MK5 (5) – Smart and Computational Cities

Durante la nostra quinta e ultima giornata tematica – dopo aver parlato di realtà virtuali (e non), di robotica e automazione, di computational e generative design – abbiamo cercato di allargare l’orizzonte per vedere cosa accade ai nostri metodi e ai nostri strumenti quando lavoriamo a una scala differente o proviamo ad aprocciare il lavoro di […]

Durante la nostra quinta e ultima giornata tematica – dopo aver parlato di realtà virtuali (e non), di robotica e automazione, di computational e generative design – abbiamo cercato di allargare l’orizzonte per vedere cosa accade ai nostri metodi e ai nostri strumenti quando lavoriamo a una scala differente o proviamo ad aprocciare il lavoro di progettista da altre angolazioni. Ci sono stati da guida libri come quelli di Anthony Townsend e Carlo Ratti, ma non solo. In questa ultima giornata, hanno aperto le presentazioni di:


51PrnZCUnfL._SX324_BO1,204,203,200_Nella digressione storica di Federica, molti i punti di interesse per noi che oggi vorremmo essere agenti di un cambiamento tecnologico nel nostro settore. Se consiglio un libro sula storia della tecnologia nel medioevo all’interno di un percorso BIM non è (solamente) perché sono appassionata dell’argomento. In particolare trovo che Cathedral, Forge, and Waterwheel unisca in sé una straordinaria varietà di spunti e un marcato amore per il racconto delle storie, cosa che accomuna molti dei saggi consigliati nel percorso di questo semestre.

Il primo spunto che sicuramente ci colpisce, da information specialist, è il discorso relativo alla comunicazione. Federica prende spunto da un altro periodo storico, la Rivoluzione Francese, per farci riflettere sul nesso tra comunicazione e realtà di un evento: se una notizia nel 1795 poteva impiegare 11 giorni a raggiungere il sud della Francia, questo significa che la monarchia in Provenza è durata più che nel resto del Paese. È lo stesso Yuval Noah Harari a farci riflettere in modo estremamente profondo su questa dinamica, sia nel suo Homo Deus che in altri suoi scritti: l’informazione descrive la realtà oppure è possibile che sia la realtà ad essere condizionata dall’informazione? Ma questa è un’altra storia e dovremo per forza approfondirla in un altro momento.

Un secondo spunto che ho sempre trovato estremamente rilevante è quello relativo alla collaborazione“The innovative technology of the Middle Ages appears as the silent contribution of many hands and minds working together”. Questo è possibile solo grazie a una sottostruttura sociale estremamente connessa e straordinariamente più simile alla Silicon Valley di quanto non possiamo pensare di esserlo noi oggi: la diffusione delle tecnologie e il loro graduale miglioramento oggi non sarebbe e non è possibile, se non con l’adozione dell’Open Source e del Creative Commons.

Great_Architect[1]Il terzo aspetto che ho sempre trovato particolarmente rilevante per noi è relativo alla trasformazione della scienza teoretica in arte applicata. Il medioevo, secondo Frances e Joseph Gies, è il periodo in cui nasce l’architettura o, per lo meno, una certa concezione di architettura. Per la prima volta si suddivide il sapere in scienza teoretica, che spiegherebbe il propter quid ovvero la causa delle cose, e la sua controparte pratica ovvero le arti meccaniche che si occupano del quia sunt, di come sono fatte le cose (Kilwardby, De ortu Scientiarum, 1279 circa). Nel nostro ambito, la geometria diventa una scienza in supporto al lavoro di carpentieri e muratori. E per la prima volta, come ci fanno giustamente notare storici come Max Weber e Ernest Benz, iniziamo a vedere rappresentazioni di Dio come mastro muratore (vedi il Codex 2.554 conservato nella Österreichische Nationalbibliothek). In questo senso, è straordinario osservare come siamo sempre pronti a lodare l’ingegno dei romani quando, a ben analizzare i loro successi ingegneristici, un’analisi attenta di Vitruvio, Columella e Seneca stesso ci mostra abbastanza chiaramente la carenza di progressi in molti ambiti tecnologici laddove invece il medioevo si distingue per trasformazione e innovazione. Qualcosa a che vedere, probabilmente, con il discorso che Luca Poleggi ci faceva in relazione al bisogno e alla necessità.

