Compare oggi sul quotidiano on-line di Libero.it un articolo di Francesco Massoni sul tema dei grattacieli. Devo confessare che la mia posizione in merito è abbastanza controversa: che le Twin Towers siano cadute anche perché erano costruite male, è un’ipotesi non mia ma che trovo abbia una certa consistenza. Ne parla il grande Joseph Rykwert nel suo splendido libro La seduzione del luogo: storia e futuro della città o, meglio, nella postfazione all’edizione italiana (Einaudi, 2003). La riflessione che trovo però risolutiva da parte di Rykwert è la seguente: «…quelle superfici scintillanti, appena increspate, conferivano [alle torri] un certo fascino kitsch, soprattutto al calare e al sorgere del sole, ma le finiture goticheggianti dei due edifici non facevano altro che fondere la sterile ipersemplificazione del modernismo con un ridondante storicismo. Le due torri non avevano aggiunto niente di positivo al tessuto urbano e, come architettura, non presentavano doti particolari. I loro volumi erano inerti e la piazza che le separava non invogliava i passanti all’indugio. Rappresentavano il trionfo del potere monetario.» Che l’autore dell’attacco alle torri ne capisca molto più di architettura di tutti coloro che «inspiegabilmente» (sempre citando Rykwert) oggi le rimpiangono? «A dispetto delle tante parole, sicuramente coraggiose, spese per afermare l’inevitabilità di questi o di altri grattacieli, la catastrofe di quel mattino di settembre ha gettato un’ombra sul senso degli investimenti in tutti i futuri edifici campioni di altezza». E perché? Per la paura che vengano abbattuti dal cosiddetto terrorismo internazionale? No: perché bisogna rendersi conto che il grattacielo, come acutamente sottolinea Rykwert, lancia un messaggio. Siamo sicuri che ci piaccia? Siamo certi di volerlo? Personalmente non lo voglio. E non perché non ami l’architettura dei grattacieli (siamo seri) o non mi renda conto dei problemi reali e concreti che spingono alla costruzione di questi imponenti edifici. Continuando a citare Rykwert, con cui non per la prima volta mi trovo in completo accordo, «quel che è certo è che la popolazione mondiale continua a crescere e che l’immigrazione dalle campagne nelle città e dai paesi più poveri verso quelli più ricchi non è rallentata, e sappiamo bene che questi fattori sottoporranno gli spazi urbani, sia lavorativi che residenziali, a pressioni sempre più forti. […] Resta il fatto che niente è riuscito a cambioare (e a mio parere niente cambierà) lo status e il contesto strutturale della grande metropoli mondiale, né alcun provvedimento sostanziale è stato preso per attenuare (non dico risolvere) i problemi che ho delineato, primo tra tutti un irrisolto conflitto di fondo: la gente chiede spazi sicuri, appartati e interconnessi, mentre il traffico esige una quantità sempre maggiori di strade e di aree di parcheggio. Trasporti e comunicazioni costituiscono inoltre un forte fattore di emissione di gas serra e dipendono tutti completamente dal petrolio. La politica petrolifera può offrirci almeno una chiave di lettura della situazione attuale». Insomma, pur senza scadere in teorie del complotto, il disinteresse delle alte sfere a dare spazio a forme di edilizia diversa da questa non causa sicuramente perdite economiche a nessuno di coloro i quali avrebbero gli strumenti per far sentire in maniera incisiva la propria voce. Ma, soprattutto, convincersi che ciò che ci viene propinato in tema di edilizia sia davvero quello che vogliamo è la cosa peggiore che possiamo fare. Soprattutto in un paese come l’Italia, dove né la conformazione delle città e del territorio in generale, né il percorso che ci ha portato fino qui giustificano in alcun modo cose come questa. Caro signor Massoni, ci rifletta.
Ecco l’articolo.
