Go, Mah-jong e altri gialli

Questo pomeriggio, dopo aver accompagnato Lui dal dentista, mi aggiravo alla ricerca delle uova come una di quelle galline di montagna che si sono inselvatichite attorno al rifugio Scotti, in Val di Masino, e vanno a deporre nella foresta dimenticandosi poi dove “l’hanno fatto”. Orbene, mentre mi aggiravo per il centro di Milano approfittandone per […]

Questo pomeriggio, dopo aver accompagnato Lui dal dentista, mi aggiravo alla ricerca delle uova come una di quelle galline di montagna che si sono inselvatichite attorno al rifugio Scotti, in Val di Masino, e vanno a deporre nella foresta dimenticandosi poi dove “l’hanno fatto”. Orbene, mentre mi aggiravo per il centro di Milano approfittandone per vedere alcuni clienti e visitare alcuni potenziali espositori per il festival, ho indugiato ad osservare alcune delle gigantografie installate in via Dante, inaugurate dall’infinito ciclo La Terra vista dal Cielo e cambiate periodicamente: non mi sono fermata a leggere di chi siano le immagini questo mese, ma mi sono saltate all’occhio alcune foto di persone di varie età e di varie culture impegnate a giocare a Backgammon.


La parola all’assistente
 

Il Mahjong, come giustamente ci dice Wikipedia, è «un gioco da tavolo per quattro giocatori, nato in Cina probabilmente nel XIX secolo, e oggi molto diffuso anche nel resto del mondo, soprattutto Stati Uniti e Giappone. Il nome, letteralmente, significa “uccello di canapa” o “sparviero di canapa”. Si tratta di un gioco di tessere, che presenta alcune analogie con qualche gioco di carte occidentale. I giocatori guadagnano punti creando opportune combinazioni di tessere e rimuovendole dal gioco».Il Go, come ci ricorda sempre Wikipedia, è «un gioco strategico per due persone, giocato su una “scacchiera” (detta goban) formata da 19 linee verticali e altrettante orizzontali che formano 361 intersezioni, sulle quali i due giocatori posano alternandosi le loro pedine (pietre, solitamente bianche e nere). Tali pedine non verranno più spostate, ma a determinate condizioni vengono tolte dal goban. È frequente l’uso, per fini principalmente didattici, di goban ridotti con 13×13 o 9×9 intersezioni. Una versione tibetana del gioco prevede regole leggermente diverse e un goban costituito da un reticolo 17×17. Obiettivo del gioco è il controllo del maggior numero di intersezioni libere nel goban».

L’associazione di idee è stata immediata anche se non so perché: il mio mah-jong venne prestato tempo fa e mai più restituito, e il libro di Paolo Ferrucci mi ha messo una gran voglia di riprendere a giocarci (se qualcuno non sa cosa sia, e visto che mi hanno accusato di essere troppo criptica soprattutto nei post che riguardano i fumetti, ho copiato l’orso ciccione e ho introdotto la figura dell’assistente, qui a destra). Così sono andata alla Città del Sole, un negozio che vi consiglio di visitare almeno una volta nella vita, specializzato in giocattoli tradizionali e/o di legno e con un vasto assortimento di tutto quel genere di splendidi giochi che, per un motivo o per l’altro, non si trovano più nei normali negozi. Entrata, ho girato un po’ tra le scatole di dama e scacchi, Backgammon e mulino, fino a trovare alcune scatole di Mah-jong, di diverse dimensioni e di diversi prezzi. Dopo lungo dissertare con il signor Del Sole, ho optato per una bella confezione rossa, alta una cinquantina di centimetri e lunga quasi ottanta, che contiene:

  1. un manuale tra i più accurati che abbia mai visto, con tanto di bibliografia conclusiva, redatto da Roberto Rampini;
  2. le tessere, in resina decorata a rilievo e dipinta, suddivise per “seme” e contenute in vassoi di tela;
  3. le stecche in legno chiaro, levigato e non trattato come piace a me;
  4. alcune tessere bianche, da decorare a mano e da usare nella malaugurata ipotesi di smarrimento di alcune delle tessere “originali”;
  5. i piccoli dadi cinesi;
  6. le fishes, di legno con piccole decorazioni smaltate;
  7. il mingg, pro-memoria / segnaposto con i venti.

