"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

Acci – denti

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Nutrivo aspettative altissime nei confronti di questo film, aspettative che in questo periodo sono eguagliate forse solo da Men in Black III (no, non conto Avengers: in quel caso le aspettative sono superate dalla netta sensazione che sarà una gigantesca boiata). E di recente avevo avuto aspettative analoghe nei confronti di un altro film, John Carter, che non le aveva deluse. Come osar sperare in un bis? Eppure la Aardman non mi aveva mai delusa, fino ad ora, a cominciare dall’introvabile Wallace & Gromit (e altre storie), passando per Galline in Fuga e arrivando a quell’ultimo assoluto capolavoro che è La maledizione del Coniglio Mannaro. Si scontrava tuttavia con un gigantesco scoglio: come riuscire a fare un buon film sui pirati dopo che la Disney aveva superato se stessa con il primo Pirati dei Caraibi e successivamente semi-esaurito se stessa sullo stesso argomento? Prendere un personaggio del calibro di Wallace, lo strampalato e imbranatissimo inventore, renderlo pirata e confrontarlo con elementi del calibro di Jack Sparrow. Era possibile? Sì. Come? Facendone parte fondante del soggetto. E no, non partite invasate e con gli striscioni, care le mie cheerleader di Johnny Depp: in questo film i celebri termini di paragone non vengono citati, nemmeno di striscio, ma il protagonista – un Capitan Pirata smargiasso e con la voce di Christian De Sica in italiano, ma cui nella versione originale dà la voce il re degli sfigati Hugh Grant – è un grande leader la cui massima aspirazione è vincere il premio pirata dell’anno. C’è solo un piccolo problema: i suoi avversari nella competizione sono, in crescendo, lo spagnolissimo Gamba di Legno Hastings (voce di Lenny Henry), la bonazza Liz (voce di Salma Hayek) e Black Bellamy (voce di Jeremy Piven), che per ritirare il modulo d’iscrizione si presenta a bordo di una balena, per così dire. Speranze per il nostro Capitan Pirata? Nessuna. Ma il nostro eroe non è tipo da darsi per vinto, e dopo una serie di abbordaggi fallimentari (la nave degli appestati, la gita di geografia delle medie, una nave fantasma) finisce con l’impossessarsi di una nave che cambierà il suo destino: è la spedizione scientifica di un Charles Darwin sfigatissimo e straordinariamente nerd (voce di David Tennant, e ho detto tutto). E qui la faccenda si fa intricata perché, come la regia non ha fatto mistero dall’inizio del film, il fedele pappagallo grasso di costituzione robusta che accompagna il Capitan Pirata e la sua stramba ciurma non è esattamente un pappagallo. È più un dodo. O meglio, l’ultimo dodo, appartenente ad una specie proverbialmente estinta e, ai tempi di Darwin, estinta già da più tempo di quanto sia consentito esserlo. Il piano è semplice, quindi: recarsi a Londra, presentare il dodo alla comunità scientifica e incassare le laute ricompense e sempiterna gloria necessarie a diventare pirata dell’anno. Piccolissimo dettaglio: della Regina Vittoria (voce di Imelda Staunton in originale e di Luciana Litizzetto in italiano) è famoso l’odio nei confronti dei pirati. Piccolissimi dettagli, come si diceva.
E di piccolissimi dettagli è fatta la grandezza di questo film d’animazione in stop motion, oltre che di quelle gag squisitamente British che costituiscono una firma dello studio Aardman: l’autoironica smodata passione dei protagonisti per un particolare alimento (il formaggio per Wallace, il prosciutto per Capitan Pirata), le motivazioni balorde dell’antagonista (anche se una società di gourmet simile a quella descrìtta nel film è in effetti realmente esistita), i rocamboleschi inseguimenti e il fedele animale domestico (fedele fino ad un certo punto e sicuramente molto più sveglio del padrone). Impossibile non citare poi le gag relative alla mappa, gli stacchetti musicali, il cameo di Elvis (voce di Brian Blessed), l’improbabile ciurma che accompagna il Capitan Pirata, tra cui un Primo Ufficiale cui a dare la voce è niente di meno che Martin Freeman, un attore che ormai da tempo sta procedendo a grandi passi verso la cerchia dei miei dieci preferiti. Un film delizioso, dall’umorismo raffinato, assolutamente da vedere.

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