"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

Christopher Alexander – A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction

Nella creazione di Clex – Cluster of Experts, il nuovo format di crescita professionale di Forma Mentis, stiamo organizzando la biblioteca ideale di un progettista nell’era digitale. Ogni lunedì un libro per iniziare la settimana.

 

Oggi mi trovo a consigliarvi un libro straordinario sia per il contenuto che cosiderando il periodo in cui è stato concepito e pubblicato.

Christopher Alexander, Sara Ishiwaka, Murray Silverstein con Max Jacobson, Ingrid Fiksdahl-King e Shlomo Angel
A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction
Oxford University Press

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Il libro, tutt’ora uno dei trattati di architettura e urbanistica più venduti al mondo, è composto con l’obiettivo di identificare le regole di un linguaggio, che gli autori chiamano un linguaggio di modelli ovvero il pattern language del titolo, derivato dallo studio di esempi di architettura per estrarne entità archetipiche chiamate modelli. Identificano quindi 253 pattern che formano un linguaggio, quello dell’architettura e dell’urbanistica contemporanea. I pattern descrivono un problema e offrono una soluzione, ponendosi quindi anche come metodo progettuale per la suddivisione degli spazi.

L’obiettivo del trattato è fornire un manuale di architettura open source con il che privati e cittadini possano usare per lavorare con i loro vicini e migliorare il proprio quartiere, la propria abitazione o un edificio pubblico di interesse comune come un ufficio o una scuola. Un precursore insomma al concetto di hyperlocal e di smart city bottom-up, di cui mi è già capitato di parlare.

At the core […] is the idea people should design their homes, streets, and communities.
This idea […] comes from the observation most of the wonderful places of the world were not made by architects, but by the people.

I modelli prevedono la possibilità di modifiche e riparazioni future, in linea con il principio che gli spazi abitativi più soddisfacenti siano quelli che, come la vita dei loro occupanti, tendono a cambiare e ad evolversi nel tempo.
L’idea di un pattern language viene oggi applicato a molti tra i lavori d’ingegneria più complessi e ha avuto particolare influenza nell’ingegneria del software, che usa i design pattern per documentare la conoscenza collettiva nel campo. Il lavoro di Alexander è stato di ispirazione per Richard P. Gabriel nel suo Patterns of Software e raccogliamo l’ispirazione dal mondo della progettazione software, restituendola all’architettura, quando parliamo di progettazione open source.

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Non mi è possibile entrare nel merito dei numerosi pattern descritti in questa vera e propria bibbia di oltre 1.000 pagine, ma per inclinazione i miei preferiti rimangono i pattern che hanno a che vedere con i luoghi per l’istruzione. Viene quindi proposto un modello di università come mercato (University as a Marketplace), anch’essa costruita intorno ai principi fondanti dell’open source ovvero che chiunque debba poter frequentare un corso e che chiunque debba poter tenere un corso. Il corso si afferma attraverso un meccanismo di riconoscimento che viene dalla popolazione stessa: se le persone decidono di seguire un corso, allora si può dire che quel corso è istituito.
Il pattern è strettamente collegato a uno dei principi fondanti, chiamato Network of Learning, una rete non fisica ma strutturata e concepita con le stesse regole di una rete di trasporti o di servizi.

In a society which emphasizes teaching, children and students – and adults – become passive and unable to think or act for themselves. Creative, active individuals can only grow up in a society which emphasizes learning instead of teaching.

L’idea al cuore del pattern è quella di decentralizzare l’istruzione slegandola dalla scuola dell’obbligo e dalla scuola come istituto, creando un tessuto cittadino che consenta la nascita di processi di apprendimento decentralizzati: workshop organizzati nelle case o iniziative di formazione itineranti da svolgersi sul suolo pubblico, meccanismi di apprendistato, formazione reciproca e creazione di catene di assistenza dal più formato al meno formato, non troppo dissimili da quelle che sarebbero state ideate da sistemi come il Lean Six Sigma, viaggi di studio e iniziative nei musei, laboratori spontanei, disseminazione di conoscenza da parte degli anziani e così via.
A questo principio, oltre all’università come mercato, sono legati ulteriori pattern come i laboratori domestici (home workshops), case comuni per l’infanzia (children’s home) e le scuole con vetrina (shopfront schools).

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1 Comment
  • Pingback:BIM.InteriorDesign – Introduzione | Shelidon
    Posted at 13:08h, 14 March Reply

    […] degli spazi nel tentativo di creare un manuale di architettura open source. Ne ho già parlato qui. Il suo pattern 131 ad esempio, “The Flow Through Rooms”, si occupa di verificare le […]

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