2077: notizie da Locarno

Parlando ancora di cinema giapponese, ecco cosa mi racconta il Manifesto di oggi, di cui consiglio vivamente l’acquisto almeno per l’articolo di Maurice Maeterlinck. 2077, un Giappone digitale isolato dal resto del mondo Antonello Catacchio Locarno – Locarno 60 apre all’insegna dell’elaborazione del lutto. La simultanea scomparsa di Bergman e Antonioni ha spostato l’asse dell’interesse […]

Parlando ancora di cinema giapponese, ecco cosa mi racconta il Manifesto di oggi, di cui consiglio vivamente l’acquisto almeno per l’articolo di Maurice Maeterlinck.

2077, un Giappone digitale isolato dal resto del mondo
Antonello Catacchio
Locarno – Locarno 60 apre all’insegna dell’elaborazione del lutto. La simultanea scomparsa di Bergman e Antonioni ha spostato l’asse dell’interesse cinefilo. Almeno tra gli incontri dei festivalieri. E anche nel palinsesto. Ieri sera infatti, dopo il film d’apertura, Vexille, è stato omaggiato Bergman attraverso la proiezione di Saraband, del 2003. Una celebrazione che non solo è volta a commemorare un grande regista, ma opera in funzione delle nuove tecnologie, perché Locarno si è dotata di un proiettore in Alta Definizione per la piazza e Saraband era stato girato dal regista svedese proprio in digitale. Curioso che anche Antonioni (verrà ricordato) fu uno dei primi a sperimentare il digitale con Il mistero di Oberwald. Certo, ci si aspettava un clima diverso per inaugurare questa avventura locarnese, ma la sceneggiatura del destino ha sussulti tempisticamente imprevedibili. In realtà il primo giro di manovella del nuovo proiettore, se si può dire così per una tecnologia avanzata, è avvenuto l’altra sera con la proposta di Il cielo sopra Berlino di Wenders, scelto dal pubblico della piazza tra un’infinità di titoli. Anche se la vera inaugurazione coincide con il primo film ufficiale presentato in piazza Grande, Vexille di Sori (così si firma nel film, tralasciando Fumihiko). Cinema tutto digitale, interamente realizzato in computer grafica dal regista che già aveva diretto Appleseed. La storia è fantascientifica, ambientata nell’anno 2077. E sono successe diverse cose, come ci ricordano le scritte iniziali. Soprattutto nel campo delle biotecnologie. Al punto che dieci anni prima ha dovuto intervenire l’Onu per controllare la ricerca in questo campo in relazione alla produzione di androidi. Ma questa scelta ha implicato l’uscita del Giappone dalle Nazioni Unite, in quanto il paese, il più avanzato al mondo in questo settore, ormai non avrebbe potuto cambiare rotta. Sono quindi dieci anni che il Giappone vive isolato dal resto del mondo. Nessuno può entrare o uscire, qualsiasi tipo di comunicazione e di ricognizione satellitare sono impedite da una sorta di scudo magnetico impenetrabile. Nessuno ha ormai la minima idea di come quel paese sia diventato. Certo nessuno può immaginare quel che è successo ossia che un’azienda, la Daiwa, abbia ormai tutto sotto controllo. Le città non esistono più, anche la popolazione è pressoché scomparsa, sopravvivono solo androidi con ultimi residui di umanità, peraltro destinata a scomparire in breve tempo con improvvisi sussulti che ne segnano la definitiva mutazione. E vivono in un enorme ghetto cercando di fare quello che facevano gli uomini di un tempo, compreso il mangiare, anche se non ne hanno alcun bisogno, o fumare come non potrebbero più fare neanche nei cartoon. Mentre alla Daiwa, piazzata su un’isola iperprotetta, si pensa di pianificare un intervento analogo diretto contro gli Stati Uniti. È in questo contesto che una squadretta statunitense della Sword riesce avventurosamente a violare la protezione per entrare in Giappone. Sori pesca a piene mani nell’iconografia fantasy, robot che sembrano essere stati riciclati da altri film, situazioni bladerunnerizzanti, elicotteri quasi alati, e mette tutto al servizio di una storia dai risvolti nostalgici e anche conservatori in cui uomini e androidi vorrebbero sostituirsi a dio. Del resto c’è anche una leader della resistenza che risponde al nome di Maria, nome che non sappiamo quanto sia nipponicamente diffuso, ma che colpisce l’immaginario quando è piazzato in un manga parlato interamente in giapponese (anche dai personaggi statunitensi). L’aspetto più singolare non sta nella tecnologia, nelle immagini sintetiche e neppure nella storia, bensì nella colonna sonora che risulta di gran lunga l’elemento più efficace del film, spaziando da Asian Dub Foundation a The Prodigy, da Underworld a Dead Can Dance e moltissimi altri nomi che riescono a dare un valore aggiunto a un’operazione che contiene già in nuce un sequel, visto che tutti i leader del mondo sono stati clonati da quei fetentoni della Daiwa. Di certo alcuni androidi presidenziali non potranno fare più pasticci dei loro corrispettivi in carne e ossa deteriorabili. E oggi il festival entra nel vivo sfoderando tutte le sezioni ufficiali. In concorso, la trilogia Memories (progetto digitale Jeonju 2007, coreano) firmata da Harun Farocki, Pedro Costa e Eugène Green, seguita da La Maison Jaune, coproduzione franco-algerina di Amor Hakkar. Per Cineasti del presente l’olandese Tussentang di Mijke De Jong e il rumeno Nu te supara dar… di Adina Elena Pintilie. La sera, in piazza Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti (inedito in Svizzera) seguito da Knocked Up («Molto incinta» in Italia) di Judd Apatow, cantore della neocommedia made in Usa.

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