Devil e i cavalieri Marvel #3

Il suono e la furia (Sound and Fury, da Daredevil #3 del novembre 2011); Sfida all’avvoltoio (Punisher vs. Vulture, da The Punisher #3 del novembre 2011); Addio a Ghost – Seconda parte (Give up the Ghost – part two, da Ghost Rider #2 dell’ottobre 2011); Sacrificio (Sacrifice, da Ghost Rider #1 del settembre 2011); Segreti […]

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  • Il suono e la furia (Sound and Fury, da Daredevil #3 del novembre 2011);
  • Sfida all’avvoltoio (Punisher vs. Vulture, da The Punisher #3 del novembre 2011);
  • Addio a Ghost – Seconda parte (Give up the Ghost – part two, da Ghost Rider #2 dell’ottobre 2011);
  • Sacrificio (Sacrifice, da Ghost Rider #1 del settembre 2011);
  • Segreti e Bugie (Secrets and Lies, da Daredevil: Black & White #1 dell’ottobre 2010).

Nuovi mirabolanti antagonisti, in questo numero, e io sto pensando seriamente di abbandonare la testata.
Il primo grande nemico (?) si confronta con il nostro Devil, che avevamo lasciato nello scorso numero alle prese con il secondo cliffhanger inutile su due episodi, ed è niente di meno (ma anche niente di più) che Ulysses Klaw, l’uomo-suono. Ora, io capisco che si tratta quasi dell’antagonista perfetto per il nostro eroe cieco, e arrivo ad apprezzare il tentativo che Mark Waid di ripescarlo dalla sua ultima apparizione e contestualizzarlo, ma persino io mi ricordo che, da quella volta in cui Dazzler lo trasformò da suono solido a suono e basta disperdendolo nello spazio (Dazzler #9 nel lontano 1982), ne è passata di acqua sotto ai ponti. Giuseppe Guidi nelle note ripercorre la cronistoria e le successive traversie di questo povero cristo recuperato da Galactus (sempre sulla testata di Dazzler) e poi dimenticato fino alle Guerre Segrete (che ho odiato ma adoravo, francamente, quel mentecatto che parlava in rima). Facendo due conti, è possibile che Matt si sia perso non solo gli eventi del 1984 (sì, stiamo parlando di quelle Guerre Segrete) ma anche le consistenti apparizioni di Klaw in Fantastic Four #326 (del 1989, in cui catturava il quartetto e mirava al trono del Wakanda), o di Hulk #19 (del 2010, quindi già meno trascurabile)? Non saprei. Verrebbe da dire che se li sia persi l’autore, se non fosse che dimostra di conoscere Daredevil #237, stando alle dichiarazioni riportate nelle note di chiusura, e Daredevil #237 è del 1986, quindi precedente alle traversie di Klaw con T’Challa. Giuro che sono confusa e apprezzerò qualunque delucidazione in merito. In ogni caso, sonico o non sonico, Klaw è un uomo in calzamaglia con un fioretto a rovescio infilato al posto della mano (scommetto che fa male), ed è abbastanza ridicolo: c’era davvero bisogno di infilarci un buffone? È a questo punto però che Mark Waid stupisce. L’uomo in calzamaglia è un ombra dell’uomo in calzamaglia, uno degli echi che sparpagliava in giro mentre tentava di fare il culo ai supereroi, e sta cercando la mamma. Una storia che sembra ispirarsi un poco alle vicende di Madrox con i suoi doppi dispersi, la vicenda di un tutto diviso, di una creatura mutilata che cerca la propria completezza e che per farlo ha bisogno di una cantina. E di un nuovo involucro, ovviamente.
Lo scontro in mezzo alla strada è piacevole, Mark Waid ha un modo sempre puntuale e molto attento di gestire la cecità del suo personaggio, e Joe Rivera gli danza dietro con uno storyboard decisamente efficace nell’alternarsi tra scuri e chiari, tra momenti di vuoto, rappresentazioni del suono e mondo visibile. E per una volta lo scontro con il supervillain non è pretestuoso, ma parte integrante dell’intreccio, ricongiungendosi con la vicenda di Jobrani.
In chiusura, ricordate quel profumo Clive Christian di cui avevo apprezzato l’utilizzo nel primo numero? Beh, mi rimangio tutto. Perché ha senso che sia indossato al proprio matrionio da una “principessa della mafia”, ma una ragazza qualunque in un pub che indossa un profumo da 170000 €? (sì, ho detto proprio centosettantamila). O Devil si sbaglia o ha ragione Foggy: dev’essere per forza una supercriminale.
Un numero che, comunque, finisce molto meglio di com’era cominciato.

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Lo stesso ahimé non si può dire della storia del Punitore. Il nemico è altrettanto ridicolo (un uomo in calzamaglia con le piume, rendiamoci conto, neanche Renato Zero aveva osato tanto), e parla come ET in down da eroina (“ucccccidiiiiiii puuuuunitoreehaaak…!”). Certo, questa storia al contrario della precedente ha dalla sua un Marco Cecchetto in ottima forma, che dopo un precedente numero un po’ piatto e all’insegna della semplicità si esibisce per il nostro diletto in uno spettacolare combattimento aereo. Almeno nelle prime diciotto vignette. Le successive venti diventano un po’ ripetitive, lo confesso. E le ulteriori cinque che costituiscono la chiusura arrivano un po’ come la fine di un combattimento in Matrix 2: viene da guardare l’orologio (o da contare le vignette) per vedere quanto tempo è passato. Disegni a parte, la trama rimane veramente inconsistente e si continua ad aspettare che decolli, o che si concretizzi in qualcosa che somigli anche solo lontanamente ad una trama, ma sembra che Greg Rucka abbia intenzione di girarci attorno ancora a lungo.

Allo stesso modo Ghost Rider tira in lungo quanto si era già ampiamente afferrato con un inutile spiegone la cui unica cosa positiva è la battuta di Mefisto sulle moto (sei all’inferno: in paradiso ci sono solo ciclomotori elettrici). Il cambio di ambientazione giova ai disegni e verso la fine sembra che ci si stia preparando a far succedere qualcosa: sono fiduciosa.

Non ho invece ancora letto la storia in bianco e nero di Devil: qualcuno mi sa dire com’è?

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