Joe Flood – The Fires

In vista della ristrutturazione dei nostri percorsi formativi di urbanistica digitale, dato che la prossima primavera non si preannuncia voler essere molto più clemente di quella che abbiamo avuto, il libro di questo lunedì si inserisce in un percorso legato alla storia delle simulazioni algoritmiche su scala urbana. Joe Flood The Fires How a Computer […]

In vista della ristrutturazione dei nostri percorsi formativi di urbanistica digitale, dato che la prossima primavera non si preannuncia voler essere molto più clemente di quella che abbiamo avuto, il libro di questo lunedì si inserisce in un percorso legato alla storia delle simulazioni algoritmiche su scala urbana.

Joe Flood
The Fires
How a Computer Formula, Big Ideas, and the Best of Intentions Burned Down New York City
–and Determined the Future of Cities
ed. Riverhead Books

La storia raccontata in questo libro affonda le sue radici nella corsa allo spazio e nel tentativo, magistralmente descritto da Nicholas de Monchaux nel capitolo 19 del suo Spacesuit: Fashioning Apollo, di applicare a scala urbana le tecnologie sviluppate durante la corsa allo spazio. «Le tecniche che porteranno l’uomo sulla Luna – dichiara il vicepresidente degli Stati Uniti Hubert H. Humphrey nel 1968 durante un suo discorso allo Smithsonian – saranno esattamente le stesse tecniche di cui avremo bisogno per ripulire le nostre città». Si tratta di uno sforzo programmatico, che vede il tentativo di spostare una buona parte del personale e dell’equipaggiamento dai programmi di “Space Management” a quelli di riqualificazione urbana e architettonica.
La necessità di applicare sulla Terra le ricerche sviluppate per i programmi spaziali non è un fenomeno nuovo né inedito degli anni ‘60: lo stesso principio guida e giustifica ancora oggi le missioni spaziali di fronte all’opinione pubblica, come peraltro accade in altri campi di sperimentazione tecnologica come la Formula Uno, e già James Webb dichiarava, durante il suo discorso di insediamento ad amministratore della NASA nel 1961: «ci stiamo impegnando in ogni modo possibile a restituire ciò che impariamo alla totalità dell’economia nazionale». Uno dei primi tentativi in questo senso è il coinvolgimento della NASA da parte di Wayne Thompson, amministratore di Oakland, in California, e presidente dell’International City Managers’ Association: Thompson invita 35 ufficiali e dirigenti della Space Agency per discutere punti di interesse comune e, in particolare, la possibilità di sfruttare le conoscenze maturate durante le missioni spaziali e di applicarle a problemi critici come l’aumento esponenziale della popolazione nelle aree urbane. I risultati di questo tavolo comune vengono resi pubblici in una conferenza del 1963 chiamata “Space, Science, and Urban Life”, supportata non solo dalla NASA e dalla Città di Oakland ma anche dalla University of California e dalla Ford Foundation. Si tratta di un momento cruciale per la storia dell’urbanistica: l’incontro tra le tecniche di simulazione e la pianificazione della città sarà fatidico ma anche fatale, in molti sensi. In questa sede, tecniche innovative di indagine e modellazione algoritmica vengono presentate non solo da James Webb stesso, ma anche da luminari come Jerome Wiesner, Martin Meyerson e Burnham Kelly. Le discussioni nella conferenza affrontano temi che vanno dall’automazione alle biotecnologie, ma per quanto riguarda la modellazione e la simulazione, il gruppo è unanime nell’identificare come particolarmente promettente l’utilizzo della dinamica dei sistemi.

