"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

Il diavolo a Locarno

Dal Manifesto di ieri. Più che 1408, è il film di Elisabetta Sgarbi che mi incuriosisce.

«1408». Probabilmente fa più paura il silenzio estense del diavolo a N.Y. – Antonello Catacchio

Locarno – Mikael Håfström, regista svedese da qualche anno a Hollywood, ha portato in piazza 1408, un horror, a conferma della versatilità di proposte che illuminano il grande schermo capace di attirare (pioggia permettendo) diverse migliaia di persone. Forte di un discreto incasso negli Usa (intorno ai 70 milioni di dollari per un film a basso costo per gli standard Usa), con John Cusack protagonista, supportato da un ottimo Samuel Jackson, tratto da un racconto breve dell’inesauribile Stephen King, il film segue le vicende di Mike Enslin, scrittore di talento che per ragioni alimentari si trasforma in altro da sé. Continua a scrivere libri, ma ha abbandonato i romanzi per sfornare guide a luoghi frequentati da presenze malefiche. Manuali di cialtroneria, dei quali è assolutamente consapevole. Quando viene a sapere che la stanza 1408 dell’hotel Dolphine di New York potrebbe fare al caso suo decide di verificare. Ma al momento della prenotazione viene rimbalzato. Allora insiste, mette in campo gli avvocati della casa editrice e ottiene, finalmente, la stanza. Meglio, la prenotazione, perché quando arriva al Dolphine il direttore cerca in tutti i modi di dissuaderlo dall’entrare nella stanza maledetta. Mike però è irremovibile e a quel punto anche molto incuriosito. Quando entra nella stanza prova un po’ di delusione, consegna le sue impressioni al registratore, ma sembra una stanza uguale a tutte le altre. Poi comincia a essere inquieto perché è certo di avere strappato la carta igienica, piegata per mostrare che sono state fatte le pulizie perbene, invece la ritrova di nuovo con quella tipica piega triangolare che lui certo non ha fatto. È solo l’inizio di un’avventura che lo risucchia verso una dimensione spaventosa. Il fascino del film sta tutto nella prima ora, quando la tensione è palpabile, ma non succede nulla di trascendente, quando Mike si aggira disilluso, come chi ha già visto tutto e non intende farsi intortare. La parte più propriamente orrorifica sembra invece rientrare nell’infinita serie di luoghi maledetti con demoniache presenze, frustrando un po’ l’enorme aspettativa che si era creata sino a quel momento. Nella sezione Ici et ailleurs irrompe Elisabetta Sgarbi con un lavoro singolare e davvero emozionante: Il pianto della statua. Su commissione della regione Emilia-Romagna, Sgarbi ha puntato la sua telecamera per far rivivere diversi «compianti» disseminati nelle chiese di Bologna, Modena, Busseto, Ferrara. I compianti sono un insieme di statue iperrealiste sulla deposizione del Cristo morto, realizzate poco prima del ‘500 da Niccolò dell’Arca, Guido Mazzoni, Antonio Begarelli. «Bisognerà alla fine attraversare la porta dello spavento supremo» reci-cantano Sgalambro e Battiato nell’introduzione, poi sono le urla silenziose delle statue che parlano, perché il gioco di luci e ombre le anima, talvolta come se fossero in un liquido che addirittura le muove. Sono immagini di terrificante bellezza, corredate da brevi commenti di personaggi insospettabili. Si va infatti da Tahar Ben Jelloun a Michael Cimino, Diego Marani, George Romero, Vittorio Sgarbi, Pino Roveredo, Lucrezia Lerro, Antonio Scurati. Grazie alle voci narranti di Anna Bonaiuto e Toni Servillo e all’occhio fotografico di Daniele Baldacci, il risultato è di fortissima suggestione alternando riflessioni sul dolore, la morte, l’impossibilità di rappresentare la gioia, gli zombi, con queste figure femminili «spogliate del loro diritto di sorridere», bloccate in espressioni devastanti, spesso con la bocca spalancata nella disperazione più totale. E viene davvero voglia di andare a vedere questi gioielli di artisti meno conosciuti e celebrati. Anche Vauro è arrivato al festival, seppure nell’ambito di un forum organizzato da Reporters sans Frontières e dal gruppo Emergency Ticino. Titolo dell’incontro «Vignette, emergenze e libertà di stampa». Meno male, perché in Ticino il termine vignetta di solito è riferito all’adesivo che testimonia il pagamento dell’autostrada.

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