"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

Salvation (1)


Il leone di carta si lanciò contro il ragazzo e gli squarciò la giugulare: larghe gocce di kajal caddero al suolo e la creatura si sfaldò, con un urlo disumano. Il leone ne fu in qualche modo investito, e si accartocciò. Come una foglia secca o un foglio di carta nel camino.
“Cazzo.”
Non era da lei, ma c’era da capirla. Qualunque cosa fatta ai suoi capelli, anche la migliore, era in grado di renderla nervosa per settimane. Figuriamoci quella cosa.
Nel sotterraneo, gli allarmi piangevano a singhiozzo, accendendo e spegnendo luci bianche che rischiaravano a intermittenza il dedalo di corridoi. Con una spranga di metallo, la mutante mise fuori combattimento un ragazzino che si trascinava piagnucolando e si chinò a frugarlo. Nemmeno un’immagine su di sé. Neanche uno straccio di Hello Kitty su una spilla, nemmeno un teschietto sulla maglietta, neanche un fregio vagamente antropomorfo.  “Sono iconoclasti, questi cazzoni.”
Si alzò e aprì una porta, sgusciando dentro mentre dei passi si trascinavano nella sua direzione. Appoggiò la schiena al metallo arrugginito e attese. Quegli idioti più che camminare strisciavano. Lamentandosi che la loro vita fosse uno schifo. Con uno scatto, aprì la porta, colpì l’emo alla testa e lo afferrò per un braccio prima che cadesse, trascinandolo nello sgabuzzino e richiudendosi la porta alle spalle. Odiava sporcarsi le mani. Il suo potere era un altro, di solito lasciava alle sue figure monodimensionali il piacere di fare a pezzi quegli idioti con quei fastidiosi e dolorosissimi minuscoli taglietti che solo la carta sa produrre. Ma non c’era nulla che potesse usare. Ogni parete era spoglia, ogni corpo prima di liquefarsi in una cascata di kajal non rivelava che inutili cianfrusaglie. E molte, troppe lamette senza il filo.
“Oh, finalmente qualcosa di utile! – esclamò, frugando in fretta quest’ultimo corpo. Estrasse dalla tasca del soprabito scuro una torcia tascabile, prima che tutto si liquefacesse in quella solita disgustosa poltiglia, e la provò di fronte a sé. E fu allora che li vide. O meglio, li sentì. Piccole mani picchiare contro superfici lisce e fragili. Piccole gole urlare.
La mutante si avvicinò. Aveva chiesto delle immagini, ma questo era semplicemente troppo. Alcune di queste erano facilmente riconoscibli: pagine di manga, fumetti americani, fotografie malamente ritoccate in photoshop, scene da videogiochi giapponesi, illustrazioni. Ma in tutte, qualcosa era sbagliato. Una figura, tra le altre, animata e disegnata in modo diverso, si agitava e picchiava contro la superficie di carta che la separava dall’esterno.
All’improvviso, le parole del Duca Bianco le tornarono alla mente: prese uno dei fogli e lo accartocciò in una mano. Qualcosa opponeva resistenza. Altrove, nei corridoi, si sentì un urlo. Si accesero altri allarmi, dei passi giunsero fino alla porta della piccola stanza.

Quando la porta fu abbattuta, centinaia di comparse da fumetto caddero sul corridoio. La stanza ne era piena, gli orridi emo di guardia ne furono sopraffatti. A centinaia si erano riversate fuori dalle pagine che erano custodite, lasciando soli a sbracciarsi gli omuncoli di cui ormai la mutante aveva decifrato il significato. Ma quell’immane evocazione l’aveva resa debole. Mentre le creature lamentose tentavano di scrollarsi di dosso le aggressive figure di carta, la mutante si arrampicò fino ad una stretta finestra a livello della strada e si trascinò fuori. Inciampò sul pavimento bagnato di Londra e corse fuori dal vicolo, svoltando in una strada trafficata e scontrandosi con tre figure che procedevano a passo sostenuto nella direzione opposta. Santino, la splendida Scarlet e la piccola Sophie. La più bella visione che mai avesse calcato le strade di Londra. “Dio, come sono contenta di vedervi.”
Runaway Zombie si lanciò al collo della mutante che padroneggiava le immagini su carta e le mordicchiò affettuosamente il lobo di un orecchio, affondando i denti un po’ troppo a fondo a dire la verità.
“Che cosa diavolo hai fatto ai tuoi capelli? – domandò Scarlet, inquisitiva, avanzando di qualche passo verso la mutante e passandole le dita tra i ciuffi impastati di nero che ricadevano sulla fronte.
“Sì, ho bisogno del vostro aiuto. Non sopporterei che il Conte mi vedesse così.”
“Già, beh, a proposito di questo… – mormorò Santino. – anche il Conte ha qualche problemino di aspetto, di recente.”
La mutante sorrise. “A questo problema penso di aver trovato la risposta. Torniamo a Carfax.”

 

(Continua…)
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4 Comments
  • chirieleison
    Posted at 17:24h, 30 October Reply

    oh sorellina cara, ma allora è finito tutto! Ci siamo davvero liberati di questi mostriciattoli o qualcuno è rimasto illeso a perpetrare la specie?

    Matta

  • Shelidon
    Posted at 23:21h, 30 October Reply

    Sorellina carissima, temo che qui continuiamo a vincere battaglie ma la vittoria della guerra è ben lontana. Ci occorre il Conte al pieno della sua forma per sbaragliare gli orridi esserini!

  • Damiani
    Posted at 00:58h, 31 October Reply

    Abbiamo le lacrime agli occhi! ritrovarti è stato stupendo! Ora restayling e dopo si vola a Carfax!

    Che l’adunata cominci!

  • Shelidon
    Posted at 14:40h, 31 October Reply

    Sì, è ormai tempo.

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