AI in Gran Bretagna: la parola agli architetti

Questa mattina aprendo LinkedIn mi è sembrato di essere tornata indietro nel tempo, e nello specifico mi è sembrato di essere tornata indietro di quasi dieci anni, al 2015, quando presentavo in Italiano il primo report dell’NBS circa l’adozione del BIM nel Regno Unito. Il RIBA infatti (Royal Institute of British Architects) ha recentemente presentato […]

Questa mattina aprendo LinkedIn mi è sembrato di essere tornata indietro nel tempo, e nello specifico mi è sembrato di essere tornata indietro di quasi dieci anni, al 2015, quando presentavo in Italiano il primo report dell’NBS circa l’adozione del BIM nel Regno Unito. Il RIBA infatti (Royal Institute of British Architects) ha recentemente presentato il suo Artificial Intelligence Report e confesso che me l’ero perso. Traiamo conforto dalla Gran Bretagna anche questa volta? Vediamolo un attimo.

Il Rapporto sull’Intelligenza Artificiale (AI) del RIBA illustra i risultati del nostro sondaggio su oltre 500 membri del RIBA in merito all’AI e al suo significato per la professione e il suo esercizio, accompagnati da articoli di esperti che trattano alcune delle importanti questioni che l’AI solleva.

Nel dettaglio, il report include:

  • Foreword: Muyiwa Oki, RIBA President 2023 -2025
  • RIBA AI survey: findings: Adrian Malleson, Head of Economic Research at the RIBA
  • Digital twin technologies: a major opportunity: Philip D. Allsopp. D.Arch., M.S.(Public Health), RIBA, CSBA, CEO, ORBIS Dynamics, Inc
  • The current state, promise, and near-term future for AI in architecture: Amy Bunszel, Executive Vice President, AEC Solutions at Autodesk
  • Architects and artificial intelligence: Dale Sinclair, Head of Digital Innovation at WSP
  • Adoption of AI and its use within the architecture industry: Jaina Valji, Architect & Founder at Copy and Space
  • The computable and the incomputable: Tom Holberton, AI Researcher and Lecturer, UCL

Come sempre, vediamo prima i numeri. Che purtroppo aprono con questa immagine.

Experiment 2 with Midjourney, image courtesy of Jaina Valji, Copy and Space

BIM e Maturità digitale

Il report inizia con l’esplorazione della maturità digitale dei partecipanti e analizza la loro produzione di modelli informativi. I numeri che ci aspettiamo dal Regno Unito sono sempre alti, ma la maggioranza dei partecipanti (un solido 47%) dichiara di posizionarsi nella media del mercato rispetto alla digitalizzazione, e mi piacerebbe che avessero anche chiesto loro quale ritengano sia la media del mercato perché qui si annida un possibile bias di un certo rilievo: non innovo perché penso che i miei competitor non lo stiano facendo e ritengo che le tecnologie non siano mature. Me lo sono sentita spesso dire riguardo al BIM. Lo sento ancora. Su un complesso di processi che nasce negli anni ’60 ed è normato dal 2017, non so bene cosa uno stia aspettando.

Le domande del RIBA fanno riferimento a questa curva, ed è un po’ tautologico scoprire che la maggioranza dei professionisti si ritiene distribuita insieme… alla maggioranza.

Un buon 30% degli intervistati ritiene invece di essere innovatore e/o tra gli “early adopter” dell’innovazione digitale.

Questo numero mal si accoppia con il dato successivo, in cui il 34% non produce mai modelli informativi (mentre solo il 5% dichiarava di resistere l’innovazione) e il 28% ne produce solo di tanto in tanto (contro un 17% che dichiarava di essere spesso un po’ tardivo nell’adozione dell’innovazione.

Praticamente il 62% degli intervistati non produce mai modelli informativi oppure ne produce solo quando richiesto / necessario? Di che cosa stiamo parlando?

