Giorgio Gaber dall’archivio RAI

Era ora che si decidessero a tirare fuori un po’ di tutto quel materiale inutilizzato che hanno in archivio. Articolo dal Manifesto di ieri (link miei). Giorgio Gaber, il rocker gentile – Stefano Crippa Stacco elegante della camera sul volto affilato di un Gaber giovanissimo, seduto imbracciando la chitarra, che fa da spalla a una […]


Era ora che si decidessero a tirare fuori un po’ di tutto quel materiale inutilizzato che hanno in archivio. Articolo dal Manifesto di ieri (link miei).

Giorgio Gaber, il rocker gentile – Stefano Crippa
Stacco elegante della camera sul volto affilato di un Gaber giovanissimo, seduto imbracciando la chitarra, che fa da spalla a una bravissima Maria Monti, impegnati nell’esilarante La balilla tutta in stretto dialetto meneghino ma perfettamente leggibile. È un estratto, salvato da Teche Rai, di una delle prime trasmissioni condotte da Gaber Questo è quello, correva l’anno di grazia 1964. Un periodo passato perlopiù in televisione, che la Fandango – con il contributo della Fondazione Gaber e della stessa Rai – ha fatto confluire in un cofanetto Giorgio Gaber-gli anni sessanta (26 euro) composto da un libro, scritto e commentato in maniera molto rigorosa da Andrea Perinelli – dove trovano spazio saggi critici, testi delle canzoni in una funzionale scelta iconografica, e soprattutto da due dvd che riepilogano il decennio che va dal 1959 al 1969. Ma come si collegano le due fasi della carriera quasi antitetiche all’apparenza: la prima leggera leggera, trascorsa in trasmissioni di intrattenimento garbato, l’altra dal 1970 in poi quando a quattro mani con Sandro Luporini, Gaber traccia in un linguaggio forte il senso più profondo del teatro canzone? Si interroga Perinelli collegando i vari passaggi televisivi dall’esordio ne Il musichiere con Mario Riva con Ciao ti dirò, passando per le istantanee di Milano Cantata agli Studio Uno con Mina, quattro sanremi e un aura di «rocker gentile» che viene cancellata nel giro di un paio di stagioni. Una risposta la dà lo stesso Gaber, quando ricorda i suoi anni ’60 come una sorta di momento «gradevole e di tenerezza» che gli hanno consentito la successiva svolta teatrale. Non rinnega quel periodo, anzi, come sottolinea in più interviste rilasciate sul finire degli anni ’90: «Io non sento di dovere nulla all’intellighenzia, né ai mass media». Sentiva invece di dovere, e molto, alla gente che ne aveva compreso la svolta necessaria dal piccolo schermo al palcoscenico e che riempiva i teatri per i suoi spettacoli. Un itinerario che verrà affrontato nelle prossime uscite della collana – ciascuna dedicata a uno specifico decennio.

7 Comments

  1. gaber. grandissimo. la canzone o il monologo o quel che è che mi lascia a bocca aperta, nonostante i mille ascolti è “qualcuno era comunista”…una verità come poche sono state dette.

  2. Quando si è giovani, spesso e volentieri, non si riescono o vogliono capire determinati buoni artisti, quali Gaber. Adesso, avanti con l’età e rivedendo un pò del grande Gaber mi fa rabbia il non averlo compreso quando era in vita.

    Strana la cosa!

    Complimenti per il post.

    Felicità

    Rino, ascoltando Gaber

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