“Salons” di Stendhal

mmm… questo sarà un acquisto da fare, senz’altro. Tra parentesi ho appena terminato gli Scritti sull’arte di Baudelaire (Einaudi, delirante e lunghissima introduzione di Ezio Raimondi), decisamente istruttivi. Stendhal: «Ingres e David pittori senz’anima»   N ell’estate del 1821, Stendhal è «esule» in Francia, in una Parigi che definisce «patria della piccolezza». Inseguito dalla polizia […]

mmm… questo sarà un acquisto da fare, senz’altro. Tra parentesi ho appena terminato gli Scritti sull’arte di Baudelaire (Einaudi, delirante e lunghissima introduzione di Ezio Raimondi), decisamente istruttivi.

Stendhal: «Ingres e David pittori senz’anima»

 

N ell’estate del 1821, Stendhal è «esule» in Francia, in una Parigi che definisce «patria della piccolezza». Inseguito dalla polizia austriaca, ha dovuto lasciare la «sua» Milano. Il futuro per lui è un incubo. Del resto, ha già avuto modo di accarezzare l’idea del suicidio (più un’idea che altro, è giusto dire). Le sue finanze sono allo stremo e il suo grande condottiero è appena spirato nella remota isola di Sant’Elena. Per sbarcare il lunario, Henri Beyle (questo il suo vero nome, cambiato in Stendhal non molto tempo prima) si fa giornalista e scrive alcuni articoli di critica d’arte e letteraria anche per riviste britanniche. Lo Stendhal giornalista non è meno interessante dello scrittore di romanzi e pamphlet. Anzi, quel suo attingere al gusto sofisticato del XVIII secolo dà ai suoi articoli un sapore assai gradevole. Nelle sue «corrispondenze» risaltano il paradosso, le annotazioni fulminee, le piccole e amabili curiosità, il pettegolezzo colto e fortemente allusivo. Ma anche dell’altro, come vedremo. Della produzione giornalistica di Stendhal fanno parte tre testi recuperati e recentemente stampati insieme da Gallimard, ora proposti in italiano dall’editore Nino Aragno con il medesimo titolo scelto dalla casa editrice francese, Salons . Il titolo fa riferimento a un’esposizione al Louvre nel 1822, evento culturale che all’autore suggerì una «critica amara». Nel brano che in questa stessa pagina si è scelto di anticipare appare chiaro come l’amore per l’Italia renda Stendhal persino fazioso; e tuttavia gradevolmente settario, con quel tanto di passione e di generosità che gli venivano dal suo spirito perdutamente romantico. Lo scrittore francese è talmente invaghito dell’Italia da prendersela con il pittore che fu il ritrattista ufficiale di Napoleone, David. Proprio con lui, uno degli artisti che più contribuirono al mito del Grande Imperatore adorato da Stendhal. Egli ammira David, eppure non esita a scrivere: «Fondatore della scuola pittorica francese, non ha mai espresso, nelle sue opere, molta sensibilità, dal momento che l’enfasi sui tratti espressivi ha costituito invariabilmente la principale lacuna di questa scuola». L’«occhio esercitato» di Stendhal (l’espressione è sua) si mostra inesorabile censore dell’arte sua contemporanea espressa dai connazionali e critica duramente anche un altro mostro sacro: «Il quadro di Ingres che è stato appena collocato nel grande salone, e che rappresenta Luigi XIII che mette la Francia sotto la protezione della Santa Vergine , è secondo me un’opera assai arida, e per di più un centone di antichi pittori italiani». Ma vi sono altri aspetti in questi scritti giornalistici dell’autore del Rosso e il nero che meritano di essere segnalati. Per esempio, la pignoleria con cui egli riferisce a proposito del numero dei quadri esposti e degli artisti, e la sua non certo mimetica posizione ideologica, anche se – va detto – Beyle-Stendhal si firma spesso con sigle e nomignoli di fantasia. Nel 1824, sul Journal de Paris , annota: «Le mie opinioni, in pittura, sono quelle dell’estrema sinistra… ho sovente il piacere di trovarmi da solo nella mia idea». E, curiosamente, più avanti: «Il fatto è che, se avessi delle opinioni da esprimere, sarebbero di centrosinistra, come quelle della stragrande maggioranza». Del resto, aggiunge, «sono troppo giovane per essere stato alcunché nella Rivoluzione». Sì, in quel periodo Stendhal si sente davvero esule in patria; e diverso dagli altri intellettuali, perché libero nel pensiero. «Io non ho affatto stile ma penso tutto ciò che scrivo », annota vantandosene. «Quanti autori, a Parigi, possono dire altrettanto?». Da questi articoli si ha la conferma che Stendhal fu un osservatore straordinariamente acuto del XIX secolo e nello stesso tempo uno dei suoi figli più rappresentativi. Nella sua scrittura vi è sempre una leggerezza insondabile e nello stesso tempo riconoscibilissima. E come in controluce s’intravede di continuo quel To the happy few che pose a chiusura della Certosa di Parma .
Il libro «Salons» di Stendhal, con traduzione dal francese di Roberto Rossi Testa e postfazione di Vito Sorbello, è edito da Aragno, pagine 200, 13

 

 

Il brano di Stendhal: «Basta con l’esattezza del gusto neoclassico»

 

G ettate in prigione l’uomo più ordinario, quello con la minore dimestichezza con ogni idea d’arte e di letteratura, in una parola uno di quegli sfaccendati ignoranti che s’incontrano così numerosi in una vasta capitale, e, quando si sarà ripreso dall’iniziale paura, ditegli che riavrà la libertà, se sarà in grado d’esporre al Salon una figura nuda, perfettamente disegnata secondo la maniera di David. Sarete stupitissimi di vedere il prigioniero messo alla prova ritornare in circolazione in capo a due o tre anni. Il fatto è che il disegno corretto, sapiente, a imitazione degli antichi, come lo intende la Scuola di David, è una scienza esatta, della stessa natura dell’aritmetica, della geometria, della trigonometria, eccetera, vale a dire che con una pazienza infinita, ed il brillante genio di Barême, si arriva in due o tre anni a conoscere e a saper riprodurre la conformazione e la posizione esatta delle centinaia di muscoli che ricoprono il corpo umano. Durante la trentina d’anni che è durato il tirannico governo di David, il pubblico è stato costretto a credere, sotto pena d’essere tacciato di avere cattivo gusto, che possedere la pazienza necessaria per acquisire la scienza esatta del disegno equivalesse a possedere del genio. (…) La Scuola di David non può dipingere che i corpi; è assolutamente incapace di dipingere le anime.

 

(dal Corriere della Sera di oggi)

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