NBS National BIM Report 2015: traiamo conforto dalla Gran Bretagna (oppure no)

Fresco fresco o quasi, sfornato a fine aprile dal National Building Specifications (RIBA Enterprises) per il quinto anno di fila, fa il giro dei social network il National BIM Report del 2015. Il documento è scaricabile gratuitamente a questo indirizzo e ci offre circa venti pagine di analisi, dati e grafici circa gli sviluppi del BIM […]

Fresco fresco o quasi, sfornato a fine aprile dal National Building Specifications (RIBA Enterprises) per il quinto anno di fila, fa il giro dei social network il National BIM Report del 2015. Il documento è scaricabile gratuitamente a questo indirizzo e ci offre circa venti pagine di analisi, dati e grafici circa gli sviluppi del BIM sul territorio britannico nell’anno 2014. Vediamo un po’ come si stanno muovendo i nostri colleghi con ombrello e bombetta, nel Paese che dovrebbe essere l’avanguardia del Building Information Modeling.

Consapevolezza BIM: livello 2 e livello 3
Il dato che più mi ha fatto sorridere, non viene riportato nei quattro highlight dell’articolo di presentazione ma si trova nello stesso bacino di domande preliminari circa l’uso del BIM e il livello di consapevolezza rispetto al metodo.
Alla domanda “Quale diresti sia stato il più alto livello di BIM raggiunto dalla tua azienda in un progetto?”, queste le risposte degli intervistati, confrontate con l’anno precedente.

NBS National BIM Report 2015 - BIM level awareness 4
NBS National BIM Report 2015 – BIM level awareness (4)

A parte un confortante calo di livello 0, e un ancor più confortante aumento del livello 2 dal 51% al 59%, è interessante il decremento del livello 3 e ancor più interessante l’interpretazione che ne dà la NBS.

Level 3 remains a topic of occasionally intense
discussion, with agreement that at best it is
poorly defined. Many take the view that it’s
impossible to achieve, given the current tools
and standards that we currently have. Thus
the very slight decline in those telling us that
they have reached Level 3 is perhaps best
understood as an increase in awareness that
‘Level 3’ is unclear, rather than a drop in
BIM maturity per se.

Non siamo quindi meno maturi, bensì tragicamente consapevoli di essere tutti ben lontani dal famigerato livello 3 del triangolo Bew – Richards (quello in cui tutti corrono felici scambiandosi modelli IFC perfettamente funzionanti, parlano la stessa lingua e seguono gli stessi protocolli operativi).

Bew - Richards BIM maturity model
buildingSMART standards - IDM, IFC, IFD Il famigerato triangolo Bew – Richards per i livelli di maturità del BIM e, sotto, gli standard di buildingSMART da rispettare per qualificarsi come livello 3

Formati di output: 3d vs 2d
A parziale conferma di questo dato, una statistica particolarmente interessante per chi si occupa di implementazione riguarda, a pagina 12, il formato di output. Una grande fetta degli operanti nel settore, infatti, continua ad affidarsi a un output 2d, nonostante l’utilizzo di un BIM al livello 2 preveda l’utilizzo e lo scambio di modelli. È un fenomeno facilmente osservabile anche in quell’eccellenza degli studi italiani di progettazione che attualmente ha raggiunto un buon livello di BIM: il modello viene realizzato e condiviso, tra le diverse discipline all’interno (44% degli intervistati britannici) e all’esterno dello studio (54%), ma il formato dell’emissione rimane quello tradizionale. Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici e possono essere di ragione contrattuale o semplicemente perché ci si muove ancora all’interno di quello che l’Australia ha chiamato broken circle, ma al momento non ci interessano. Ciò che è interessante per chi implementa è che la domanda di protocolli che consentano un buon output 2d a partire da un modello BIM non si esaurisce con il livello 2, ed è problema tutt’altro che banale.

