutto spiegato in questo meraviglioso paper, sempre in Norvegese.

5. Checklist per l’implementazione

Grazie alla mia completa padronanza del norvegese, ho potuto verificare che uno dei riferimenti (in particolare questo) presenta una utile checklist di valutazione per verificare se tutti i passaggi necessari alla preparazione della sessione ICE sono stati correttamente portati a termine. La checklist consiste in una serie di domande che il responsabile si pone (nel framework italiano il responsabile di organizzare una sessione ICE sarebbe il BIM Coordinator, eventualmente con il supporto del BIM Manager). Le domande si articolano in cinque fasi successive: formazione, pianificazione, preparazione della sessione vera e propria, implementazione, valutazione finale. Ve le traduco a spanne (sempre grazie alla mia profonda conoscenza del norvegese) e le riporto di seguito come strumento operativo e come linea guida. Laddove ci dovesse essere un norvegese in sala, qualunque correzione nella traduzione è la benvenuta.

5.1. Formazione

  • Tutti i partecipanti sono stati correttamente introdotti ai principi della metodologia ICE?
  • Il leader della sessione in particolare ha completato la formazione?
  • La formazione abbraccia gli argomenti giusti nel modo giusto?

Esempio: se la sessione ICE si occuperà di analizzare l’integrazione tra le discipline utilizzando Navisworks, è opportuno che tutti i partecipanti rilevanti siano adeguatamente formati all’utilizzo sciolto e disinvolto dello strumento. Si ricorda che la sessione ICE è una sessione di lavoro simultaneo, non di revisione collettiva durante la quale c’è uno che gira il modello e tutti gli altri gli stanno intorno con espressioni di approvazione dipinte sul volto.

5.2. Pianificazione

  • Esiste un piano di esecuzione per il progetto di cui si sta preparando la sessione? (ovvero: c’è un BIM Execution Plan?)
  • Esiste un piano per le sessioni?
  • Per ogni sessione è specificata la documentazione necessaria e l’output di consegna?
  • Il cliente è informato circa lo svolgimento di queste sessioni e coinvolto almeno in una delle sessioni?

Da questo punto apprendiamo almeno due principi, uno ovvio e l’altro forse meno ovvio:

  1. il BIM Execution Plan rimane lo strumento principe nella gestione operativa del progetto;
  2. le sessioni ICE non vengono improvvisate, ma sono parte della strategia di sviluppo del progetto sin dall’inizio.

5.3. Preparazione

  • Le sessioni hanno obiettivi chiari ed esauribili nell’arco della giornata?
  • La pianificazione delle sessioni è sufficientemente frequente?
  • Il team lavora bene insieme e si assicura di risolvere le problematiche nel momento e nel luogo della sessione?
  • Esiste un dialogo aperto con una soglia d’accesso sufficientemente bassa per consentire scambio di argomenti e domande tra le diverse discipline?
  • Il team lavora attivamente per essere proattivo e trovare buone soluzioni?
  • Esiste un buon registro delle decisioni e delle scelte prese durante le sessioni?

5.4. Valutazione

  • Il team ha cambiato rotta di progettazione in base alle considerazioni che sono emerse durante la sessione? In caso affermativo, quali adeguamenti di rotta sono stati effettuati?
  • Esistono esperienze esterne o altre lezioni che è possibile incorporare per rendere ancora migliore la prossima sessione? Quali e come implementarle?
– Il miglioramento continuo rimane al centro anche in questo caso: per ulteriori approfondimenti potete provare a guardare qui.

6. Ulteriori riferimenti

Qualunque discorso su VDC e ICE non può prescindere dal menzionarne il padre, il professor Martin Fischer della Stanford University. Molto materiale si trova quindi proprio messo a disposizione dall’università. Vi consiglio ad esempio questa presentazione introduttiva, che contiene tutto quello che vi serve sapere e una serie di utilissimi template.

Vale anche la pena notare che esistono alcuni sforzi eccellenti per incorporare questi principi anche all’interno del funzionamento di un’amministrazione pubblica. Guardate ad esempio questa guida all’implementazione del VDC a Singapore (2017). Tra l’appalto e la fase di ingegnerizzazione, in lassa corrispondenza con la fase di Design Development che Fischer individua come la migliore per le sessioni ICE, vengono teorizzati momenti di quella che viene definita “intensa collaborazione”.

– L’articolazione della guida all’implementazione del VDC a Singapore parte da una mappatura delle attuali carenze per arrivare alla proposta di metodi applicativi con cui raggiungere i risultati desiderati.

In questo approccio, le sessioni ICE sono viste di supporto a due momenti del processo, chiamati Intensive Collaboration Period (ICP) e Progressive Collaboration Period (PCP).

– Nella guida si trova anche un’eccellente definizione di VDC.

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