Accordo tra gentiluomini…

Sapevo sarebbe finita così… è sempre la solita storia. (articolo dal Manifesto di oggi) L’Italia al Getty Museum «la questione è morale» –Arianna Di Genova Né la Venere né il Giovane vittorioso attribuito a Lisippo. Il Getty Museum ha annunciato in una lettera che non restituirà i suoi capolavori. D’altronde, come avrebbe potuto rispedire al […]

Alessandro Magno di Lisippo


Sapevo sarebbe finita così…
è sempre la solita storia. (articolo dal Manifesto di oggi)


L’Italia al Getty Museum «la questione è morale» Arianna Di Genova
Né la Venere né il Giovane vittorioso attribuito a Lisippo. Il Getty Museum ha annunciato in una lettera che non restituirà i suoi capolavori. D’altronde, come avrebbe potuto rispedire al mittente il suo fiore all’occhiello, quell’atleta che tutti, a Malibu, chiamano con affetto il «Getty Bronze»? Il direttore Michael Brand ha rilanciato a modo suo: dei 52 reperti richiesti ve ne daremo solo 26, riconosciuti come bottino illegale dato che «nessuno si era accorto fossero di provenienza illecita». Alla piccola Italia dovrebbe bastare: il gigante Usa ha fatto la sua gentile concessione. Ma c’è una sorpresa. L’Italia fa le bizze, non ci sta. E il contenzioso resta aperto grazie anche a un temporeggiatore come Francesco Rutelli che non sventola più la carta dell’embargo, evita ulteriori ultimatum e sposta tutto sul piano morale. Etica contro prepotenza. Il valore simbolico, davanti agli occhi di tutti, contro il pragmatismo spicciolo. La solidità della storia contro la leggerezza di un presente effimero. Una mossa vincente che piazza l’Italia al primo posto fra gli stati da risarcire, pronta al dialogo nonostante la brutale rottura di trattativa della controparte americana. Italia-Usa si fronteggiano così sul terreno dell’arte. «È finita l’epoca in cui i musei potevano esporre nell’indifferenza opere acquisite in modo clandestino», ha detto il ministro. La riscossa per ora non prende vie legali ma sgombra il campo dai dubbi: quelle statue – e molte altre antichità – sono italiane, e rubate. Il museo californiano potrà continuare a mostrare al pubblico quella meravigliosa Afrodite ma i visitatori sapranno che non è sua, che è al centro di un casus belli irrisolto. Lo stesso varrà per il bel corpo nudo di atleta. Anche qui è la storia a mettere a posto le maglie: sulla sua «testa» si indaga da circa quarant’anni, da quando all’alba di un venerdì del 1964 venne ripescato nel tratto di costa davanti Fano. E pensate un po’: qui il «Getty Bronze» lo chiamavano, sempre molto affettuosamente, il «Bronzo di Fano». La preziosissima statua venne acquistata dal museo solo dopo la morte del suo patriarca. Paul Getty senior non si fidava della sua provenienza (illegale). I discendenti, invece, sborsarono (senza batter ciglio) 4 miliardi e 750 milioni di vecchie lire.
I tempi della tolleranza sono archiviati. Ora che il Getty Museum ha deciso unilateralmente di rompere le trattative in corso con l’Italia e di restituire solo ventisei reperti trafugati al posto dei cinquantadue richiesti (soprattutto, continuerà a esporre i due capolavori al vertice della lista contesa, Afrodite e Il giovane vittorioso , pregiata statua di atleta in bronzo attribuita a Lisippo), il ministero per i beni culturali annuncia la sua contromossa. E sottolinea che in realtà non si è rotto proprio nulla perché gli accordi erano ancora tutti da stabilire. Piuttosto, siamo in presenza di una sospensione dei negoziati. Non viene minacciato più l’embargo – niente scavi, nessun prestito, zero mostre – ma qualcosa di più soft, che congela però ogni confronto con l’istituzione americana. In attesa di una marcia indietro della controparte e di un pentimento. «La questione – ha spiegato il ministro Francesco Rutelli dopo aver convocato in fretta una conferenza stampa invitando anche i giornalisti stranieri – è fondamentalmente morale e non giuridica e, proprio per questa evidenza etica avevamo scelto una strada bonaria». Resta un fatto: se adesso il Getty