Il 10 gennaio, la Commissione Speciale del Consiglio di Stato ha espresso un parere circa il Decreto Legislativo 50/2016 comunemente noto come “Codice Appalti” e in particolare circa l’articolo 23 (comma 3), ovvero la Definizione dei Contenuti della Progettazione in materia di Lavori Pubblici nei tre livelli progettuali. Il parere è scaricabile qui. Confesso di non avere ancora avuto tempo di leggerlo. Fino a oggi.
Cos’è un parere?
Questo è quello a cui serve il Consiglio di Stato, almeno parzialmente: nella sua funzione consultiva, il Consiglio fornisce pareri circa «la regolarità e la legittimità, il merito e la convenienza degli atti amministrativi dei singoli ministeri, del Governo come organo collegiale o delle Regioni» (grazie, Wikipedia). Questo particolare parere, definito “interlocutorio” dai giornali, è il nr 22 del 2017 e fondamentalmente richiede una proroga dell’istruttoria: si dichiara incapace di esprimere un parere definitivo e rimanda il proprio giudizio previa acquisizione dei pareri della Conferenza Unificata e di ITACA, l’Istituto per l’Innovazione e Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale. A questi due enti, in particolare a quest’ultimo, vanno le mie più sincere speranze perché… beh, perché il parere del Consiglio di Stato è, per quanto mi riguarda, ben oltre ciò che si possa definire “deludente”.
L’argomento del parere
Argomento non è l’intero parere, ma una specifica porzione ovvero quell’articolo 23 e relativi riferimenti a cascata, in cui vengono definiti i tre nuovi livelli di progettazione, ovvero:
– progetto di fattibilità tecnica ed economica;
– progetto definitivo;
– progetto esecutivo.
Tra questi, ritengo che l’operazione più interessante venisse svolta, nel Codice, sulla prima fase ovvero il progetto di fattibilità. Particolare accento veniva posto sulla necessità di presentare diverse opzioni di progetto, e sull’importanza della preventiva esecuzione di una serie di indagini.
Ora, se avete familiarità con il nostro drinking game, munitevi di tutto il necessario perché sarò costretta a rispolverare dei grandi classici, i principi base (ma veramente base) di quello che stiamo facendo e del perché lo stiamo facendo.
A cominciare da questo.
Perché vi faccio rivedere lei?
Beh, perché bisogna pensare a lei quando si legge la porzione di parere riguardo al progetto di fattibilità che, nelle stesse parole del Consiglio di Stato, assume «un ruolo chiave nell’ambito del processo di progettazione». Si tratta del «livello in cui deve essere effettuata la scelta della soluzione progettuale valutata come la migliore tra tutte le possibili soluzioni progettuali alternative, che dovrà essere sviluppata nei due livelli successivi del progetto definitivo ed esecutivo in modo da non subire variazioni sostanziali». Un riassunto meraviglioso, come molti riassunti di questo parere.
Tuttavia, sempre nelle parole del Consiglio di Stato:
[il progetto di fattibilità tecnica ed economica] ha come conseguenza un notevole impegno di risorse economiche a questo livello iniziale del processo di progettazione.
Beh… sì. Certo. È uno dei principi fondanti del BIM, nella sua teorizzazione di workflow, e in generale su questo principio si basa una progettazione più efficiente, più accurata, più responsabile. L’anticipazione del lavoro alla prima fase. Proprio questo.
Negare l’anticipazione del lavoro alla prima fase per un beneficio delle basi successive significa negare ogni principio di efficienza sul quale la progettazione (digitale) degli ultimi vent’anni ha poggiato le sue basi.
Ma c’è di più.
C’è di peggio.
Non è solo il naturale aumento del carico nella prima fase ciò contro cui viene mossa obiezione, in questo miope parere.
È il concetto di analisi preliminare. Probabilmente il secondo principio base di una progettazione matura e responsabile. Il problema sarebbe che «il progetto di fattibilità tecnica ed economica deve essere redatto sulla base dell’avvenuto svolgimento – per tutte le possibili soluzioni progettuali alternative – di tutte le indagini e gli studi necessari per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare e le relative stime economiche». Ora, non posso credere che sia davvero necessario dirlo, ma… non vengono fatte analisi e studi per ogni soluzione progettuale: sono le soluzioni progettuali che vengono fatte sulla base di indagini e studi.
Mi sembra superfluo far notare che è sostenibile solo un processo virtuoso, che progetta a partire dai dati e non si limita a verificare posticciamente un’idea più o meno discutibile. Mi sembra superfluo farlo notare, ma evidentemente è necessario.
Sgravare la fase preliminare, quindi, è la parola del Consiglio. Un parere contrario a tutti i principi verso cui si sta muovendo la progettazione di domani (che, in molti casi, avviene già oggi).
Ma non è tutto.
I principi base verso cui ci muoviamo prevedono che il committente abbia un ruolo centrale, un ruolo consapevole, un ruolo attivo e partecipe del processo progettuale. Per questo, nel Codice, l’amministrazione aggiudicatrice (sempre nelle parole del Consiglio) aveva un ruolo centrale «nell’individuazione delle specifiche esigenze/fabbisogni da soddisfare», in particolare attraverso due documenti: il Quadro Esigenziale e il Documento di indirizzo alla Progettazione (se questa dualità di concetti vi è familiare, potreste averli letti l’ultima volta che vi ho parlato delle PAS inglesi).
Orbene, nel suo parere il Consiglio di Stato ritiene che questi due documenti non vengano definiti a sufficienza, il che ci porta al terzo e ultimo problema cruciale.
«Al fine di semplificare e quindi facilitare la redazione di tali elaborati, è stata prevista l’adozione di apposite Linee Guida, che il Consiglio Superiore dei lavori pubblici redige, approva ed aggiorna periodicamente». Tutto ciò è malvagio. Molto malvagio. Talmente malvagio che, nel parere, si merita un paragone con le deposizioni di ammiragli nazisti al processo di Norimberga (pagina 15 del parere, se pensate che io stia scherzando).
E quindi?
Giusto questa settimana si discuteva sulla possibilità di normare un processo fluido e in rapida evoluzione come quello della progettazione digitale. Giusto la settimana scorsa scrivevo circa il valore delle PAS: «a sponsored fast-track set of standards». Bene. Con questo parere del Consiglio di Stato, possiamo dire addio al concetto di PAS. La Legge deve essere scolpita nella pietra, lenta ad essere elaborata, lentissima ad essere approvata e, soprattutto, ancora più lenta a venire approvata. L’ideale, naturalmente, per un processo che si fa digitale e che deve stare, necessariamente, al passo di tecnologie e processi in rapidissima evoluzione.
Vedendo negati tre dei principi base per la progettazione digitale, il parere che il Consiglio di Stato “si pregia di trasmettere”, ci scaraventa indietro di parecchi mesi. Siamo alla casella 58 di questo Gioco dell’Oca. Paghiamo la posta. E torniamo alla casella 1. Oppure speriamo che ITACA e la Conferenza Unificata accorrano in nostro soccorso.
Altrimenti?
Si vedrà.
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