Padre di questa teoria è Jay Forrester, che entra al MIT nel 1956. Al momento del suo coinvolgimento nella nuova Sloan School of Management, Forrester veniva da una lunga esperienza nello sviluppo di SAGE, un sistema che collegava tra loro dozzine di bunker e stazioni radar attraverso il Nord America, aveva sviluppato tecniche per la modellazione matematica di sistemi industriali e il culmine di quel lavoro, Industrial Dynamics, sarebbe stato pubblicato di lì a qualche anno. In questo senso, è forte il collegamento con il lavoro di Norbert Wiener, padre dell’urbanistica cibernetica, tra i professori che nel 1943 firmano il saggio illustrato “How U.S. Cities Can Prepare for Atomic War”. Oltre a essere una lettura sociologica di estremo interesse nella cornice della Guerra Fredda, il testo presenta una serie di principi che saranno fondamentali per l’approccio cibernetico alla pianificazione delle città. La cibernetica viene presentata come una scienza dell’informazione e la città stessa viene definita un centro di comunicazione: un punto nevralgico in cui confluiscono le vie di comunicazione, sia fisiche che informative, in cui confluiscono e vengono distribuite le idee.

Forrester sviluppa ulteriormente queste teorie e dà loro corpo: il suo interesse alle città è di natura derivativa, deriva dalla ricerca di sistemi complessi cui applicare la sua conoscenza, ed esauriti gli ambiti industriale e militare, si pone naturalmente come la sfida successiva. L’occasione si presenta all’incontro con John Frederick Collins, che era stato sindaco di Boston tra il 1960 e il 1968. Collins aiuta Forrester a raccogliere un gruppo di esperti per lo sviluppo di equazioni che descrivessero il comportamento di varie porzioni di città e l’interazione di queste porzioni tra loro. Il loro obiettivo non era lo studio di una città specifica ma l’astrazione in un sistema generale che potesse essere utilizzato per l’analisi e lo studio di tutte le città degli Stati Uniti, sul cui futuro il dibattito pubblico era estremamente concentrato. Nel 1969 il loro lavoro culmina nella pubblicazione di Urban Dynamics.

Il libro è impostato come un caso studio: parte da una situazione di equilibrio stagnante, considerata tipica delle città americane, con un alto tasso di disoccupazione, condizioni abitative scadenti e mancanza di alloggi adeguati per professionisti specializzati provenienti da fuori. Il modello simula una serie di politiche e raggiunge risultati che vennero considerati anti-intuitivi: politiche di formazione per i disoccupati risultavano in un peggioramento della situazione e una delle conclusioni raggiunte dal sistema era la necessità di demolire i bassifondi per fare spazio a edifici di lusso, sia a scopo commerciale che residenziale. Il modello considerava controproducente anche l’edilizia residenziale pubblica, che risultava in un incentivo al ristagnare delle condizioni di povertà. Si trattava di conclusioni che si sarebbero rivelate corrette, soprattutto in relazione ad esperimenti come il disastroso progetto urbanistico Pruitt-Igoe per Saint-Louis o, per distogliersi dall’urbanistica in senso stretto, esperimenti come il provvedimento Hartz IV della Germania socialista, che tragicamente vorrebbe essere ripetuto in Italia con il cosiddetto “reddito di cittadinanza”.

Il design delle prime versioni di Sim City è mutuato direttamente da Urban Dynamics.

Tuttavia, Urban Dynamics apre la strada a una lunga serie di fallimenti, principalmente derivati da un approccio semplicistico dei modellatori al “sistema città”. Il modello del RAND institute, sviluppato per il corpo dei vigili del fuoco di New York, è al centro dell’indagine del libro di Joe Flood.

In 1968, New York City struck a deal with the RAND Corporation to use their computer models to establish more efficient public services and save millions of dollars, beginning their first civilian effort with the FDNY. Over the next decade a series of fires swept through New York, displacing more than 600,000 people, all thanks to the intentional withdrawal of fire protection from the city’s poorest neighborhoods — and all based on RAND’s computer modeling systems.

La possibilità di affidarsi alla simulazione urbana tramite modelli viene simbolicamente seppellita da Douglass Lee nel suo articolo “Requiem for Large-Scale Urban Models”, individuando quelli che chiama i “sette peccati” di questo tipo di modellazione:

  • hypercomprehensiveness;
  • gossness;
  • hungriness;
  • wrongheadedness;
  • complicatedness;
  • mechanicalness;
  • expensiveness.

Per ulteriori approfondimenti, consiglio anche Why The Bronx Really Burned, con podcast e relativa intervista a Joe Flood.

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