vuole restituire le ventisei opere che per sua stessa ammissione sono state esportate illegalmente dall’Italia, lo potrà fare ma dovrà ricorrere alle vie della magistratura. Il governo, da parte sua, può intanto «chiarire che per troppo tempo nel mondo si è accertato con qualche indifferenza il traffico di antichità rubate, ma ora c’è la piena volontà di chiudere definitivamente questa pagina perché, da quell’epoca ad oggi, diverse cose sono cambiate: il mondo, la percezione delle opere d’arte, il giudizio dell’opinione pubblica internazionale e lo stesso Stato italiano». Nessun museo dovrà più esporre opere palesemente trafugate. È mutato il sentire comune e l’accordo con il Getty dovrebbe chiamare in gioco anche altri soggetti istituzionali e iniziare una grande campagna di restituzioni. L’intesa bloccata, finita nel freezer, non consegna al mondo una buona immagine: il suo valore simbolico è altamente negativo. Così Rutelli ha tentato di mitigare i toni ed è intervenuto per assicurare che la discussione Roma/Los Angeles resta aperta, «anche se – ammette per il momento ci sono solo botte». L’ultimo schiaffo, il più grave, è arrivato qualche giorno fa, sotto forma di una lettera che il direttore del museo californiano, Michael Brand, ha inviato al ministero italiano e dove, in sostanza, si chiudeva ogni possibile negoziato «sequestrando» definitivamente il Vittorioso e la Venere a Malibu. Motivo, non ne è stata accertata la provenienza illecita. La statua greca del giovane, ha scritto Brand a Rutelli, è stata ritrovata in acque internazionali, non italiane, nel 1964 e il Getty acquistò il reperto trent’anni dopo. Stessa storia per Afrodite: i funzionari del museo californiano fanno sapere che non ci sono le prove per dimostrare che tale opera provenga da uno scavo a Morgantina e che sia patrimonio archeologico italiano. Per altre antichità, invece, è stata riconosciuta la giusta causa («non eravamo al corrente che fossero state rubate») e possono essere rimpatriate. Gli accordi fra le due istituzioni, inoltre, secondo quanto dice il direttore del Getty nella lunga missiva, sarebbero stati ripudiati da Rutelli in persona, il quale non avrebbe fatto altro, negli ultimi tempi, che «rilasciare dichiarazioni sempre più dure e ostili nei nostri confronti». Nonostante l’incidente diplomatico che di fatto fa evaporare le trattative e la lettera che scotta ancora lì, sul suo tavolo, Rutelli riesce a mantenere la calma, a tenere aperto uno spiraglio e precisa che comunque non verranno fatti sconti e «saranno presi gli opportuni provvedimenti». E non chiude i canali. Temporeggia, aspettando le prossime mosse americane mentre il direttore Brand passa al contrattacco dichiarandosi molto «rammaricato» e scaricando le responsabilità: gli accordi sarebbero saltati perché Rutelli voleva per forza infilarci la restituzione dell’atleta di Lisippo. E come rimandarlo indietro se laggiù lo chiamano affettuosamente «il Getty Bronze»? Italia in stand by, dunque in attesa di una proposta decente e non più indecente. Perché non è vero quello che afferma nella lettera Brand: la Venere di Morgantina venne trafugata da uno scavo in Sicilia nel 1979 e il bronzo attribuito a Lisippo fu ripescato nel tratto di mare di fronte a Fano, rimase in Italia per qualche tempo e poi venne fatto emigrare clandestinamente. Per il Getty Museum e la sua ex curatrice delle antichità, Marion True, i guai inoltre non sembrano finiti. E la faccenda rischia di complicarsi. Marion True, che ha arricchito la collezione con reperti archeologici importanti, ha un processo pendente sulla sua testa in Italia e adesso anche le autorità greche ne hanno chiesto l’incriminazione per il suo ruolo nell’acquisizione di una corona funeraria risalente a 2500 anni fa. E come se non bastasse, la polizia ha fatto irruzione, la scorsa primavera, nella casa di True sull’isola di Paros, trovando un gran numero di pezzi mai registrati. C’è di che essere imbarazzati.

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