MK6 (5) – L’aleatorità della tecnologia: gestione del cambiamento e processi di implementazione

Nella nostra ultima giornata tematica del MasterKeen 6, abbiamo navigato le più pericolose acque possibili, addentrandoci in un territorio difficile che esula dal lavoro di uno specialist e sconfina nelle competenze di un coordinator e di un manager. Come dico spesso, il nostro corso non prepara ad affrontare questo tipo di sfide: il lavoro in […]

Nella nostra ultima giornata tematica del MasterKeen 6, abbiamo navigato le più pericolose acque possibili, addentrandoci in un territorio difficile che esula dal lavoro di uno specialist e sconfina nelle competenze di un coordinator e di un manager. Come dico spesso, il nostro corso non prepara ad affrontare questo tipo di sfide: il lavoro in posizione dirigenziale, che sia sul progetto o sull’organizzazione, è un lavoro che richiede esperienza in ambiente non controllato e un corso, per definizione, non può fornire supporto in questo.

Nonostante ciò, alcuni principi possono essere per lo meno affrontati, dal punto di vista teorico, e quantomeno scomposti in modo da apparire meno misteriosi e oscuri.

Ci hanno guidato all’interno della giornata le presentazioni di:

1. Il Futuro

Alessandro Tamburo ha quindi aperto la giornata con uno sguardo sul possibile futuro che Mario Carpo immagina nel suo libro, a partire dalle innovazioni cui stiamo assistendo in ambiti che vanno dalla superiore potenza di calcolo dei computer alle migliori performance delle tecniche di fabbricazione digitale.

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Da parte mia ho già fatto un’estesa recensione del libro: la trovate qui e contiene anche una rassegna dei progetti nominati nel libro e che ho trovato particolarmente interessanti.

2. Il Passato

Il resto del gruppo di presentazione ha cercato invece di capire se davvero la storia sia maestra di vita e sia possibile trarre qualche insegnamento.

02 - Emanuela Adamo, Daniele Dell'Edera, Paolo Zecchini - L’aleatorietà della tecnologia 02 - Emanuela Adamo, Daniele Dell'Edera, Paolo Zecchini - L’aleatorietà della tecnologia (1)

Il libro di Nosengo suddivide le tecnologie “estinte” in tre categorie:

  1. Vinca il migliore, “Dove si dimostra che quando più tecnologie competono quella che vince non è necessariamente la migliore..” in cui parla di fonografo, betamax, posta pneumatica e fotografia digitale;
  2. Il vecchio e il nuovo, “Dove si mostra che non sempre il nuovo sconfigge il vecchio, e che non tutte le nuove tecnologie sono davvero nuove…” in cui parla di vinile, audiocassetta e fax;
  3. Aspettando Godot, “Dove si racconta di alcune tecnologie che tutti aspettano, che qualcuno ha già inventato, ma che forse non vedremo mai…” in cui parla di videotelefono, auto elettrica e auto volante;
  4. L’origine delle specie, “Dove si passa dal particolare al generale e si raccolgono alcune idee, utili a capire il cambiamento tecnologico…” in cui tira le somme e parla di standard (per viti e bulloni ma anche per software e sistemi operativi), macchina da scrivere, auto a vapore.

L’analisi di Paolo Zecchini, Daniele Dell’Edera e Emanuela Adamo ha rielaborato gli input ricavati dal libro dividendolo in tre grandi categorie:

  • “Right place, right time”, in cui Paolo Zecchini ha ipotizzato che le innovazioni abbiano successo quando sopraggiungono nel momento giusto, parlando di videocassette e betamax, ma anche di audiocassetta, tastiera;
  • “Standardization”, in cui Daniele Dell’Edera ha affrontato la questione degli standard parlando di prese e spine, viti e bulloni, sistemi operativi;
  • “Technology replacement” in cui Emanuela Adamo ha parlato di fotografia, vinile e auto elettrica per provare a domandarsi quali siano le condizioni perché una tecnologia ne sostituisca un’altra.

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Nell’analisi di ciò che la storia ci offre, il mio personale input è quello di riflettere su alcune particolari dinamiche, nello specifico trovo particolarmente interessante il discorso che Frances e Joseph Gies sviluppano intorno alla tecnologia medioevale e alla carenza di progresso tecnologico in epoca romana, in particolare:

  • la piccola scala nelle tecnologie di business romane, l’assenza di strumenti che consentissero di creare partnership durature;
  • l’eccessiva preoccupazione dei romani nella scienza teoretica, in particolare l’ammirazione nostalgica dell’architettura greca in opposizione ai loro stessi progressi ingegneristici e al potenziale che racchiudevano in sé.

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D’altro canto, in tecnologie più recenti trovo si possano rilevare altri avvertimenti:

  • una tecnologia valida può fallire quando viene sviluppata e proposta al mercato sbagliato: è stato il caso del fonografo e non posso fare a meno di domandarmi se non sia anche il caso del generative design per l’architettura, laddove Autodesk sta sviluppando e proponendo sistemi principalmente per l’industria meccanica;
  • una tecnologia efficiente può comunque fallire nella sua implementazione quando il costo infrastrutturale connesso è troppo alto: è stato il caso della posta pneumatica e non posso fare a meno di domandarmi se non sia anche il caso della banda ultralarga, che sappiamo essere fondamentale (anche se non condizione unica) per l’introduzione dei protocolli di collaborazione in tempo reale;
  • parlando di tecnologie è necessario considerare il modello di business per cui vengono proposte: una tecnologia che ha potenziale per il pubblico può non essere adatta per un utilizzo professionale e viceversa: non posso fare a meno di domandarmi se non sia questo il caso di tecnologie come la realtà virtuale.

