"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

La città delle Tour

Leggo questa notizia dal Manifesto di ieri e già non vedo l’ora di andarci. Anche perché manco da troppo…

Un faro scolpisce il cielo di ParigiAlessandra Criconia
Parigi non smette di stupire: a pochi mesi dall’inaugurazione del museo delle arti primarie di Jean Nouvel al Quay Branly, la capitale francese si dispone a preparare il terreno per un’altra architettura singolare. Questa volta è il turno della Tour Phare, un grattacielo di trecento metri che la Unibail, una tra le più importanti holding della rete commerciale francese, intende costruire alla Défense entro il 2012, nell’ambito del programma di riqualificazione del quartiere degli affari parigino. Lo skyscraper è un tipo edilizio che viene abitualmente associato alle metropoli americane e asiatiche ma che negli ultimi anni si è diffuso anche in Europa. Ha cominciato Londra con il SuissRE – più noto come il cetriolo erotico – di Foster, poi ha seguito Barcellona con la torre Agbar di Nouvel. Adesso è il turno di Mosca che ha annunciato la realizzazione di un gigante di cinquecento metri, ancora una volta firmato da Norman Foster. Non stupisce che Parigi, che già vanta un discreto numero di architetture di prestigio a funzione culturale – dal Centre Pompidou all’Institut du Monde Arabe, dalla Fondation Cartier alla Bibliothèque Nazionale, al Quay Branly – abbia deciso di entrare nella competizione, anche per pareggiare i conti con la sua carenza di edifici alti d’autore. Così la città è riuscita ad accaparrarsi la firma dell’americano Tom Mayne che si è aggiudicato il concorso del «faro» con un oggetto neoorganico che si piega e si contorce per farsi spazio tra la Grande Arche e la Cnit e conquistare i cieli. Premio Pritzker 2005 dell’architettura, Tom Mayne non ha finora costruito nulla in Europa. Eppure l’agenzia Morphosis ha un sostanzioso numero di progetti urbani all’attivo: sono suoi i progetti di riqualificazione dei waterfront di Los Angeles, di San Paolo, di Toronto, fantasmagoriche ricostruzioni di nuovi suoli urbani da cui sbucano, come animali del sottosuolo, edifici tentacolari dalle configurazioni degne delle fantasie di Jules Verne. Anche il grattacielo parigino della Défense è un organismo ibrido che rivela una dimensione fantascientifica a cui i razionalisti francesi non sono ancora abituati. Ma Parigi è maestra nella costruzione del consenso e sa come preparare il suo pubblico. Prima è stato il Pompidou a organizzare una personale dello studio Morphosis nella primavera del 2006. Adesso è la Cité de l’Architecture e du Patrimoine che ha in corso fino al 25 febbraio l’esposizione dei progetti della tour Phare. Allineate le une accanto alle altre, le maquettes dei dieci concorrenti (tra i migliori architetti della scena internazionale di cui quattro sono gli ultimi premi Pritzker dell’architettura) offrono una piccola ma significativa rassegna della vitalità formale e stilistica dell’architettura contemporanea. Il posto d’onore spetta al progetto vincitore di Mayne, ma lasciano stupefatti anche le proposte di Foster, di Koolhaas, di Herzog & de Meuron, di Nouvel, di Fuksas, di Perrault e degli altri che non hanno risparmiato le invenzioni formali per rispondere alla richiesta di monumentalità espressa dal bando. La Tour Phare dovrà infatti rappresentare la tour Eiffel del nuovo millennio. Non bisogna però farsi trarre in inganno dalle apparenze. Dietro alle simpatie formaliste di Mayne e dei suoi colleghi si nascondono progetti rigorosi in grado di fare i conti con il grande numero di vincoli tecnici e strutturali che i programmi funzionali e le normative impongono al progetto di un grattacielo. Ad esempio la doppia pelle sensibile che avvolge plasticamente il corpo vertebrato del grattacielo alla Défense è una parete ventilata che garantisce il funzionamento bioclimatico del gigante. Non più semplice duplicatore di piani, il grattacielo è caso mai un moltiplicatore di funzioni che ne fanno un clone della città dentro un grande contenitore artificiale. All’interno di un grattacielo oggi c’è tutto: sale congressi e cinema, ristoranti, supermercati, uffici, abitazioni, giardini pensili, piscine. Solo, invece delle strade ci sono gli ascensori e le scale mobili e al posto dell’aria naturale e della luce diretta del sole c’è l’aria condizionata (anche se ormai con le facciate ventilate, i giardini pensili e le turbine eoliche si è riusciti ad abbattere l’uso dell’aria artificiale). Si capisce però come l’ipertrofismo delle architetture di ultima specie, che molti scambiano per una debolezza verso le mode, sia un escamotage che serve a sdrammatizzare e a rendere più familiari degli edifici che altrimenti sarebbero solo delle fredde macchine tecnologiche. E poi è un bel pezzo che gli architetti si sono emancipati dall’obbligo delle forme apriori. Lo stesso museo di Quay Branly di Jean Nouvel, ben più discreto del grattacielo di Mayne, nascosto come è dalla ricca vegetazione del giardino che gli passa sotto, non è meno radicale. Basta vedere una foto aerea per accorgersene. L’impianto del museo non ridisegna l’isolato secondo le regole della città compatta, ma lo interpreta per creare un paesaggio inedito che possa introdurre il visitatore alle culture del diverso e alla peculiarità della collezione delle arti primarie. Così un edificio smisuratamente alto che si erge in verticale per scolpire i cieli o un museo che, come le dita piegate di una mano, si aggrappa al terreno per pettinarlo e disegnarne la vegetazione, condividono una stessa intenzione: rispondere pragmaticamente alle richieste di programmi funzionali sempre più complessi, senza rinunciare all’edonismo della forma. Alta o bassa che sia, l’architettura contemporanea si propone di mettere in mostra il piacere della vita. Nouvel lo ha addirittura teorizzato nel manifesto dell’architettura Louisiana: «All’arcaico scopo dell’architettura di dominare e di lasciare un segno che deve durare per sempre, preferiamo oggi la ricerca del piacere di vivere».