NBS National BIM Report 2015 - BIM practice 1
NBS National BIM Report 2015 – BIM practice (1)

Un altro dato interessante è quello che riguarda l’utilizzo di un modello dall’inizio alla fine del progetto, ovvero fondamentalmente l’aderenza al BIM dal concept al detail design, fino alla fase documentale e di costruzione. Impossibile determinare, dal solo report, quali siano le fasi di competenza degli intervistati, ma per quanto mi riguarda anche questo è problema noto e quantomai spinoso: non è raro vedere studi di progettazione italiani abbandonare il BIM quando diventerebbe più utile, ovvero nelle ultime fasi in cui il rapporto tra gli sforzi e i benefici diventa davvero vantaggioso. Se in parte è confortante vedere che il 69% dei nostri colleghi britannici ha lo stesso problema, la cosa dovrebbe spingere a riflettere su quali siano le motivazioni che spingono gli studi ad abbandonare il BIM, o ad intraprenderlo solo in alcune fasi. Personalmente non sono un’integralista, e sono la prima a riconoscere quando alcuni particolari elaborati appartenenti a specifiche fasi devono essere portate al di fuori del software di riferimento, ma è evidente che l’efficienza del BIM a un più alto livello, che prescinde dal singolo elaborato, può riscontrarsi solo e soltanto se il flusso di lavoro si mantiene compatto e ogni figura coinvolta all’interno del processo di progettazione accetta di operare all’interno della “ruota”. Pena provocare un ictus al povero MacLeamy. Ma di questo parleremo in seguito.

la curva di MacLeamy per l'efficienza del BIM
L’abusata curva di MacLeamy per l’efficienza del BIM

È tuttavia molto confortante che solo un 11% degli intervistati britannici rimanga convinto che BIM sia sinonimo di disegno CAD in 3d (pagina 14 della ricerca). Sarei curiosa di leggere i risultati di una domanda simile posta nel nostro mercato italiano, e sospetto che la percentuale sarebbe di gran lunga più alta. Non per pochezza dei nostri professionisti, intendiamoci, ma spesso per autoreferenzialità dell’informazione, o per eccessivo orientamento al software dei consulenti.
E, parlando di Software, ulteriore dato interessante che ricaviamo dal primo grafico NBS riguardo all’esercizio del BIM è quanto poco vengano prodotti modelli con caratteristiche di interoperabilità indipendente dal software di realizzazione (l’annosa questione dell’IFC) e quanto poco vengano consegnati modelli al Facility Management (l’annosa questione del COBie). Prendendo le mosse dal recente convegno ANCE in Confindustria a Modena e dai dati che Lorenzo Bellicini ci ha graziosamente mostrato, il settore delle manutenzioni ordinarie è certamente quello in cui si trova la più ghiotta possibilità di espansione per il nostro mercato, ma quali siano le richieste di tale mercato rimane tutt’ora un affascinante mistero.

Le annose questioni dell’IFC e del COBie
Il fatto è confermato dalle successive due domande (pag. 13 del documento) in cui viene indagato l’utilizzo dei formati IFC e COBie. E se l’IFC registra un promettente aumento di popolarità (dal 39% al 49% in due anni), il povero formato di Construction Operations Building Information Exchange rimane negletto e decresce dopo un inaspettato picco del 23% registrato nel 2013. Ora, come giustamente rileva NBS, la scarsa popolarità del formato può essere dovuta alle oggettive difficoltà di approccio da parte di un appartenente all’industria delle costruzioni ma il suo abbandono rispetto all’anno precedente può anche essere indice di una crescente maturità, di un approccio maggiormente critico, in ambito BIM, rispetto ai formati di interscambio. Il COBie infatti viene fondamentalmente tradotto all’interno di uno spreadsheet, cosa che secondo molti operatori contraddirebbe il principio base del BIM, ovvero che tutti i coinvolti nella filiera allargata partecipino del medesimo modello contenente le informazioni necessarie ad esercitare la loro professione. Per ulteriori informazioni, si consiglia di sperimentare con gli strumenti del COBieLite messi a disposizione da buildingSMART. Posso testimoniare che è un formato difficile, la cui incorporazione all’interno di un flusso di lavoro risulta macchinosa e onerosa, e spesso non adeguatamente retribuita, in un mercato che fa ancora fatica a comprendere concetti assai più intuitivi come quello di asBuilt.

