Il principe mezzosangue è mia nonna

Il principe mezzosangue potrebbe anche essere mia nonna, e nell’economia del film cambierebbe poco o niente. Ormai è una costante: proprio quando sembra che Harry Potter non possa andare peggio di così, si tratti di libro o di film poco importa, si viene puntualmente smentiti. E pensare che Il Principe Mezzosangue non era nemmeno così […]


Il principe mezzosangue potrebbe anche essere mia nonna, e nell’economia del film cambierebbe poco o niente. Ormai è una costante: proprio quando sembra che Harry Potter non possa andare peggio di così, si tratti di libro o di film poco importa, si viene puntualmente smentiti. E pensare che Il Principe Mezzosangue non era nemmeno così male, come libro. Certo, se alla complessità dell’intreccio ed ai toni cupi avesse unito la sintesi del Prigioniero di Azkaban, sarebbe stato forse il mio preferito, ma pur con tutte quelle tonnellate di lezioni inutili e fastidiosi intrecci amorosi, restava un’opera dignitosa. Specie dopo quella immonda zozzeria che era l’Ordine della Fenice.
Non nutrivo quindi grandi speranze sul film (ho smesso), ma comunque non ero completamente disfattista a riguardo. In fin dei conti era una buona occasione di dar prova di sé sia per Alan Rickman, sul cui talento non ci sono dubbi sin dai tempi di Ragione e Sentimento, sia per Michael Gambon, sul cui talento (Godsford Park a parte) qualche dubbio è anche lecito. Certo, il regista nel precedente film era stato un cane assoluto, con tutti il rispetto per i cani cinefili, e la scelta del professor Kirke come Slughorn non è che mi entusiasmasse. Eppure, mi dicevo, vale la pena di concedere una chance anche a questo film.
Sbagliavo.
Non vale la pena, per tutta una serie di motivi, primo fra tutti – ancora una volta – una totale mancanza di struttura e di criterio nel trasporre o, se vogliamo, reinterpretare la trama del libro. E badate bene che non sono affatto una purista: se un concetto chiave del libro è inadatto ad essere portato su schermo, non vedo perché tralasciarlo. Ma se si decide di trascurare uno dei concetti chiave del romanzo, questo dovrà pur essere sostituito da qualcosa. E se quel concetto chiave che si decide di trascurare è ciò che motiva il titolo… beh, il film inizia a traballare.
Ma fosse solo questo!
Il film pecca di ciò che già aveva inficiato Il Prigioniero di Azkaban: una totale incapacità di costruire il soggetto intorno al soggetto originale (per tacere della banalità di sceneggiatura e della regia assolutamente insipida che in questo caso ci mettono il carico). Una totale incapacità di discernere tra ciò che è importante e ciò che non lo è ai fini della trama, ciò che è necessario per raccontare una storia e ciò che non lo è, ciò che caratterizza un personaggio e cò che lo rende una macchietta unidimensionale, ciò che va a creare l’atmosfera e ciò che invece è completamente fuori luogo. E di cose completamente fuori luogo ce ne sono parecchie: la lunga inutile scena nel grano, la lunga inutile scena in metropolitana, la lunga inutile scena di Ron sotto filtro d’amore… le stesse pene d’amore di Ron, per quanto anche nel libro avessero entusiasmato ragazzine di tutte le età, non si sarebbero forse potute ridurre a beneficio delle manovre di Voldemort per conquistare il mondo, dei tentativi di Silente di rivelare il suo segreto, delle ombre del passato che continuano a gettare la loro impronta? Difficile immaginare una più impropria scelta di contenuti a partire da un romanzo. Due ore e mezza buttate. Vergogna.

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