Eccolo. È tornato. La serie tv più breve e stuzzicante del 2010 è tornata con una seconda stagione altrettanto breve e altrettanto stuzzicante: lo Sherlock Holmes dei giorni nostri (un favoloso Benedict Cumberbatch, uomo da 600 parole al minuto) torna in compagnia del suo dottor Watson (Martin Freeman, presto o tardi Bilbo sul grande schermo), sempre alle prese con avventure liberamente tratte dalle opere di Conan Doyle ma, questa volta, ricalcanti più da vicino le loro fonti d’ispirazione. Li affiancano alcuni personaggi da un solo episodio, prima in testa Lara Pulvier nel ruolo di Irene Adler (episodio 1, A scandal in Belgravia, ricalcante da vicino il racconto Scandalo in Boemia), già vista in True Blood, Spooks e nell’improponibile Robin Hood di qualche tempo fa. La segue Russel Tovey (episodio 2, The Hounds of Baskerville, vera e propria versione moderna del Mastino originale) ed è quasi un inside joke vederlo interpretare il giovane rampollo perseguitato dal mastino, dopo averlo visto per tre stagioni nel ruolo di licantropo in Being Human. Deliziosi dettagli a parte (primo fra tutti l’espediente del cappello), la serie merita la visione anche solo per la regia frenetica, per la colonna sonora mostruosamente azzeccata, per l’uso spregiudicato delle sovraimpressioni e degli zoom. Un must di questa stagione, peccato mortale non vederlo.

Pride Month 2025: Words of the Day
Unbound, Unnameable: Desire and Dissolution in Marguerite Porete’s Mirror “Love has no why,and the soul who loves has no need to ask.She is unbound. She neither wills nor does not will,for she is held, wholly,in the embrace of Love’s will.”— Marguerite Porete, The Mirror of
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