Utilizzo di IFC e COBie
L’utilizzo di IFC e COBie cresce da una parte e diminuisce dall’altra

Anche in questo caso, le difficoltà e l’approccio critico dei nostri colleghi britannici sono di conforto, da un lato, come lo è il dato relativo alla consapevolezza rispetto a questi formati (il numero di intervistati che non sa rispondere alla domanda scende dal 30% al 18% per l’IFC, e dal 28% al 16% per il COBie). Tuttavia quest’informazione sarà di ben poco aiuto se la categoria dei progettisti e dei costruttori, con l’aiuto dell’Accademia, non sarà in grado di rispondere con valide alternative da proporre al mondo del Facility Management. È folle pensare di poter pensare di cavarsela consegnando un modello IFC a un responsabile della manutenzione in Turchia, con una stretta di mano e tanti auguri per il futuro.

…a lot of effort (and money) has been put
into COBie, but the whole Excel sheet concept
contradicts the fundamental principle of a
common data environment.

L’altrettanto annosa questione della libreria
Altra questione spinosa, che emerge con prepotenza dallo studio, è il disperato bisogno dei progettisti di ricevere componenti da parte delle aziende di produzione. È un problema devastante, che va ben oltre la mancanza di blocchi CAD lamentata, nei tempi andati, durante l’adozione del disegno al computer: la mancanza di librerie adeguatamente modellate e compilate si equipara ad una mancanza combinata di blocchi 2d, blocchi 3d, documentazione fotografica, certificazioni e schede tecniche. L’assenza di una libreria riduce il fornitore a essere praticamente inesistente, in termini BIM, e così i suoi prodotti. Perché, come giustamente osserva il 47% degli intervistati, non si parla di BIM se nel modello non vengono collegate le specifiche tecniche dei componenti. Il 76% si dichiara completamente d’accordo con l’affermazione: “abbiamo bisogno che le aziende produttrici ci forniscano oggetti BIM“. Il 16% non sa rispondere. Potremmo assegnare d’ufficio la realizzazione delle librerie a quel 9% che si dichiara in disaccordo, ma non sarebbe una soluzione. Le aziende devono investire nella realizzazione di componenti che consentano ai progettisti di non decuplicare le fasi iniziali del loro processo. Gli studi devono investire nella realizzazione di librerie che consentano ai loro progettisti di progettare a partire da mattoni già ragionevolmente pronti, senza doverseli cuocere personalmente a ogni passo. I progettisti devono capire che nelle prime fasi di un processo BIM è necessario rimboccarsi non solo le maniche, ma anche la pelle delle braccia.

Dovendo portare a casa suddetta pelle come il resto dei progettisti al mondo, BIM e non BIM, il 69% dei progettisti britannici crea i propri componenti all’interno dello studio, per specifici progetti, e poi li riutilizza nei progetti successivi. Il 63%, per motivi che sarebbe molto interessante analizzare, crea i propri componenti all’interno dello studio ma li utilizza in un solo progetto e poi li disperde nell’ambiente, per ricominciare da capo la volta successiva. Solo il 10% si affida a professionisti esterni per la costruzione dei propri componenti, mentre il 60% dichiara di ricevere i componenti direttamente dalle aziende produttrici, e anche in questo caso sarebbe interessante indagare lo specifico settore di appartenenza degli intervistati. Oggetti generici, o segnaposto, e librerie on-line sono ugualmente popolari.

Using open libraries reduces the risk of objects
going out-of-date, and so becoming inaccurate.
It increases the opportunity for inter-company
collaboration through using a common
object source.

Certo, la costruzione di librerie comuni ci pone di fronte a quella che è questione marginale per chi si occupa di standard ad alto livello, ma che è questione cruciale per chi si occupa dell’implementazione di tutti i giorni: quale software? I risultati dell’NBS, a una prima lettura, potrebbero far cadere dalla sedia.