Architettura/ Dalla Torre Agbar di Barcellona al Turning Torso di Malmø, tornano di moda i grattacieli
Sabato 02.12.2006 12:00
All’indomani dell’attentato che ha raso al suolo le Twin Towers si è detto e scritto molto, anche a sproposito, in merito all’opportunità di costruire nuovi grattacieli. Eppure, questa tipologia di edifici rappresenta la quintessenza dell’innovazione tecnologica e progettuale di cui l’uomo è ancora capace. Il fatto che, per il loro rilievo architettonico e simbolico, dunque politico, possano diventare bersaglio del terrorismo internazionale, non costituisce una ragione valida per smettere di edificarne di nuovi. Sarebbe come rinunciare all’idea stessa di progresso. E infatti, in questi anni, si è continuato a farne, a New York, dove, a Ground Zero, è in costruzione la Freedom Tower, in Europa, ma soprattutto in Estremo Oriente, in Cina, e in tutte le grandi metropoli che conoscono un forte sviluppo, come Dubai o Mosca. Con la differenza, rispetto al passato, che non si tratta più di anonimi parallelepipedi eretti in ossequio alle regole auree dell’International Style, ma di costruzioni morfologicamente complesse, spesso caratterizzate da strabilianti torsioni e avvitamenti, le cui sinuosità sembrano voler celebrare più la teoria dello spazio curvo di Einstein che i precetti vitruviani.
Dunque, il grattacielo torna di moda, tanto che, per celebrarne il rinnovato fascino, è stato creato un riconoscimento ad hoc: l’‘International Highrise Award’.
Giunto alla sua seconda edizione, il premio, assegnato dalla città di Francoforte con il sostegno di DekaBank Deutsche Girozentrale, è stato attribuito all’architetto francese Jean Nouvel per il progetto della ‘Torre Agbar’ di Barcellona, un edificio alto 143 metri, per 35 piani complessivi, caratterizzato da una struttura cilindrica a sezione ovale, sormontata da una cupola, e da una facciata a doppia pelle, rivestita con lastre di alluminio e lamelle in vetro brise-soleil, che genera uno scudo termico, in grado di isolare dal freddo e dal caldo, dando luogo a effetti cromatici cangianti. La scelta della torre di Nouvel, sede della Sociedad General de Aguas de Barcelona, è motivata non solo da criteri di originalità estetica e progettuale ma dalla sua capacità di integrarsi nel tessuto urbano e di esprimere innovazione tecnologica a basso impatto ambientale, con costi ragionevoli (132 milioni di euro). “La sua forma espressiva, che sembra affiorare dal suolo – afferma il presidente della giuria, l’architetto Werner Sobek – mette in luce il pulsante dinamismo di un quartiere rivitalizzato da un’efficace pianificazione urbanistica”.
Oltre al progetto vincitore, hanno ricevuto menzioni speciali altre quattro torri a destinazione residenziale: il ‘Turning Torso’ di Malmø, in Svezia, progettato da Santiago Calatrava e alto 190 metri, il ‘Wienerberg’ di Vienna, firmato da Delugan/Meissl (106 metri), il ‘Montevideo’ di Rotterdam, opera dello studio olandese Mecanoo (152 metri), e il ‘Jian Wai Soho’, edificio multifunzionale realizzato a Pechino dagli architetti giapponesi Riken Yamamoto & Field Shop (100 metri). Questi e altri importanti progetti sono esposti nella mostra ‘High Society’ aperta al Deutsches Architekturmuseum di Francoforte fino all’11 febbraio 2007.
Nuovi grattacieli sorgono così in ogni parte del mondo, valorizzando, grazie all’architettura e a strategie urbanistiche ispirate a criteri di sostenibilità ambientale, l’identità evoluta di regioni e città che sanno guardare al futuro. Per il momento l’Italia è esclusa da questa lista d’eccellenza ma chissà che, prima o poi, i ‘vertiginosi’ progetti in cantiere a Milano non procurino un premio anche al nostro Paese.
Francesco Massoni
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