Infine, questo è anche il periodo in cui vengono portati avanti alcuni discorsi relativi alla classificazione e, per quanto il libro si concentri principalmente sulla classificazione dei mestieri che tanto è rilevante quando parliamo dell’essenza e delle origini di architettura e ingegneria, potrebbe essere interessante osservare come il carattere pratico di molte speculazioni medievali indirizza (o fallisce nell’indirizzare) i discorsi relativi alla classificazione della natura. Ma anche questa, disgraziatamente, è una storia che non abbiamo modo di raccontare ora.

La summa del discorso è che alcuni degli elementi caratterizzanti la società e l’economia di oggi sono riconoscibili nel contesto medievale. E, poco sorprendentemente, alcuni dei discorsi che stiamo facendo in relazione alla tecnologia, alla creatività, alla personalizzazione nella produzione di massa, affondano le loro radici nel pensiero algoritmico medievale più che in quello classico. Ho già avuto modo di parlare più volte di Mathias Roriczer, mi sembrebebbe ridondante farlo di nuovo.

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Con il passato ben rinfrescato in mente, quindi, Gianmarco Manzoni e Marco Campese ci hanno portato in un presente che sembra futuro o, se preferite, in un futuro che è già presente.

Mi avete già sentito parlare più volte di Block’Hood, un gioco che a mio parere affronta il problema della pianificazione urbana bottom-up con straordinaria grazia, eppure mettendoci di fronte all’enorme difficoltà nel bilanciamento delle risorse che davvero danno linfa a una città. L’algoritmo di questo City Builder mescola infatti tematiche ambientali e sociali con un acuto occhio alle microeconomie, oltre a essere graficamente delizioso e straordinariamente poetico. È recentissimo l’annuncio che lo studio di progettazione Plethora Project sta lavorando a un nuovo titolo, Common’Hood, che promette di ridurre la scala del focus ed esplorare anche temi legati alla fabbricazione digitale.

Ma tornando a noi, Gianmarco e Marco ci hanno accompagnato attraverso le meccaniche del gioco, dai blocchi agli agenti su cui abbiamo avuto modo di ragionare nel pomeriggio, fino alla naturale conclusione, ovvero come ragionare su quelle che hanno chiamato interconnessioni e ultraconnessioni tra gli elementi che vengono prodotti dalla nostra modellazione informativa e il resto del tessuto urbano, come utiizzare i dati per impedire la decadenza, dinamica fondamentale in Block’Hood che si verifica quando blocchi abitativi smettono di diventare produttivi e quindi utili agli altri elementi in una rete di elementi strettamente interconnessi tra loro.

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Di questo, del cyber-spazio e del concetto di civic hacker, ci ha parlato Vincenzo Merola. E naturalmente ci troviamo di fronte a un interrogativo esistenziale: può un progettista essere civic hacker o, di contro, non è il concetto stesso di “progettista” antitetico a quello dell’attivista urbano?

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Hanno chiuso la mattinata Flavia di Palma e Alessandra Miraglia, sull’onda delle suggestioni raccolte nel documentario Urbanized del 2011.

Si tratta di un film carico di spunti, specialmente prendendosi un istante per investigare i retroscena nella pianificazione di alcune città e scoprire, ad esempio, il nome di IBM dietro ad alcune di esse.
Cos’hanno in comune Google, il pioniere degli hyperlocal John Geraci e città tanto diverse tra loro come San Paolo in Brasile, Copenhagen, Portland e Kuala Lumpur? Indizio: ha anche fare con una piccola iniziativa chiamata DIYcity.

Come ha lavorato Buro Happold, in carico all’ingegnerizzazione, per la realizzazione della High Line di New York? Indizio: ha a che fare con i Big Data, con la loro defunta iniziativa in collaborazione con il defunto Flux e, in generale, con il concetto di Smart Park. Vedere, ad esempio, qui.