Forse riuscirò a convincere la mia famiglia a giocarci il pomeriggio di Pasqua: sono stufa delle carte.

Mentre dissertavo con il proprietario, comunque il discorso è finito sul Go. Ora, a me il Go non piace, non lo capisco (e odio i giochi che non capisco, perché finisco inevitabilmente per perdere); mentre parlavamo, però, mi è venuto in mente il romanzo di un mio amico (in realtà si tratta di un amico di un mio amico, ma si sa che gli amici dei miei amici sono miei amici), la cui struttura narrativa è interamente basata sul gioco del Go. E’ un bel noir e il suo titolo è La regola della cattura, laddove l’autore si chiama Fabrizio Canciani.

Ormai non è più molto facile trovare questo libro (troverete il secondo, Qualcosa che non resta, che – sublimi citazioni gucciniane a parte – mi è sembrato più debole, meno affascinante e “meno noir” del primo, nonostante ne consiglierei comunque la lettura).
Ecco il retro di copertina della Regola della cattura:
«Un cadavere in vetrina con accanto una strana tavoletta di legno, alcune morti sospette e rocambolesche, stravaganti frequentatori del club dei post-virtuali (con il loro rischioso gioco di ruolo, il Bedlam game) e altri variegati e imprevedibili personaggi sono gli ingredienti di questo delizioso noir. In questa vicenda, attirato da due splendide donne, si trova invischiato Bruno Kernel, approssimativo investigatore privato, che al momento vive in una roulotte in compagnia di un cane sordo…»

Infine, ho comprato un agile gioco di carte: Lupus in Tabula. Si tratta di una simpatica parodia, giocabile anche senza carte, in cui i giocatori si dividono in due squadre e prendono posto in un villaggio, dove di giorno si comportano come normali cittadini ma di notte… di notte la squadra dei “contadini” chiude gli occhi, mentre quella dei “lupi mannari” fa il suo gioco in silenzio sotto gli occhi vigili del narratore. Ogni notte un omicidio, ogni giorno un processo ed un rogo: vince la specie che sopravvive. Il villaggio sarà degli umani o dei mannari? Risvolti esilaranti, almeno quanto Munchkin.

15 Comments

  1. la città del sole c’è anche qui da noi, e mi piace sempre andarci.

    a me il go piace, anche se non ci ho giocato tantissimo. lo trovo molto divertente. ma un goban ancora non ce l’ho.

  2. Cara Shelidon, sono contento che ti sei dotata di nuovo di un mah-jong. Anche se, a quanto so, una confezione costa parecchio (a seconda della finitura, suppongo).

    Sei un’appassionata di giochi, oltre che di fumetti: un’appassionata d’immaginario, insomma, oltre che tolkieniana sfegatata. Passioni molto salutari e positive, secondo me, che ti rendono merito e ti fanno ancora più simpatica.

    Poi ci dirai se oggi pomeriggio sei riuscita a fare una bella partita.

    A presto, e auguri!

  3. Caro Heraclitus, no, non lo frequento: dovrei?

    Ragno, i miei amici lo sospettano da anni… pensa che non conosci nemmeno la metà delle cose in cui mi impegolo quotidianamente! *__^

    Più informato mi sembra Paolo! Chi ha sparso la voce che sono tolkieniana!? Qualcuno ha fatto la spia!

    La partita è andata piuttosto bene, il gioco è piaciuto molto (a parte le inevitabili storpiature di mia madre per cui cerchi bambù e caratteri sono diventati rispettivamente “ruote”, “ossi” e “scarabocchi”). Non mi aspettavo tanto successo.

  4. Ti piacerebbe! Non solo si parla del Go, ma gran parte della trama è strutturata come una partita a Go tra l’investigatore e il killer. Lo stesso titolo, La regola della cattura, fa riferimento proprio al Go.

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