"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

Morto Noiret


Da Repubblica di oggi.

Adieu Philippe amico nostro – LIETTA TORNABUONI

PARIGI. E’ scomparso ieri all’età di 76 anni Philippe Noiret. L’attore francese conosciutissimo anche dal pubblico italiano era malato da tempo. In Italia la popolarità gli era arrivata con il film Amici miei di Monicelli, Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini, Dimenticare Palermo di Rosi fino a Nuovo cinema Paradiso di Tornatore. Tra le altre pellicole da lui interpretate sono da ricordare Zazie nel metrò di Louis Malle, L’orologiaio di Saint-Paul di Tavernier e Parigi brucia? di René Clément. Era nato a Lille nel Nord della Francia e aveva studiato recitazione con Roger Blin, quindi era entrato al Theatre National Populaire dove aveva recitato per anni, coltivando parallelamente il cabaret. Vero signore della scena, sapeva restituire con maestria l’ambiguità e i chiaroscuri della «sua» provincia . Il primo ministro Dominique de Villepin ha commentato: «Esprimeva l’anima francese». Mette vergogna pensare di aver scritto pochi giorni fa che Philippe Noiret «non stava tanto bene», che era «un po’ malato», di aver chiacchierato con lui al telefono con insistenza e futilità giornalistiche, di aver raccolto le sue risposte calme, cortesi, ironiche: e stava morendo. Philippe Noiret se ne è andato e noi (i francesi, gli italiani, tutti quelli che amano il cinema, il teatro) perdiamo un interprete bravissimo che era insieme attore di scuola e attore naturale, elegante, sobrio, capace di fare tutto, da ultimo condannato dall’età e dalla mole a parti da caratterista. Pessimo scolaro («Ero una nullità in tutte le materie») venne consigliato a diventare attore da uno dei sacerdoti-professori del suo liceo parigino che era stato frequentato da Montesquieu e da Malebranche. Poi la scuola di recitazione (suoi compagni erano Jean Rochefort, Delphine Seyrig); il lavoro con Jean Vilar al Teatro Nazionale Popolare, dove conobbe Monique Chaumette, unica sua moglie dal 1952, e Agnès Varda, fotografa del Teatro e regista del primo film da lui interpretato, La punta corta, 1952. E poi cabaret, radio, televisione, centotrenta film, centinaia di pieces teatrali, l’inizio della carriera italiana con La grande abbuffata di Marco Ferreri, il ritorno al teatro negli ultimi anni, l’amicizia forte con Marcello Mastroianni (sono morti tutt’e due a Parigi, tutt’e due della stessa malattia feroce). La capacità di tenere insieme tragedia e commedia, Racine e Ionesco, ne hanno fatto un grande attore. «Ha la grande dote della semplicità», diceva Monicelli. «E’ di quelli che danno il proprio stile all’epoca in cui vivono», diceva di lui il presidente francese François Mitterrand: e magari fosse stato vero. Gli piacevano gli attori mitici e belli come lui non era né sarebbe mai stato: Gary Cooper, Jean Gabin, Cary Grant; gli piacevano i sigari cubani arrivati dall’Havana, i bei vestiti («Mio padre lavorava nell’abbigliamento ed era molto elegante»). Amava la campagna e la sua casa di Carcassonne con i cani e i cavalli, amava l’Italia e il cinema italiano che lo aveva adottato: «Se ho fatto sette film con Tavernier, ne ho fatti quattro con Mario Monicelli. Ho avuto la fortuna di incontrare persone di prim’ordine, di girare bei film, di divertirmi. Tempi bellissimi». Ha recitato anche per Ettore Scola (La Famiglia), per Giuliano Montaldo (Gli occhiali d’oro), per Giuseppe Tornatore (Nuovo Cinema Paradiso). Poi «Il cinema mi piace meno, mi interessa meno, e piano piano se n’è andato».

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