"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

Porci con le ali

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«Un maiale che non vola è solamente un maiale.»

Continua la mia opera di recupero degli arretrati di Miyazaki e permango in una condizione di “perplesso poco nuvoloso”. Ok, era prima del Salone, ma che ci volete fare? È stato impossibile scriverne, in questi giorni.
Dicevo, per molti versi Porco Rosso è un’opera geniale, che trasuda da ogni poro la passione di Miyazaki per la storia dell’aviazione ed è una vera gioia per gli occhi di un appassionato di vecchi aerei, e che per un momento sembra quasi avere una trama plausibile: un asso italiano della I Guerra Mondiale si è ritirato in Croazia e si guadagna da vivere come cacciatore di taglie, specialmente contro i cosiddetti pirati dell’aria, ma i suoi avversari si alleano ad un asso americano per riuscire finalmente ad abbatterlo. Tutto relativamente normale, no? No. Ovviamente. Il protagonista è stato mutato in maiale da un maleficio, anche se la cosa non sembra scomporre più di tanto chi lo incontra e, anzi, sembra a tutti relativamente normale che un maiale parli, cammini sulle zampe posteriori, si vesta e faccia acrobazie con un idrovolante. Ma forse non è questo il punto, perché a tratti si ha l’impressione che il protagonista sia proprio l’idrovolante, anzi, gli idrovolanti: l’idrovolante da corsa Macchi M.39 con cui compare l’amico del maiale, realmente esistito e realmente pilotato nella Coppa Schneider da un personaggio omonimo, o il motore FIAT A.S2 proposto a sostituzione del vecchio, o ancora il motore Caproni Ca.39 detto Ghibli, da cui deriva il nome dello studio d’animazione di Miyazaki. Guest star del film inoltre sono numerosi assi dell’aria realmente esistiti, a cominciare dai due piloti che si staccano dalla nave nel tentativo di proteggerla dai pirati: si tratta di Francesco Baracca e Adriano Visconti, rispettivamente assi della I e della II Guerra Mondiale. Anche il già citato amico di Porco, che lo avverte a più riprese quando la polizia e l’esercito italiano sono sulle sue tracce, è ispirato ad un personaggio realmente esistito: si tratta di Arturo Ferrarin, il primo pilota a completare un viaggio da Roma a Tokyo.

Come si sarà capito, queste citazioni e il lato “aereonautico” del film sono le parti che più ho apprezzato. Ma c’è tutta un’altra parte che costituisce la nervatura portante del film, e che francamente mi rimane oscura. Marco viene trasformato in maiale e, a meno che io non mi sia distratta di brutto, non è esplicitato che ciò accada a seguito dell’episodio in cui è l’unico sopravvissuto del suo squadrone e gli viene negato di sostituirsi all’amico in quella Via Lattea di aerei distrutti che sembra essere l’aldilà dei piloti. Il perché ciò accada e perché proprio un maiale, francamente, rimane oscuro e devo fare uno sforzo per ricordare che effettivamente anche i genitori di Chihiro nella Città Incantata venivano trasformati in maiali per aver mangiato: indipendentemente dai riferimenti omerici, quand’anche in questo caso fosse stata sposata la concezione buddista che vede il maiale come simbolo dei difetti umani (al contrario della cultura shintoista per cui il maiale è un animale di buon auspicio), rimane leggermente oscuro quale sia la colpa per cui Marco viene punito, e ogni motivazione possibile rimane un po’ troppo “giapponese” per soddisfarmi con la sua spiegazione. Come per Kiki e Laputa, poi, devo ammettere che sono rimasta insoddisfatta da un finale non-finale, che dichiaratamente fa lo snob e rinuncia a compiersi. La maledizione è stata spezzata? Pare di no. E Gina ha vinto la sua scommessa? Pare, altrettanto di no. Ipotesi confermate dalle indiscrezioni su un seguito che vedrebbe un anziano Porco Rosso impegnato nella Guerra Civile Spagnola. Per lo meno, vedremo un altro po’ di aerei.

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