Come il mese scorso, vengo a voi assolutamente deliziata da Peter Wisdom (no, non come Maureen, purtroppo) e completamente ignorante di Wolverine Origins.
Il villaggio che camminava come una donna (The Village that walked like a woman, da Wisdom #2 del febbraio 2007).
Spezzettata in questo modo è piuttosto difficile trovare un senso o apprezzare questa storia senza rileggersela tutta. D’altro canto, facendo la fatica di andarsi a recuperare il numero precedente, si riesce ad apprezzare una storia decisamente deliziosa. Un macchinario interferisce con i sogni della gigantessa Pantagruel, trasmettendoli a banda larga: si sveglia, combatte con i suoi guardiani (quegli odiosi paesi limitrofi) e se ne va in Groenlandia. You’ll never walk alone.
Per questa storia, Caldwell ha pescato dalle leggende inglesi sui giganti (vedi quella di Kinloch Rannoch, villaggio su una collinetta che sarebbe un gigante addormentato), oltre che naturalmente dal romanzo satirico di Rabelais per il nome della gigantessa.
Drago travestito (Enter with Drag On, da Wisdom #3 del marzo 2007).
Mi viene in mente un solo modo per iniziare a parlare della storia, ed è attraverso l’accompagnamento musicale. La colonna sonora, decisamente gallese, è riportata dall’autore sul suo blog nel post che riguarda questa storia. Io non posso che ripeterne l’elenco linkando un paio di testi e qualche video, oltre a lasciarmi andare ad un paio di commenti sparsi:
Guns don’t kill people (rappers do), del rapper gallese Goldie Lookin’ Chain (testo qui), è a dir poco appropriata per la sequenza di apertura, indipendentemente dalle analogie che disegnatore e autore svilupperanno più tardi tra la storia e il video della canzone: il pezzo, oltre ad essere una satira della scena hip-hop americana, gira attorno al sottotitolo "The gun is the tool, the mind is the weapon", che naturalmente ci porta driti al monologo con cui Wisdom provoca il drago a scontrarsi con lui. Beh, non proprio con lui…
Life becoming a Landslide, dei rocchettari socialisti gallesi Manics (testo qui, qualche informazione aggiuntiva sull’album omonimo qui), con il suo inizio lento è un perfetto accompagnamento all’entrata in scena quasi western di Shang-Chi.
History Repeating, della splendida e gallese Shirley Bassey con l’accompagnamento dei meno gallesi Propellerheads – potrei sbagliarmi io, ma LucaS ha preso una cantonata nelle note in questo senso – è forse ricordata da qualcuno per essere stata nella colonna sonora di Tutti pazzi per Mary e ha un testo quasi didascalico per le pagine che accompagna: una carrellata della storia del drago per poi ritornare nel pub al suo scontro con il maestro del kung-fu. Qualche informazione in più sulla canzone qui. Come dicevo la volta scorsa, penso proprio che questa canzone tocchi alcune corde dello scrittore Paul Cornell, con il suo approccio a tradizione e storia.
The Bartender and the Thief, dei celebri Stereophonics (indovinate? gallesi. testo qui, articolo qui) ancora una volta non solo ha perfettamente senso con il barista che spara ma si lega persino a Shang-Chi, dato che il video originale era ambientato in una base militare in vietnamita e si rifaceva ad Apocalypse Now.
Sex Bomb, del gallese (ormai che ve lo dico a fare) Tom Jones, che penso non abbia proprio bisogno di spiegazioni o precisazioni: al massimo posso consigliarvi di ascoltare anche le versioni dell’incredibile Max Raabe (per favore, se pensate che questo tizio sia completamente fuori di testa, guardatevi anche questo).
God! Show me magic, dei Super Furry Animals, altra gente completamente fuori di testa e naturalmente gallese (testo qui, voce qui) decisamente appropriato per la trasformazione del dragone.
I’ll be your mirror, degli americani Velvet Underground ma che LucaS trova il modo di far quadrare nel contesto, è forse il più bello degli accompagnamenti scelti dall’autore: per uno che non ha rispetto per la storia, riesce a trovare una gran bella lettura per il topos del combattimento eroe-drago («della nostra battaglia hanno parlato tante volte: non combatto per vincere, ma per mostrarti la pienezza della tua esistenza»).
Shinobi vs. the Dragon Ninja, dei gallesi Lostprophets, canzone invischiatissima di riferimenti ai videogiochi (la serie sul ninja soprannominato Shinobi appunto e l’arcade Bad Dudes vs. Dragoninja) ai giochi di ruolo e alla televisione (vedi il riferimento alla serie tv ispirata a Dungeons & Dragons): il testo è un match perfetto con Shang-Chi che si fa lanciare e scommette sul fatto che il dragone "ricordi".
Bulimic Beats, dei Catatonia con la splendida Cerys Matthews, che chiude la storia accompagnando la risoluzione (si fa per dire) degli intrighi sentimentali di Wisdom.