Last year we noted that ‘Graphisoft ArchiCAD
and Nemetschek Vectorworks continue to have
a loyal user base’. Analysis of the data suggests
that this loyalty has translated into a significant
increase of respondents to the BIM survey
among Nemetschek Vectorworks customers,
resulting in it being the most used piece of
software among our respondents, with 29%
using it. We suggest a little caution in taking this
as a definitive description of the UK market.

Mi unisco a questa raccomandazione. Come recenti esperimenti progettuali ci hanno dimostrato e come è sempre bene ricordare, Vectorworks offre diversi ambienti di lavoro ed è possibile utilizzarlo in modo assolutamente non BIM. Di più. È possibile impiegarlo prescindendo totalmente non solo dall’utilizzo di componenti intelligenti, ma anche prescindendo dal suo ambiente di lavoro 3d. Attenzione quindi, perché la popolarità di Vectorworks potrebbe indicare una latente resistenza al cambiamento, anziché una lealtà allo strumento nell’effettuare il salto. Ma quali sono i numeri?

Software in utilizzo: i numeri
Questi.

Ebbene il 29% utilizza Vectorworks ma un buon 25% adotta Revit, che con questo si conferma in testa rispetto al suo “concorrente interno”, AutoCAD. Certo, sommando gli utenti AutoCAD con gli utenti AutoCAD LT… ma è meglio non pensarci. Stupefacente, invece la scarsa popolarità che godono, nel Regno Unito, SketchUp di Trimble e lo stesso ArchiCAD, per tacere del povero AllPlan. Sospetto che la stessa indagine, in Italia, otterrebbe ben altri risultati.

Quanto siamo simili, quanto siamo diversi
Proseguendo nella lettura del report, a partire da pagina 17 terminano i dati e iniziano i casi studio. Un’occasione sempre ghiotta per verificare quanto siamo simili, ma anche quanto i nostri principi di progettazione siano diversi rispetto a quelli adottati dai nostri compagni d’avventura britannici.
E il primo punto di scontro, come spesso accade, riguarda il temuto LoD (inteso in questo caso come Livello di Dettaglio e non come Livello di Sviluppo e… sì, il fatto che il LoD e il LoD siano nati con la stessa sigla complica sempre orrendamente le cose). Alistair Kell, Direttore IT presso BDP, ci parla non solo di processo ma anche di Livelli di Dettaglio e si allinea, con il suo grazioso schemino di pagina 21, a quello che è lo standard LoD secondo il BIM protocol britannico e statunitense. E, come ben sappiamo, il dissenso inizia proprio sulla fase di Concept.

LOD britannico vs LOD personalizzato
LOD britannico vs LOD personalizzato (solito esempio, diversa poltrona)

La fase G1 del LOD britannico è forse il peggior nemico nell’implementazione del BIM all’interno degli studi italiani. E, francamente, chiama alla disobbedienza civile anche uno spirito pratico come il mio. Certamente ogni studio ha i suoi metodi e il concetto stesso di standard prevede che essi vengano abbandonati in favore dell’adozione di una linea unitaria. Tuttavia, almeno a livello nazionale, si riscontra una certa omogeneità nella discordanza rispetto allo standard UK. Lo step G1 è proponibile, e solo in circostanze particolarmente favorevoli all’implementazione, solamente come visualizzazione di lavoro che affianchi, in tempo reale, un upgrade al G2 (se non direttamente al G3) o un downgrade al 2d intelligente, che si potrebbe chiamare G0+) che risponda alla necessità del progettista di veder concretizzate le sue idee in una forma più vicina alla realtà, meno schematica e – soprattutto – sempre presentabile al cliente. Non dimentichiamo che, per la particolare costituzione del mercato italiano, gran parte dei progettisti hanno il primo cliente nel proprio datore di lavoro. Una fase di concept con le informazioni contenute nel LoD G0, e relativa rappresentazione grafica, risulta spesso completamente inaccettabile. Il flusso di sviluppo del modello ha quindi un moto oscillatorio, e non crescente, facilmente riassumibile con il solito esempio della poltrona applicato ai LoD intesi nella seconda accezione.

