"All this he saw, for one moment breathless and intense, vivid on the morning sky; and still, as he looked, he lived; and still, as he lived, he wondered."

I luoghi del noir

Interessante articolo dal Manifesto di ieri, per gli amanti del genere noir. Dov’è andato quello scenario esasperato, post-industriale, socialmente e moralmente devastato in cui si muovevano gli scalcinati detective del noir degli anni d’oro? E’ il nostro tempo, secondo l’autore dell’articolo.
Personalmente, sarà per il mio inguaribile ottimismo, preferisco la visione neopicaresca e post-industriale di Pedro Casals, in cui il disgregarsi delle vecchie strutture non porta necessariamente al disastro ma a nuclei sociali (e, perché no, familiari) diversi, a qualcosa di nuovo cui guardare con fiducia. In ogni caso, ecco l’articolo.

Oltre i luoghi del delitto nell’epoca dei serial killerAndrea Colombo
Sarà ancora adeguato parlare di «luoghi» del noir, alludendo a quegli spazi densi di significato ma che non richiedono coordinate geografiche specifiche? Non è che, passati quasi ottant’anni da quando Hammett «riportò il delitto nel suo ambiente naturale», sarebbe più opportuno riferirsi alle località del noir, dando al termine proprio il significato usato abitualmente dai dépliant turistici? Certo, sempre di città si tratta, oggi come allora. Una forte appartenenza metropolitana il genere popolato da gangster, poliziotti e private eyes la vanta sin dalle origini. La sua musica è il blues della grande città cattiva e notturna, feroce e romantica. Ma la definizione precisa di quale fosse la città in questione, sino a una ventina di anni fa, contava in poco. Quale fosse il teatro dell’azione lo si sapeva quasi sempre, ma era un espediente o poco più: di night club e locali equivoci se ne trovano ovunque. I quartieri della miseria si somigliano tutti, e anche quelli dove i soldi corrono. La città, raccontava il noir, è una sola, e i suoi abitanti combattono tutti la stessa lotta ovunque risiedano. Lo sapeva Ed McBain, quando decise di travestire la New York dell’Ottantasettesimo distretto in una città senza nome. Lo sapeva Chester Himes, quando scelse come sfondo per le sue storie un quartiere che quasi non aveva mai visto, Harlem, ma che era ugualmente «il ghetto» per eccellenza, la sintesi di tutti i ghetti, come la Island di McBain non è solo una Manhattan ribattezzata e geograficamente «rovesciata» ma l’apoteosi di ogni metropoli. Nel noir agiva una dinamica opposta a quella del giallo classico, che invece ha sempre tenuto a una certa precisione topografica. Non è una coincidenza. Il giallo, con la sua struttura basata su un ordine perturbato (dal delitto) e poi ripristinato (dalla scoperta dell’assassino), con il suo carattere reso necessariamente microcosmico dalla ricerca del colpevole, esige luoghi ben definiti, impone all’investigatore di perlustrare un ambiente circoscritto, quello in cui si è verificato il delitto. Ma la città universale del noir è il luogo del caos. L’ordine iniziale è andato perduto già da un bel pezzo e l’identificazione del colpevole non ripristina alcuna armonia: qualche volta rende il disordine ancora più esasperato. Del resto, la scoperta dell’assassino, nel noir, è tanto periferica quanto è centrale nel giallo. La localizzazione del noir è cosa recente. Dalla fine degli anni ’80 i suoi protagonisti sono diventati sempre più inseparabili dal loro ambiente, che a sua volta ha acquistato una fisionomia dettagliata. La Los Angeles di Raymond Chandler avrebbe potuto essere qualsiasi altra metropoli violenta, quella di Michael Connelly no. Dave Robichaux, il protagonista fisso di James Lee Burke, può esistere solo nella sua Louisiana, e di romanzo in romanzo George Pelecanos dipinge un quadro sempre più completo della Washington di ieri e di oggi. In Italia, dove i confini tra giallo e noir sono meno rigidamente marcati che altrove e gli autori si improvvisano quasi sempre frontalieri tra i due generi, la tendenza «localistica» ha assunto dimensioni ancora più clamorose. Poliziotti e investigatori sembrano tutti occupati a sbarcare il lunario col doppio lavoro: cacciatori di assassini e a tempo perso guide turistiche. Per Milano e la Lombardia mettetevi nelle mani di Pietro Colaprico (a volte in coppia con lo scomparso Pietro Valpreda) e del suo ex maresciallo Binda oppure, se peferite il delitto in salsa movimentista, in quelle di Sandrone Dazieri e del suo Gorilla. Per il nord-est siede in testa alle classifiche Massimo Carlotto, con frequenti sconfinamenti nella sociologia vera e propria. Bologna è la piazza fissa di Carlo Lucarelli ma anche di Loriano Macchiavelli e del suo Sarti Antonio, nella capitale è appena sbarcato il commissario Amidei di Valerio Morucci, mentre Gianrico Carofiglio racconta Bari già da anni. Per ciascuno di loro l’ambiente conta molto più del plot. Forse non sarebbe esagerato assegnare al noir italiano, fenomeno culturale ormai di notevole spessore, un ruolo opposto a quello svolto, negli anni ’60, dalla commedia all’italiana, che aveva riunificato persino linguisticamente, col suo romano addomesticato, un paese frammentato. La localizzazione del noir ha proceduto in parallelo con un ulteriore e definitivo depotenziamento dell’importanza assegnata alla ricerca del colpevole. Il serial killer, protagonista fisso e ossessivo del noir da vent’anni a questa parte, assolve il detective dall’obbligo di scoprire l’omicida, e l’autore da quello di inventare un movente. Il killer seriale è noto in partenza e uccide per il piacere di farlo. Tutto sta nel rintracciarlo. Le domande che contano riguardano il «dove» sia nascosto e il «quando» lo si riuscirà a fermare, se prima o dopo l’efferatezza di turno. Quelle sul «chi», sul «perché» e sul «come» non hanno più alcun peso. L’affermazione del serial killer come figura egemone nel noir sigla l’apoteosi dell’insensatezza, riflette la paura diffusa della minaccia più incontrollabile, quella che colpisce alla cieca, senza motivo apparente, secondo una logica folle e incomprensibile. In fondo Thomas Harris deve le sue cospicue fortune a una sola idea geniale, quella di affidare l’interpretazione del male insensato all’unica figura capace di muoversi a proprio agio in quelle acque: un altro serial killer ma rassicurante, il Cannibale. Non c’è troppo da stupirsi se nell’epoca in cui il noir riflette l’angoscia di una minaccia anonima, permanente e onnipresente, il ritorno all’appartenenza locale e a un riscoperto legame con il microcosmo circostante appaiono come elementi capaci di garantire qualche sicurezza e arginare l’angoscia. Ancora una volta il noir si rivela il genere più adeguato a rendere conto delle paure segrete di un’epoca, e degli antidoti con cui cerca di reagire. Capita però, almeno nella cronaca se non nel suo specchio scuro letterario, che la stessa ferocia inspiegabile incarnata dal serial killer si sia infiltrata proprio in quelle dimensioni piccole e locali che avrebbero dovuto bandirla. E se l’omicida della porta accanto, quello che ti accoltella perché il cane abbaia o ti sfonda la testa perché i pianti del bimbo gli turbano il sonno, prefigura il nuovo incubo del XXI secolo, è possibile che, dopo vent’anni, l’impero del serial killer sia avviato al tramonto, e con lui la localizzazione esasperata del noir. Sarebbe ora.

