Ken Loach

Questo è per una certa persona che mi ha propinato diversi film di Ken Loach (me tapina). Sempre dal Manifesto di oggi. Irlanda, due fratelli patrioti e nemici nel film di Loach Roberto Silvestri Bisogna essere realisti, e cioè esigere l’impossibile anche a costo di morire? O utopisti, e dunque sforzarsi per cambiare solo la […]

Questo è per una certa persona che mi ha propinato diversi film di Ken Loach (me tapina). Sempre dal Manifesto di oggi.

Irlanda, due fratelli patrioti e nemici nel film di Loach
Roberto Silvestri
Bisogna essere realisti, e cioè esigere l’impossibile anche a costo di morire? O utopisti, e dunque sforzarsi per cambiare solo la forma, la corteccia, della propria sottomissione e miseria, rinviando al futuro lontano la soluzione del problema principale? Bisogna essere insomma come il rivoluzionario James Connolly e finire impiccato nel 1916; o come il negoziatore Michael Collins, un «traditore» che però riuscì a strappare alla Corona britannica, nel dicembre del 1921, l’indipendenza e la sovranità (limitata) almeno per 26 delle 32 contee dell’Irlanda? Ken Loach ha vinto la Palma d’oro a Cannes con un film politico apri cervelli e per di più biblico e shakespeariano, che analizza le ragioni (e lascia alla nostra coscienza critica il verdetto) di due fratelli patrioti e contrapposti, Damien e Danny. Che, paradossalmente, combattono dalla stessa parte, eppure si massacreranno. Come fossero entrambi, sia Caino che Abele, un unico David schizofrenico che deve affrontare, con il cervello e con i muscoli, l’invincibile Golia. Un occupante straniero militarmente micidiale, criminale e spietato che vuole imporre, con le armi, la tortura, le umiliazioni contro i civili e le donne, la «vera democrazia» a una popolazione che giudica troppo papista, fanatica, arcaica e selvaggia. Proprio come succede, di questi tempi, in Iraq e nelle Guantanamo di nome e di fatto. Il fratello «utopista», che si allea tatticamente coi latifondisti e capitalisti più disgustosi, sarà costretto a fucilare il proprio fratello «realista». Ma avrà vinto davvero? E se il realista lo avesse avuto in pugno, non lo avrebbe forse passato anche lui per le armi, come traditore delle vere aspirazioni di un’Irlanda nuova, libera e senza servi né padroni? Il set di questo dramma aspro e cruento è la contea agricola di Cork, nel sud zanzaroso della grigio-verde isola: The Wind that Shaker the Barney (traduzione del titolo, dal poema di Robert Dwyer Joyce, Il vento che accarezza l’erba) che il regista britannico ha dedicato, dopo i sandinisti, gli anarchici di Spagna e gli interinali di Los Angeles, ai repubblicani e alle repubblicane irlandesi (tre generazioni di contadine, coriacee e indomabili, che hanno subito deportazioni, carestie e sfruttamento secolare, come fossero le poetiche donne del sud Libano, «angeli del tritolo»…) duramente repressi, se socialisti rivoluzionari, tra il 1920 e il 1922, anche dalla real politik nazionalista, borghese e socialdemocratica degli irlandesi di «buon senso». Quella razza «bastarda» (aggettivo da rivalutare in epoca di métissage ) che a poco a poco regalerà, comunque, un indipendenza e la bandiera bianca arancione e verde da status «extra Commonwealth» a questo popolo linguisticamente, musicalmente, artisticamente e calcisticamente «altro», celtico e gaelico. Coproduzione transeuropea (Bim compresa), questo film in costume, operaio e contadino (il designer è Eimer Ni Maholdomhnaigh) che ogni stilista dovrebbe studiare per la prossima collezioni autunno-inverno, è stato scritto dall’abituale collaboratore dell’ultimo Loach, Paul Laverty, ed è interpretato da un cast troppo autentico, patrilinearmente, per essere vero. Su tutti spicca Cillian Murphy, Damien, satanico come il suo nome, un Norman Bethune servo del suo popolo, inflessibile ma mai sedotto dalla morte e dal martirio. Un «laicista estremista» come piace a tutti noi.

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