Io vado a casa…

Gli studi di piccole dimensioni hanno una probabilità significativamente inferiore di creare e mantenere modelli conformi alla norma ISO 19650, mentre i grandi studi sono significativamente più probabile. Il 12% dei piccoli studi con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 10 crea e mantiene sempre modelli BIM conformi alla norma ISO 19650, mentre il 62% non lo fa mai. La percentuale di “sempre” sale al 43% per gli studi di grandi dimensioni (da 50 a 99 dipendenti) e al 50% per gli studi con 100 o più dipendenti.

Intelligenza Artificiale: conoscenza e uso

In questo scenario francamente non proprio roseo, sorprende poco (soprattutto se confrontati con similari report riguardo al BIM) che la maggioranza degli intervistati dichiarino di avere una buona conoscenza dell’Intelligenza Artificiale. Se le cose vanno per il verso giusto, è una percentuale che vedremo scendere nei prossimi anni, mano a mano che aumenta la consapevolezza e i professionisti si rendono conto di non sapere.

Ci rivediamo l’anno prossimo con tutti quelli che hanno messo “Conoscenza Pratica” perché pigiano il pulsante “genera” su Midjourney

Anche in questo caso, i numeri non si accoppiano benissimo con quelli della domanda successiva, ovvero quanto spesso usi strumenti che si basano su un’intelligenza artificiale? Il 59% (presmumibilmente lo stesso che dichiarava di averne una conoscenza di base) ammette di non usarne mai.

Ma di che cosa stiamo parlando (2)?

Ansie e Timori

Dato per assodato che il livello di conoscenza e di utilizzo è quello che è, il RIBA procede a interrogare i suoi iscritti circa il timore percepito rispetto alla crescita di questi strumenti e, come ci si può facilmente aspettare, la paura è tanta. Secondo il 36% degli intervistati, l’AI è una minaccia alla professione e un buon 58% la addita come ulteriore rischio che il proprio lavoro venga “imitato” (qualunque cosa significhi). C’è tuttavia una buona spinta positiva sulla domanda relativa alla complessità: il 49% degli intervistati ritiene che strumenti basati sull’intelligenza artificiale possano aiutarci a districarci in una professione sempre più complicata.

In compenso nessuno sembra stia facendo ricerca.

La domanda sui benefici effettivi è invece riservata a chi ne sta facendo uso, per quanto insisto che il cappello è talmente ampio che sarebbe stata necessaria un’inception sul contenuto della testa che nasconde. Tra gli utilizzatori, il 43% ha visto un beneficio (ma per definizione stiamo intervistando gli “entusiasti”, il cui approccio potrebbe essere affetto da bias), ma i numeri crollano quando si esplora l’utilizzo nell’aumento dell’accuratezza dei modelli, nelle attività gestionali e relative alle stime dei costi, nell’analisi ambientale e nella produzione di specifiche, ovvero negli ambiti in cui sarebbe più utile (e probabilmente anche più etico) utilizzare questi strumenti. L’ipotesi che si stia parlando di rendering con Midjourney si fa sempre più forte.

L’ipotesi è confermata nella domanda successiva: l’uso si concentra negli ambiti del generative design e della visualizzazione nelle prime fasi del progetto. Interessanti le spinte nella verifica di conformità normativa e nella selezione dei materiali, ma purtroppo si conferma come gli architetti, anche oltre la Manica, abbiano una percezione principalmente estetica della loro professione e tendano paradossalmente a concentrare l’adozione di innovazioni tecnologiche quando fanno leva su quell’ambito. Il tema estetico e l’impatto dell’AI su quegli ambiti è tuttavia un tema complesso, sul quale non sono affatto certa che gli utilizzatori abbiano piena coscienza.

Come ultima nota di colore, è confortante vedere come i professionisti ritengano che l’Intelligenza Artificiale non potrà fare alcuna differenza nell’aumentare la collaborazione tra architetti.
Nemmeno le macchine ci possono salvare.

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