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1. Bibliografia di riferimento

Per chi fosse interessato ad approfondire le dinamiche che guidano l’adozione delle nuove tecnologie, la bibliografia è infinita. Posso solo ripetere, in questa sede, i libri che ho rispolverato per la lezione.

E, naturalmente, i testi da cui siamo partiti per le nostre riflessioni:

001_BusinessModelNavigator 002_Implementation 003_TheInevitable 004_DiffusionOfInnovation 005_TheInnovatorsDilemma 006_CathedralForgeWaterwheel 007_TheSecondDigitalTurn 008_HomoDeus 009_EstinzioneTecnosauri


 

2. Digital Transformation

L’era digitale richiede un cambio di infrastruttura: non è più sufficiente avere un Chief Information Officer, come accadeva in passato, ma sono necessari interi dipartimenti che si occupano della sistematizzazione dei processi informativi. Questo cambiamento è ben sintetizzato e motivato in numerose analisi di mercato, ma per amore di brevità citerò solo Taming the Digital Dragon di Gartner. In un’analisi del 2014 troviamo concetti con cui stiamo faticando ancora oggi e l’analogia è abbastanza ovvia, tra ciò che viene consigliato in ambito IT e la nascita delle figure necessarie alla gestione del BIM. Quando si dice che la figura del BIM Coordinator verrà assimilata a quella del Project Manager, la verità è che analisi come queste ci informano diversamente e la risposta, forse, non è ovvia come si potrebbe immaginare.

3. Change Management

Il Change Management è la disciplina che si occupa della gestione del cambiamento, sia a livello aziendale che personale. Si tratta di processi di gestione il cui obiettivo è strutturare gli approcci al cambiamento e i delicati periodi di transizione e chiaramente è una disciplina fondamentale per noi.

 

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Quando si tratta di gestione del cambiamento, John Paul Kotter, professore alla Harvard Business School, è lo sviluppatore della metodologia cosiddetta degli 8 passi:

  1. Creare un senso di urgenza;
  2. Creare una coalizione che guidi il cambiamento;
  3. Formare una visione e una strategia;
  4. Comunicare la visione che sottende al cambiamento;
  5. Consentire l’implementazione del cambiamento rimuovendo gli ostacoli che potrebbero prevenirlo;
  6. Costruire occasioni per vittorie a breve termine;
  7. Consolidare il successo e lanciare ulteriori fasi di cambiamento;
  8. Integrare i nuovi approcci nella cultura aziendale.

Il metodo di Kotter è sviluppato in oltre quarant’anni di attività presso dirigenti e organizzazioni e mi piace particolarmente per la sua attenzione alla comunicazione e all’integrazione del cambiamento nella cultura aziendale.

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Il modello ADKAR è uno dei miei preferiti, quando si tratta di Change Management, come ho già scritto in occasione del workshop di allineamento visione che ho facilitato in Open Project utilizzando il metodo LEGO® SERIOUS PLAY®. ADKAR è un acronimo, il cui significato esteso dettaglia le cinque fasi, ovvero:

  • Consapevolezza (Awareness):
    • Individuare cosa funziona e cosa non funziona nel sistema attuale;
    • Analizzare quali sono le opzioni a disposizione;
    • Comunicare che esiste un problema;
    • Concentrare l’attenzione sulle parti più importanti del cambiamento.
  • Desiderio (Desire):
    • Comunicare i benefici per l’adozione del metodo scelto;
    • Identificare i rischi coinvolti;
    • Costruire slancio ed entusiasmo;
    • Occuparsi di fugare i timori.
  • Conoscenza (Knowledge):
    • Acquisire le nuove competenze tecniche;
    • Imparare a pensare come un team;
    • Imparare a gestire il tempo;
    • Condividere le informazioni;
    • Porre obiettivi ragionevoli.
  • Azione (Action):
    • Adottare un sistema di gestione adatto;
    • Formare anche il resto dell’organico;
    • Iniziare da un piccolo progetto;
    • Non muoversi di nascosto;
    • Aggiustare i processi rispetto alle esigenze specifiche.
  • Consolidamento (Reinforcement):
    • Posizionare figure chiave di coordinamento nei nuovi metodi;
    • Identificare i campioni nei nuovi metodi;
    • Condividere le esperienze;
    • Imparare dai primi errori.

Mi piace particolarmente perché dedica più di metà del suo modello alle fasi che normalmente vengono trascurate in favore di un’azione prematura: assessment e acquisizione della consapevolezza, costruzione del desiderio di cambiamento, organizzazione delle basi cognitive necessarie all’azione.

Si tratta di argomenti che, comunque, affronteremo nel dettaglio la prossima settimana durante la seconda edizione del nostro Boost, quindi mi vedrete parlarne ancora a breve.

 

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