Riguardo alla “letteratura di genere”

Mi viene sempre da chiedere "quale genere?", ma tant’è. Da Liberazione di ieri. Letteratura di genere, vicina al suicidio. Anzi no, vitale – Jacopo Guerriero In un celebre pamphlet dato alle stampe qualche tempo fa, So many Books, Gabriel Zaid scriveva che «la noia è la negazione della cultura. La cultura è conversazione, brio, ispirazione. […]

Mi viene sempre da chiedere "quale genere?", ma tant’è. Da Liberazione di ieri.

Letteratura di genere, vicina al suicidio. Anzi no, vitale – Jacopo Guerriero
In un celebre pamphlet dato alle stampe qualche tempo fa, So many Books, Gabriel Zaid scriveva che «la noia è la negazione della cultura. La cultura è conversazione, brio, ispirazione. Nel sostenere la causa dei libri che ci stanno a cuore, non possiamo limitarci ad aumentare le vendite, le tirature, il numero dei titoli, le novità, gli eventi culturali, i posti di lavoro, i costi e tutte le altre quantità misurabili. Ciò che conta è la vitalità creativa che possiamo percepire, anche se non misurare; essa ci permette di capire se stiamo andando nella direzione giusta, pur se non vi sono regole fisse per promuoverla». La credibilità di codici e repertori, il maggior dinamismo di talune forme di cultura rispetto ad altre, hanno allora poco a che fare con statistiche e rapporti. Non è difficile, a maggior ragione, consegnare alla definizione di pagina depressa, le tonnellate di romanzi a sfondo krimie che, nell’esasperata ricerca dell’eldorado (“un bestseller, uno solo! ” – urlava un tempo un editore) l’industria culturale continua imperterrita a sfornare. E’ il caso di gridare all’ennesima morte del genere? Di recente, in un saggio contenuto nella raccolta Distruggere Alphaville (Ancora del Mediterraneo), apparso in rete anche su Carmilla, Valerio Evangelisti ricordava che «per quanto paradossale possa suonare, la vitalità della narrativa di genere è direttamente proporzionale alla sua vocazione al suicidio». L’affermazione ci tranquillizza. In precedenza, sempre nello stesso intervento, lo scrittore bolognese commentava: «Basta con i percorsi obbligati e i luoghi comuni. Basta con l’astronauta coraggioso, il commissario umano, il giudice senza macchia, l’assassinio seriale (…), il mostro vampiresco che percorre la storia identico a se stesso. Tutto ciò conduce a quella che alcuni hanno chiamato, parzialmente a ragione, la voga thrilleristica. No, il genere è sostanza esplosiva a cui manca l’innesco. Autori come Ballard, Ellroy, Vonnegut, Manchette, Raymond (…) lo hanno trovato e attivato. Usciti dagli schemi e dai percorsi obbligati, si sono visti immersi nella letteratura senza classificazioni, non più emarginabili, non più viventi da emarginati». Data la premessa è poco utile cedere alla tentazione dell’invettiva. Non interessa se un capitalismo deteriore continua a soffiare su bolle ormai in via di esplosione – la bolla del noir, la bolla del giallo. Il punto esaltante della riflessione è un altro, è la presa di coscienza che, accanto al molto testo morto, il nostro mercato librario porta di nuovo alla comune attenzione libri diversi che pure sono capaci di fare propria l’eredità del genere, di alterare le sue forme, regalando al pubblico un risultato letterario puro e non mimetico, spesso premiato dal successo. “Conversazioni” – per usare di nuovo un termine caro a Zaid, che dal dibattito locale si aprono ad ogni luogo e ad ogni tempo. Si ha l’impressione che il suicidio, insomma, sia in corso d’opera – ci siamo di nuovo arrivati anche se in molti stentano ad accorgersene – e già una nuova molteplicità, infiniti e disparati modelli stanno cominciando a ibridarsi e fecondarsi – ciascun modello è un centro del