LOD vs LOD - livelli di dettaglio e fasi di progetto
LOD vs LOD – livelli di dettaglio e fasi, in un progetto “all’italiana”

Gli studi di progettazione italiani partono spesso da un Concept dettagliatissimo, sia in termini geometrici che in termini di informazioni correlate. Capita di sovente che la fase di Concept costituisca un unicum con la fase di presentazione. È quella fase in cui il progetto viene “portato a casa” (insieme alla relativa pelle di cui sopra), in cui si vuole dimostrare l’eccellenza dello studio rispetto alla concorrenza. La fase del concorso, della presentazione, del Concept, è una fase in cui il BIM viene tragicamente sottoutilizzato, per la sua scarsa reattività a quei problemi squisitamente grafici che non raramente vengono trascurati come secondari. E, di conseguenza, la non adozione del BIM sin dai primissimi passi del progetto è uno dei grandi freni all’implementazione. In BIM è possibile calcolare superfici, portare avanti accurati studi volumetrici, concludere – con poco dispendio di risorse – studi di fattibilità che con metodi tradizionali si rivelano onerosi e potenzialmente poco accurati. È possibile fare questo e molto altro, ma non in LoD 0. La maggioranza degli studi di progettazione che costituiscono l’eccellenza italiana, parte nel Concept da un LoD G2, se non addirittura G3. Questo particolare workflow, molto carico sia in fase di Concept che in fase di Detail, è quello che ci porta a sputtanare – con licenza parlando – la curva di MacLeamy. Questo è quello che spesso ci porta a pensare di non poter ottenere un vantaggio dal BIM, o di non poter investire nella sua implementazione. Ma per quanto io sia allergica al cercare vie diverse rispetto agli standard, forse è necessario proporre a livello nazionale un nuovo standard, che culli le nostre eccellenze e tenga conto delle nostre specificità. A margine, e riallacciandosi al discorso del COBie, forse è anche necessario capire davvero di cosa ha bisogno il LOD500, e quindi il Facility Management, a livello geometrico e di informazione correlata, perché personalmente nutro serissimi dubbi che lo standard britannico risponda effettivamente al bisogno. E questa analisi sembra darmi ragione.

Strettamente correlato al discorso dei LOD, è il successivo contributo a cura di Stefan Mordue (sì, proprio l’autore di BIM for Dummies), che si discosta dal problema geometrico per affrontare il problema delle informazioni legate ai componenti e al modello.

When you think of a model, perhaps the first
thing that comes to mind is geometry. This is not
surprising as models have been used for centuries
to set out a designer’s intentions – conveying
shape, space and dimensions. […]
However, while the geometrical or graphical
data can tell us the width of a brickwork leaf and
the height of the walls, at a certain point during
construction it is the written word that is needed
to take us to a deeper level of information.

Conclusioni: l’autoconsapevolezza è il primo passo
L’informazione che è probabilmente più rilevante all’interno del documento, tuttavia, si trova proprio alle prime pagine e ha un sapore quasi Socratico.  Il 95% degli intervistati si dichiara consapevole dell’esistenza del BIM (anche se questa cifra si divide equamente tra utilizzatori e non utilizzatori). Ma se il 45% si dichiara fiducioso nei propri mezzi e nelle proprie competenze in materia, un 26% di incerti e un 30% di timorosi lo supera di cinque punti. E, per parafrasare Platone, forse dobbiamo concludere tra noi che veramente di cotest’uomini son più sapienti loro, che come non sanno, neanche credono di sapere.

 

Download correlati:
NBS National BIM Report 2015
NBS National BIM Report 2014
RIBA Plan of Work Toolbox
Scenari di Innovazione per le Costruzioni: nuovi mercati per nuove imprese (atti del convegno)

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