Salone satellite: le luci (e le stoviglie) di domani
Se l’anno scorso si parlava di mobili da contenimento, mentre due anni or sono vincevano i fondi del caffé (esposti, quest’anno, in Via Marincelli a Brera), quest’anno il Salone Satellite sembra essersi mosso per illuminare i nostri progetti di domani (e, magari, apparecchiarci la tavola). Un salone all’insegna della ricerca illuminotecnica, che espone lampade, allestisce […]
Se l’anno scorso si parlava di mobili da contenimento, mentre due anni or sono vincevano i fondi del caffé (esposti, quest’anno, in Via Marincelli a Brera), quest’anno il Salone Satellite sembra essersi mosso per illuminare i nostri progetti di domani (e, magari, apparecchiarci la tavola). Un salone all’insegna della ricerca illuminotecnica, che espone lampade, allestisce con lampade, premia una lampada e ci manda a casa con la speranza di un futuro luminoso. Sarò io particolarmente sensibile all’argomento, cosa che forse gli psicanalisti nel pubblico potranno spiegarmi in qualche modo. Sarà che quest’anno le lampade iscritte al Salone satellite award sono all’incirca il 20% del totale (contando anche un candeliere dei tedeschi, sempre attenti alla possibilità di una crisi energetica).
Le lampade al SSaward 2014 sono 20 su 102 prodotti esposti, mentre sono 37 i designer che scelgono una lampada per rappresentarsi nella loro pagina sul catalogo elettronico del Fuorisalone
Ecco quindi, anche quest’anno, una top 10 rigorosamente soggettiva (e irregolare) delle 11 lampade (irregolare, lo dicevo) che mi porterei immediatamente a casa (di qualche cliente).
Al decimo posto, le lampade origami di Andrea Bezerra de Carvalho Macruz, detta Nolii, un nastro continuo ritagliato che dichiara le sue ispirazioni nelle forme di Zaha Hadid e Matthias Pliessing.
Al nono posto, le lampade Framed, in stile Diesel di Martin Doller. Sul sito del designer australiano, il problema più pessante nell’estetica dell’illuminazione degli ultimi anni viene ribaltato, laddove noi sentiamo il bisogno di nascondere la lampadina led perché assai più brutta della tradizionale a incandescenza:
The inspiration behind the collection was to highlight the beauty of the light bulb by making it a visible focal point of the pendant design. LED technology enables the bulb to be a beautiful feature and therefore no longer necessary to hide it.
Opinioni.
All’ottavo posto, l’installazione luminosa Medusas, di Garay Design Studio, composta da bolle in vetro soffiato che si accendono e si spengono seguendo un sensore e che, per citare De André, fanno il pallone come le acciughe.
Al settimo posto, la lampada ibrida lezioso-industriale della georgiana Ia Kutateladze, che mescola linguaggi e forme, denudando per metà un lampadario in perline di legno, come in uno schema anatomico del 1700. È evidente e dichiarata l’ispirazione a lampade come la Potence di Jean Prouvé, che quest’anno registra un picco di presenza tra le citazioni ammesse dai giovani designer del Satellite, ma non sorprende il trovare una sedia a dondolo tra gli oggetti preferiti della creatrice. Sul suo sito, meritano un’occhiata anche la Wirebird Family e la Lightsha.
Al sesto posto, le lampade Diamanti Lights in metacrilato di Eugenia Minerva, che giocano sulla delicatezza del materiale, sul sistema di incastri e su uno splendido effetto positivo-negativo che ritaglia, all’interno, le forme tradizionali dei lampadari di casa.
Al quinto posto, la sedia da giardino Trifula sempre di Eugenia Minerva, che riprende antiche tecniche per gli intrecci di pezzi che piacerebbero a Paola Navone e farebbero la loro splendida figura nei cataloghi di Gervasoni o, con un tocco di colore, Paola Lenti. Al materiale tradizionale della paglia intrecciata, si unisce un filo di rame, che regala al prodotto riflessi onirici di un tempo passato da cui pesca a piene mani.
Al quarto posto, la lampada trasformista Dynamicube di Giorgio Traverso, specialmente nella sua versione “ripiegata” (in basso a destra, nella pagina). L’accostamento dei materiali nella versione esposta, in uno stile che riecheggia l’art decò americana di Paul Evans o lo stile dei francesi Jean Prouvé e Jean Michel Frank, è squisitamente elegante. Meno d’impatto la versione hi-tech.
L’intelaiatura portante è di alluminio (lastra di pochi millimetri tagliata con il metodo della fotoincisione chimica) ed è ricoperta da da speciali fogli di policarbonato.
Il rivestimento esterno viene applicato con un semplice gioco ad incastro: il suo completo assemblaggio non richiede l’utilizzo di viti e bulloni.
Il progetto prende ispirazione dal brevetto di Peter-Michael Pfeiffer inventato nel 1964 e successivamente evoluto da Naoki Yoshimoto nel 1971.
Bravo.
Al terzo posto, le delicatissime stoviglie di Kim Hayoon, che propongono una delicatissima posata di ceramica in stile liberty e poi la fondono con il piatto stesso, in una testimonianza quasi pompeiana che racconta di cene interrotte secoli fa.
Al secondo posto, perché ci vuol coraggio, la leziosissima lampada-tavolino Hepbourn-Light-Table del gruppo cinese Xcellent design, che unisce alla leziosità di Patricia Urquiola un trasformismo degno di Goldrake. Il tavolino, meravigliosamente illuminato a LED sfruttando le proprietà di conduttura luminosa del metacrilato, è tavolino (trasparente e decorato come un’alzata da pasticceria), vassoio (un piatto opaco che avrebbe potuto essere un Fornasetti) e lampada, rovesciando il tutto.
L’eterogeneo gruppo di progettazione seleziona, come oggetti imperdibili, un assortimento quantomai eterogeneo di spremiagrumi (sì, proprio lui), caffettiera a pressofiltro, quello che forse è il tavolino, una poltrona che è da sempre un mistero della statica e la Ducati 1199 Panigale. A confermare che l’ispirazione, tra la Urquiola e Goldrake, pende più in favore di quest’ultimo.
Al primo posto infine, senza timore di venire smentiti, si piazza A floor lamp, dei tedeschi Aust&Amelung: una lampada a contrappeso in legno che sembra un trabucco leonardesco, con basamento in ferro e struttura in legno, che sfoggia un grande cappello bianco e viene regolata tramite lo spostamento su quattro posizioni del sacchetto di sabbia posto all’estremità. Già vedo il gatto rifarsi le unghie sul sacchetto, romperlo, far cadere la lampada fracassando il tavolino e “accidentalmente” accoppare il cane che ci stava dormendo sotto, ma cos’è il buon design senza un po’ di brivido?
La loro selezione di cinque oggetti imperdibili comprende la Standard Chair di Jean Prouvé e la Slow Chair dei Boroullec. Forse i nostri bravi tedeschi stanno corteggiando Vitra. Come dar loro torto?
Fuori categoria, il tavolino della linea Linescapes proposto da Guglielmo Poletti: potrebbe entrare immediatamente nel catalogo di qualunque grande fornitore dall’altra parte dei tornelli, e speriamo di vederlo presto in produzione.
E le stoviglie, si domanderà qualcuno? Domani.