E direi che dei riferimenti musicali ho chiacchierato abbastanza, dato che ce n’è almeno altrettanto per quanto riguarda i riferimenti culturali. Personalmente ho trovato a dir poco delizioso il monologo iniziale di Wisdom, con la carrellata di pregiudizi sui gallesi e la scena che si gira subito dopo, mostrando «the most Welsh pub you’ve ever seen», come dice l’autore stesso. Ma chi è il dragone che Wisdom sta provocando? Naturalmente Cornell non se l’è inventato come non si è inventato il piccolo excursus "storico": il drago rosso è il simbolo del galles al punto che il suo nome ‘Y Ddraig Goch’ è usato anche per identificare la bandiera. Il Mabinogion, citato nel fumetto, raccoglie dodici storie in prosa da antichi manoscritti poi tradotti in inglese da quella gran donna che era Lady Charlotte Guest. Nella storia "Lludd a Llefelys", il dragone rosso si scontra con un invasore bianco e la loro lotta causa grandi sconvolgimenti, così il re di Gran Bretagna Lludd chiede consiglio a suo fratello Llefelys di Francia e questi gli consiglia di scavare una buca nel centro dell’Inghilterra, riempirla di Idromele e coprirla con un telo. I due draghi scendono nella buca, bevono e si addormentano, così il re li imprigiona con lo stesso telo: secondo la leggenda, i due draghi si trovano sepolti a Dinas Emrys. Per semplificarsi la vita, Cornell slega i due fatti e parla solo dell’imprigionamento del dragone rosso, riprendendo poi la storia dall’Historia Britonum dove ritroviamo il drago sempre nella stessa buca e sempre addormentato fino a quando il signore dei Britanni Vortigern tenta di costruirci il castello. I draghi, irritati per il piano edilizio o forse continuando la loro lotta, ogni notte demoliscono la fortezza dalle fondamenta scuotendo la terra e il re consulta senza successo tutti i saggi della nazione finché non si imbatte in un ragazzo, il futuro Merlino, che viene minacciato di essere sacrificato e gli racconta la storia dei due draghi. Vortigern libera così le due bestiole che continuano a darsele di santa ragione fino a che il rosso non vince sul bianco. A detta dello stesso Merlino, il drago bianco rappresenta i Sassoni, mentre quello rosso è simbolo della gente di Vortigern. Nella Historia Regum Britanniae, la storia viene ripetuta e il dragone diventa anche una profezia della venuta di Re Artù (il cui padre è Uther Pendragon, ovvero signore dei draghi). A questo testo e al re Cadwaladr si è ispirato anche Enrico VII Tudor, re d’Inghilterra ma di origini gallesi, quando lo incluse nella propria bandiera poco prima di sconfiggere re Riccardo III di York a Bosworth Field (un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo, avete presente?). Questo significa naturalmente che dopo la fine dei Tudors non si è più saputo gran che del dragone rosso ma è rimasto un simbolo del Galles. Fossero rimasti re d’Inghilterra, chissà, forse ora sarebbe simbolo della Gran Bretagna.
In ogni caso, Caldwell tira un po’ via le parti successive della storia: parla di Rorke’s Drift durante la guerra anglo-zulu ma avrebbe potuto nominare anche la battaglia della Somme con il sacrificio della trentottesima divisione a Mametz Wood, il cui monumento commemorativo raffigura proprio il dragone rosso che spezza del filo spinato. Pazienza. Mi pare comunque significativo che Caldwell si prenda la briga di fare più o meno a pezzi la recente interpretazione data da Tieri in New Excalibur #12 dove i draghi in questione si rivelavano essere alieni della stessa razza di Fin Fang Foom.
Sempre a proposito di cose che esistono e che non esistono: il nome del bed and breakfast in cui si "appostano" Wisdom e Maureen, "The Owen Glendower", fa riferimento a Owain Glyndŵr, l’ultimo principe di Galles che fosse effettivamente di Galles e che nel 1400 preciso di ribellò contro Enrico IV d’Inghilterra (leggetevi il racconto, è carino). L’altro bed and breakfast, invece, porta il nome di Gruffydd Yonge, ovvero Gruffydd il giovane, amante della prima moglie di Riccardo II nonché chierico acceso sostenitore della rivolta di Glyndŵr. E tutto torna.
Altre cose degne di nota? Citazione da Peter Pan, questa volta esplicita («la fata deve lasciare il ragazzo che non vuole crescere»), la splendida battuta di John "dovrebbero lasciare una copia di me in ogni albergo", la scena dell’orgasmo, il doppio senso (quello tra Pryde e Pride e quello tra Wisdom e wisdom, per dirne due). Una lettura… beh, semplicemente delziosa.
3 Comments
impbianco
Posted at 15:41h, 31 AugustLa prima volta, forse l’ho letta un po’ superficialmente, mi era piaciuta meno del primo numero, ma poi ad una seconda lettura ho apprezzato davvero molto le storie di questo albo! ^^ E comunque fai bene ad evitare Origins, l’unica cosa buona sono le cover di Djurdjevic, peccato che ci siano solo quelle di buono XD
X-Bye
ragno62
Posted at 10:37h, 05 Septemberio non sono riuscito a seguire la prima storia di wildsom di questo numero, probabilmente perchè spezzata in due
Shelidon
Posted at 10:39h, 13 September@ impbianco: sto saltando anche le cover, giusto per essere sicura di non farmi venire il nervoso.
@ ragno 62: ti consiglio di recuperare il vecchio albo e rileggerti tutto di fila.