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7 Comments
  • Njord
    Posted at 15:57h, 16 February Reply

    MA…E’ UNA BIRRERIA QUELLA CHE VEDO?! ehhh …luoghi comuni per banaliomicidi (ihihih)

  • brianzolitudine
    Posted at 19:12h, 16 February Reply

    Shellina cara, LUOGHI, non LUGHI! Detto questo, pezzo godibilissimo, nonostante il fonto. :-PPP

  • Shelidon
    Posted at 19:33h, 16 February Reply

    hahaha, in effetti… :-D

    Ora non mi resta che:

    * correggere;

    * scoprire cosa sia un lugo.

  • brianzolitudine
    Posted at 19:38h, 16 February Reply

    Lugo di Romagna, naturalment. Ci si mangia da dio.

  • Shelidon
    Posted at 08:24h, 17 February Reply

    Questo? Ma dai, s’impara sempre qualcosa. Pensavo che un lugo fosse, non so, una varietà di pino (il famoso pino lugo), la versione ciociara di questo signore o un demone giapponese (sai, di quelli a forma di vecchina che ti entrano in casa se non hai rigirato lo zerbino)…

  • Shelidon
    Posted at 08:24h, 17 February Reply

    Questo? Ma dai, s’impara sempre qualcosa. Pensavo che un lugo fosse, non so, una varietà di pino (il famoso pino lugo), la versione ciociara di questo signore o un demone giapponese (sai, di quelli a forma di vecchina che ti entrano in casa se non hai rigirato lo zerbino)…

  • Shelidon
    Posted at 08:24h, 17 February Reply

    Questo? Ma dai, s’impara sempre qualcosa. Pensavo che un lugo fosse, non so, una varietà di pino (il famoso pino lugo), la versione ciociara di questo signore o un demone giapponese (sai, di quelli a forma di vecchina che ti entrano in casa se non hai rigirato lo zerbino)…

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