mondo, la totalità che possiamo approcciare è l’insieme concluso di tutta la moltitudine. Tre libri ci sembrano indicativi di un fenomeno che è solo in partenza. Gomorra (Mondadori, pp. 331, euro 15,50) è il lavoro di Roberto Saviano che racconta il nuovo Sistema criminale dei clan camorristi in Campania. Chi se la sentirebbe di definirlo un reportage? E’ possibile ragionare ancora con la vecchia formula fiction + fact = faction? Nonostante le sordide polemiche che negli ultimi giorni, in rete, fanno da contorno al libro, nessuno si azzarda a cadere in un simile errore. «In Gomorra – scrive Wu Ming 1 – troviamo la letteratura del viaggio iniziatico, l’inchiesta militante, cucchiai che affondano in madeleines avvelenate, lacerti di bildungsroman». Continuando in questa scia: a molti Piove all’insù di Luca Rastello (Bollati Boringhieri, pp. 263, euro 18,00) – potrebbe sembrare a prima vista un romanzo generazionale. Eppure, come non accorgersi della personale rivisitazione della contestazione politica come fatto estetico compiuta dall’autore? Il romanzo potrebbe essere letto come un saggio romantico sulla “cultura sottile” negli anni post ’77. Le scene di psicogeografia urbana – era dai tempi di Marcovaldo che aspettavamo qualcosa del genere – ci spingono in un contesto complesso tra realtà e sogno, ricordo e cronaca. Troppo comodo, anche in questo caso, sbrigarsela con le etichette e le riduzioni, le storie di brufoli e punk. C’è poi il caso emblematico di Gianni Biondillo, in libreria da qualche tempo con Per sempre giovane (Guanda, pp. 196, euro 14,00), un lavoro che in qualche modo doveva segnare una cesura nel suo percorso, lo stacco dalla produzione di genere. Ci dice invece l’autore a margine del Gallarate Giallo Festival, organizzato dalla neonata Fondazione Culturale “1860 Gallarate città”, dove ha tenuto un’esplicita relazione dal titolo “Oltre il genere”: «Sento una continuità molto forte con la mia produzione precedente. Cambio genere, cambio scrittura, ho fatto un libro praticamente solo di dialoghi, senza quelle descrizioni di luoghi che forse prima mi erano tipiche, un libro veloce dal taglio molto cinematografico, con un io narrante al femminile. Eppure non è affatto un libro diverso dagli altri. Il mondo che io sto cercando di rappresentare è lo stesso dei miei due lavori precedenti. In un polittico non ci sono solo i santi squartati o messi sulla graticola, ci sono anche le scene campestri, le annunciazioni. Un polittico è un insieme di storie che sembrano slegate tra loro ma che ricreano un mondo». Ogni distinzione tende dunque a scomparire? «Io mi considero un ricettore di storie – dice ancora l’autore milanese – credo nel fatto che siamo animali sociali che si trovano attorno a un fuoco per farsi incantare. Non si può essere più espliciti di così, per comprendere il valore del genere se non altro nell’affinare l’arte dell’affabulazione. Per sempre giovane è una storia minima, ma se guardi come il testo è montato puoi facilmente scoprire un’architettura precisa, con delle simmetrie, dei rimbalzi, dei pesi. Tutte cose tipiche del genere». Al di là dell’apparente omogeneità nell’offerta complessiva dell’industria culturale, nuove rivoluzioni e diverse modalità garantiscono sempre, ora di nuovo, la nascita di fenomeni di superficie inediti. Ci piace chiudere con la notizia che due grandi editori sono al lavoro per l’allestimento, nei prossimi mesi, di due diverse antologie horror, messe in piedi con testi di autori italiani. Se nei singoli periodi diverse tendenze tendono a prevalere, forse è il momento buono per un genere fecondo che la nostra industria libraria deve ancora valorizzare.

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