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7 Comments
  • heraclitus
    Posted at 15:51h, 18 February Reply

    anch’io non vedo l’ora di tornare a parigi, ma la prossima meta credo sarà londra.

  • Shelidon
    Posted at 16:01h, 18 February Reply

    Nella situazione lavorativa in cui mi trovo, purtroppo non so quando avrò tempo per un viaggio. Purtroppo.

  • brianzolitudine
    Posted at 17:37h, 18 February Reply

    Parigi val bene una messa. E pure una promessa.

  • Njord
    Posted at 12:15h, 19 February Reply

    Carino il progetto…ma come il grattacielo più alto in programma (1200 metri dal suolo+ stazione orbitante e habitat subacqueo) ne ho visti pochi…

    ;-)

  • Shelidon
    Posted at 18:21h, 20 February Reply

    Brian, cos’è, una promessa di portarmici? ;-p

    eh, Njord, io ho un’avversione quasi isterica per i grattacieli. Mi piacciono solo in certi contesti. Ne ho parlato qui.

  • Shelidon
    Posted at 18:21h, 20 February Reply

    Brian, cos’è, una promessa di portarmici? ;-p

    eh, Njord, io ho un’avversione quasi isterica per i grattacieli. Mi piacciono solo in certi contesti. Ne ho parlato qui.

  • Shelidon
    Posted at 18:21h, 20 February Reply

    Brian, cos’è, una promessa di portarmici? ;-p

    eh, Njord, io ho un’avversione quasi isterica per i grattacieli. Mi piacciono solo in certi contesti. Ne ho parlato qui.

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