MK5_SmartCities_DiPalma001E qual è la storia dietro al sistema di monitoraggio di Rio de Janeiro? Viene raccontata in modo esteso da Anthony Townsend nel suo Smart Cities ed è una storia che inizia con e inondazioni del 2010, definite da Townsend le peggiori inondazioni a colpire la città in tempi moderni. Il sindaco all’epoca è Eduardo Paes e, all’alba della tragedia, si trova a dover affrontare le conseguenze di una tragica incapacità delle autorità locali a rispondere in tempi utili: la città è appena stata scelta per ospitare i Giochi Olimpici del 2016 e Paes deve dimostrare di essere all’altezza. Si rivolge quindi a IBM, che invia una squadra di ingegneri capitanata da Guru Banavar, originario di Bangalore. L’azienda ha già sviluppato un sistema di previsione metereologica chiamato Deep Thunder, sviluppato nel 1996 in collaborazione con il National Weather Service. La chiamata di Rio De Janeiro dà a IBM l’opportunità di perfezionarlo e viene costruito un centro di controllo atto a ospitare 70 operatori che monitorano oltre 400 telecamere posizionate in città. Il sistema si trasformò quindi rapidamente da un sistema di previsione del maltempo a un sistema di precisione e di controllo sia per la sua vita quotidiana che per la sicurezza e la logistica durante eventi speciali come il carnevale. Il suo TED talk “The 4 Commandments of Cities” è una celebrazione di questo sistema.


Nel pomeriggio, abbiamo affrontato e sviscerato alcuni di questi argomenti con particolare attenzione al cosiddetto agent-based modelling, quale ultima delle strategie di modellazione algoritmica che mancava ai nostri specialist (e unica, peraltro, inoperabile con Revit).

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Avendo già visto delle basi di modellazione per strategia comportamentale nel giorno 4 e avendo affrontato il concetto di persona con Gabriele Gallo nel giorno 2, nonché freschi della spiegazione di Block’Hood che utilizza – a modo suo – il concetto di agente, una delle nostre attività è stata l’affinamento dei cosiddetti agenti per la modellazione comportamentale affrontandone alcune caratteristiche. Abbiamo anche parlato del fallimento delle nuove utopie, da Songdo a Masdar City, di Urban Dynamics, dei già citati sistemi Hyperlocal e di generative design per le città, dai sogni di Cedric Price e Julia Frazer fino a Kishō Kurokawa e a quella che oggi sembra essere la rinascita di quella che abbiamo chiamato “città adattiva”.

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Questo ha chiuso i nostri cinque giorni tematici, sviluppati a partire dai titoli scelti dagli studenti. Tra un mese vedremo dove ci porteranno le scelte della classe che chiamiamo Topolinia. Nel frattempo io non posso che ringraziare i 32 ragazzi di Paperopoli e Foresta, per la passione dimostrata, per il grande impegno, per la mancanza di timore (e di pudore) nell’accetare le mie sfide, per lo spirito con cui hanno affrontato tutto il percorso. E, a voi, non posso che ricordare i loro nomi.

Giovanni Saputo
Raffaele Blasi di Statte
Gioacchino Speciale
Vincenza De Maria
Eugenia Dottino
Simone Algieri
Flavia Di Palma
Valentina Palazzolo
Vincenzo Merola
Federica Benetti
Giammarco Manzoni
Angelo Renga
Donato Santoli
Sofia Carpinteri
Daniela Defilla
Marco Michele Campese
Gianluigi Pinto
Federico Luccarini
Mirko Baroncini
Davide Siani
Luca Poleggi
Evan Mazzucchi
Sebastiano Benenati
Roberto Angelini
Daniele Baldracchi
Dario Carannante
Adriana Grizzaffi
Maddalena Riboni
Giusiana Polizzano
Giuseppe Gadaleta
Pierpaolo Canini
Alessandra Miraglia

 

2 Comments

  1. Pingback: MK6 (1) | Shelidon

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