Nora e le altre bambole

Da Liberazione di ieri Nora, l’eroina femminista di Ibsen che piace ancora – Anna Maria Crispino Un magnifico tratto in stile liberty per ritrarre una donna col volto imbronciato, capelli raccolti su cui il cappello si posa con eleganza, sullo sfondo un gruppo di bambole ottocentesche, visi lisci di porcellana e abitini arricciati: così si […]

Un ritratto di Eleonora Duse nei panni di Nora
Da Liberazione di ieri

Nora, l’eroina femminista di Ibsen che piace ancora – Anna Maria Crispino
Un magnifico tratto in stile liberty per ritrarre una donna col volto imbronciato, capelli raccolti su cui il cappello si posa con eleganza, sullo sfondo un gruppo di bambole ottocentesche, visi lisci di porcellana e abitini arricciati: così si presentata la copertina cartonata di Nora, la Casa di bambola a fumetti disegnata da Cinzia Ghigliano (e colorata da Francesca Cantarelli). Il volume fu pubblicato in Italia nel 1978 dalla casa editrice Dalla parte delle bambine, nella collana “per le ragazze”, ma fu letto soprattutto dalle giovani donne che in quegli anni affollavano le manifestazioni femministe e che di Ibsen, forse, non avevano ancora sentito parlare. E rimase nelle biblioteche domestiche di molte di noi. Perché Nora era entrata di diritto nel pantheon delle “eroine” femministe, delle “antenate” di quel movimento che scuoteva l’Italia cattolica, familistica e ancora democristiana, dei “modelli” da proporre alle prime figlie o sorelle più giovani di quella generazione che stava facendo contemporaneamente il doppio salto mortale dell’emancipazione e della “liberazione”, come allora si definiva la presa di coscienza della soggettività femminile. Poi, avremmo parlato di politica della differenza. E di libertà femminile. Ma allora, negli anni Settanta, se la Nora del primo atto sembrava incarnare quel “sogno d’amore” che eravamo state addestrate a perseguire – un marito amoroso, dei figli affettuosi, una casa confortevole – lo svelamento della trappola della dipendenza, del peso delle convenzioni, dell’ipocrisia di facciata risuonava come una “verità” fin troppo riconoscibile anche a distanza di un secolo. L’agio di una vita protetta nello sperimentato ruolo di mogli e madri, magari anche già con un lavoro “compatibile”, sembrava sfuggire alla nostra esperienza: disagio, conflitto, crisi erano le parole per dirlo. E quella scena finale di Casa di Bambola, quello sbattere di porta che arrivava a scena ormai muta, produceva un doppio effetto straniante: allora si può! Ma anche: e poi? Chigliano la disegna in cinque sequenze finali, Torvald ormai solo una voce fuori campo: un primissimo piano di Nora, sguardo diretto e l’essenzialità della battuta «Migliaia di donne l’hanno fatto…». Lo zoom sul dettaglio lezioso di quella casa di bambola (un lume ornato), poi Nora di spalle che si avvia alla porta, l’ingrandimento che mostra il cappotto ben chiuso, la porta chiusa che sbatte sue spalle. Che si potesse uscire dalla famiglia tradizionale e da rapporti di coppia insoddisfacenti perché dispari quando non oppressivi ce lo aveva raccontato già molta letteratura e peraltro lo stavamo verificando nel vivo dell’esperienza. Ma quel “e poi”? E’ la domanda lunga un secolo che fa la nostra storia tuttora in corso: perché molte Nore sono rimaste a casa o ci sono ritornate, ma molte altre sono ancora in cammino, alla ricerca di una risposta. La celebrazione dell’anno ibseniano ha offerto l’occasione di rimettere a fuoco non solo la figura e l’opera del drammaturgo ma anche le questioni che al tempo suscitarono scandalo e su cui oggi possiamo tornare a riflettere. Il tempo ha distillato l’essenziale, facendo anche giustizia dell’ormai sterile dibattito sul “femminismo” di Ibsen: al di là del contesto storico che quel dibattito aveva prodotto – e su cui molti e molte si sono attardati/e – l’essenziale è che il “mago” Ibsen (come lo definisce Elizabeth Robins nel saggio del 1928 pubblicato su Leggendaria “Ibsen”) aveva saputo cogliere, e rendere drammaturgicamente, quel nodo cruciale che il femminismo ha chiamato “il personale è politico”: la relazione di Nora e Torvald è determinata in modo non contingente dal quadro legislativo, sociale e di costume ma da un conflitto cruciale tra uomo e donna, oggi diremmo tra soggettività e dinamica delle relazioni. L’elemento “rivoluzionario” – e straordinariamente anticipatore – è che Nora non resta sulla soglia di quella che pure era stata la sua casa, esce e chiude la porta dietro di sé. Torvald, l’uomo per cui si era “sacrificata” (facendosi fare un prestito e lavorando in segreto per restituirlo) è ormai “un estraneo”. «Non potrò essere dunque mai più un estraneo per te?» chiede l’uomo. «Temo di no. Dovrebbe accadere qualcosa di inverosimile… io non credo più ai miracoli». Non è solo un gesto di trasgressione: l’amore non basta, una pagina si chiude, quella che si apre nelle relazioni tra uomini e donne è in gran parte ancora tutta da scrivere.
Il numero di novembre di Leggendaria dedicato a Ibsen, (fascicolo monografico bilingue in italiano e inglese) sarà in libreria per novembre con il titolo “Nora e le altre”. Tra gli articoli centrali quello di Bia Sarasini, “La lodoletta ha imparato a volare” in cui analizza la figura di Nora come vittima non solo dell’oppressione sociale, ma anche della trappola psichica e interiore dell’eterna bambina.

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