The devil’s whore

The devil’s whore è il motivo per cui Andrea Riseborough non è più il fantasma di Being Human. E mi rendo conto che potrebbe non essere il modo migliore di iniziare una recensione, ma è una cosa che dobbiamo lasciarci alle spalle subito per poterne parlare a mente sgombra. Com’era assolutamente insipida e improbabile nei […]

http://img338.imageshack.us/img338/1804/devilswhore21.jpg

The devil’s whore è il motivo per cui Andrea Riseborough non è più il fantasma di Being Human. E mi rendo conto che potrebbe non essere il modo migliore di iniziare una recensione, ma è una cosa che dobbiamo lasciarci alle spalle subito per poterne parlare a mente sgombra. Com’era assolutamente insipida e improbabile nei panni del fantasma, infatti, così si trova decisamente a suo agio nei costumi e nella parte di Angelica Fanshawe, la protagonista e voce narrante della miniserie.

Ambientata durante la guerra civile inglese culminata nel 1660 con l’istituzione del Commonwealth: protagonista, insieme alla ‘puttana del diavolo’, John Simm (Life on Mars) nei panni di Edward Sexby, il mercenario dietro cui – secondo alcuni – si nascondeva l’intellettuale e dissidente politico Silius Titus.
Peter Fannery è un autore di teatro e si vede: fino ad ora l’impianto narrativo è abbastanza solido, con il diavolo che apre e chiude il primo episodio. Tuttavia la caratterizzazione dei personaggi non è il massimo che ci si potrebbe attendere: Angelica è una donna che non riesce a inserirsi nel ruolo che la società ha preparato per lei, Sexby è un mercenario di sinistra, Oliver Cromwell (Dominic West)  portatore delle sue idee rivoluzionarie perché la storia dice così ma non ha una vera e propria caratterizzazione a sostenerlo, mentre Thomas Rainsborough (quel Michael Fassbender di Hex) è un capo dei leveller di banalità politica quasi superiore a quella di Sexby. Il problema peggiore è tuttavia re Carlo I, un Peter Capaldi improbabile, una macchietta nei momenti di frivolezza e quindi ancora meno credibile nei momento d’ira e di crudeltà. E cos’è una guerra se il nemico è tanto risibile?

In sostanza, una miniserie per chi ama le ambientazioni storiche, ma non una per chi ama veder indagare le ragioni di chi ha fatto quella storia.

4 Comments

  1. Oi Shel , vedo che parli tanto di serie tv, ma non ho mai visto cenni a “Mad men” e/o “The mentalist”.

    Possibile che non le conosca? Oppure non ti interessano in quanto non presentano elementi soprannaturali o simili?

    Nel primo caso, mi permetto di segnalartele perché son fatte super bene, forse in assoluto le migliori degli ultimi anni.

    Nel secondo caso, nevermind.

    Ciao

  2. Beh, innnanzitutto bisogna fare una distinzione fondamentale: non sono io a scegliere i telefilm, ma il detentore ufficiale del mulo. Detto questo, devo ammettere che trovo The mentalist piuttosto sopravvalutato, almeno vedendo il pilot: ha la sfortuna di essere in concorrenza con Lie to me, che trovo decisamente superiore come impianto, come personaggi e come recitazione. Al confronto The mentalist mi ha lasciato piuttosto freddina. Senza la controparte magari mi avrebbe attratta di più, chi lo sa.

    Mad men invece mi attira già di più, un po’ perché me ne hanno decantata l’accuratezza storica e l’attenzione alla fotografia (buffo, nessuno mi ha mai parlato della sceneggiatura), un po’ perché il soggetto mi è vicino. Ma, ahimé, il pusher ufficiale non l’ha mai scaricato. Prima o poi comprerò la prima stagione e le darò un’occhiata.

    Quanto al soprannaturale, beh non tratto solo materiale di questo genere. Diciamo che mi piacciono le serie sopra le righe, ma il soprannaturale non è un ingrediente fondamentale a priori. Tantopiù che la maggior parte delle serie “soprannaturali” dell’ultimo perodo sono delle grosse boiate (Merlin, Legend of the Seeker, Dead like me, Valentine e potrei andare avanti per ore).

  3. In effetti Lie to me è nato qualche mese dopo come risposta a Mentalist, o meglio, proprio per sfruttarne il bacino di utenza rivelatosi enorme.

    Per cui -se è stato sopravvalutato- lo è stato in primo luogo da quelli di Lie to me, hee hee hee

    Io ho visto qualche puntata dell’uno e dell’altro e sono giunto alla seguente conclusione.

    Lie to me è molto più serioso. Più incentrato sulla tecnica dell’indagine (epperò c’è dentro un po’ troppa PNL per i miei gusti), poco sulle storie, spalmate sul format “due casi per puntata”. Personaggi: Tim Roth ottimo, il resto una discreta merda (ma forse non è neppure tutta colpa degli attori, sono i characters che mi sembrano un po’ vuotucci).

    Mentalist è meno tecnico più incentrato sulle persone e sulle storie. Il protagonista non è bravo quanto Roth, ma i comprimari sono ottimi e complessivamente il tutto risulta più credibile ed equilibrato.

    Parere personale, eh.

    =)

    In sostanza comunque non mi dispiace nessuna delle due.

    Mad Men non ti dico nulla perché già in molti ne hanno parlato. Se la guarderai comunque cerca di seguire l’ordine degli episodi, la continuity è importante.

  4. Beh, sai com’è, che sia nato prima l’uovo o la gallina – come disse un uomo saggio – m’importa sega. In effetti si può pensare a Lie to me come ad una versione perfezionata di The Mentalist, non lo metto in dubbio, ma la direzione in cui si è andati è decisamente più vicina ai miei gusti: più indagine, non se la menano così tanto tra di loro (cosa che un uomo più saggio magari chiamerebbe “attenzione allo sviluppo e al background dei personaggi”). Se Lie to me ha dei problemi, e sicuramente ne ha, mi sto facendo l’idea che siano – come dici tu – nei personaggi. Ma per differenti ragioni.

    Innanzitutto, per come è strutturata la trama, i comprimari occasionali dovrebbero essere tutti da oscar a lasciare trapelare le emozioni senza mostrarle in modo troppo palese. E questo è il primo problema, che se vogliamo è un problema a monte per come è stata pensata la serie: dove lo si trova un attore così bravo che abbia ancora il ruolo – e la paga – di comprimario in una serie televisiva?

    Quanto ai comprimari fissi, poi, trovo soffrano dello stesso problema. Non trovo siano personaggi vuoti: la loro caratterizzazione dovrebbe uscire lentamente man mano che vengono sviluppati gli episodi, non mi aspetto nulla di esplicito o esageratamente introspettivo – non è il taglio della serie – ma nemmeno mi sembra sia lecito aspettarsi una discreta merda. Il problema è che anche questi attori sono quasi esordienti (la poliziotta e l’assistente) o comunque con nulla di significativo nel curriculum (la psicologa). Che siano stati scelti per non rischiare, nemmeno per sbaglio di rubare la scena a Roth?

    Infine il format: lo schema “due indagini per episodio con vicenda personale sullo sfondo” non mi dispiace, e non mi dispiace nemmeno che si ripeta (mi piacciono i progetti con una struttura, le cose che sembrano sapere cosa fare nella vita). Che non sempre il soggetto dell’indagine si sia rivelato all’altezza, invece, è un fatto su cui ti do ragione. Ma ne hanno trasmessi solo quattro episodi, mi pare presto per dare un giudizio definitivo, no?

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.