Il terzo segreto di Fatima

«Space is disease and danger wrapped in darkness and silence.» Così amabilmente sollecitata da Elderion, credo sia ampiamente il momento di parlare un po’ di questo film. Devo confessare che non sono mai stata una gran trekker: avrò visto una manciata sparsa della serie originale, qualche film qua e là, un paio di stagioni di […]

Star Trek (2009) Directed by: J.J. Abrams


«Space is disease and danger wrapped in darkness and silence.»

Così amabilmente sollecitata da Elderion, credo sia ampiamente il momento di parlare un po’ di questo film.
Devo confessare che non sono mai stata una gran trekker: avrò visto una manciata sparsa della serie originale, qualche film qua e là, un paio di stagioni di Next Generation, qualche Deep Space Nine e due Voyager, anche se confesso che non riesco a distinguerli e a metterli in ordine cronologico senza Wikipedia (e anche così faccio fatica).
A questa doverosa premessa va aggiunto che, come già accaduto per Gran Torino, un film visto su un monitor 12” a quattro sedili di distanza e con i sottotitoli in ebraico ha altissime possibilità di perdere parte del suo charme.
Con queste premesse, pochi film hanno delle chance di sopravvivenza. Eppure devo confessare che questa ultima fatica di JJ “magic turtle” Abrams non mi è dispiaciuta affatto, per molteplici motivi.
Primo fra tutti, sarà perché appare sin dalle prime sequenze, sarà perché ero favorevolmente prevenuta dalla recensione di Elderion e vi ho prestato attenzione, questo film presta grande attenzione alla sua ambientazione. E per ambientazione non intendo le architetture appese di Vulcan o la verde (?) terra, né tantomeno le distese di ghiaccio del pianeta satellite, né tantomeno i siderali interni dell’Enterprise o quelli ferrugginosi, quasi steampunk della Narada: mi riferisco ad un’altissima, quasi maniacale attenzione allo spazio, al comportamento dei corpi e delle navi in assenza di gravità, alla opprimente cappa che avvolge le scene nello spazio aperto. Space is disease and danger wrapped in darkness and silence. E nello spazio i corpi non si muovono di moto proprio, le voci e i suoni non si propagano, i concetti di “sopra” e “sotto” sono irrilevanti. E il punto di vista della camera non manca di sottolinearlo, volteggiando sopra e sotto le navi, al di qua e al di là di esplosioni e buchi neri, tra tempo e spazio.
E proprio riguardo al tempo, sarebbe parlare degli intrecci temporali di cui Abrams sembra star facendo la propria cifra distintiva: a essere del tutto sincera, li ho trovati piuttosto deboli, sviluppati con mestiere certo, ma abbastanza privi di quei colpi di scena e di quel sano pizzico di paradosso di cui ben altri maestri della fantascienza hanno dato prova. Questo Star Trek, in effetti, è proprio sul lato della fantascienza che pecca maggiormente: la creazione del buco nero è un surrogato di facile assimilazione, per un pubblico di bocca buona, e il teletrasporto a bordo di una nave che sta procedendo a velocità warp è un contentino per i trekker in sala. Eppure non è troppo disturbante: i punti di forza del film sono altri, e fortunatamente – a partire dallo sviluppo dei personaggi – non ci si concentra troppo né sul non deludere i trekker né sul compiacerli, e in questo senso l’idea di sviluppare l’intera trama attorno ad una realtà alternativa è decisamente brillante. Tuttavia, sarebbe stato facile farla scadere in un what if: Abrams sceglie una strada più sottile, coadiuvato anche da qualche attore decisamente attento a rendere un’interpretazione coerente con ciò che erano i rispettivi personaggi nella serie originale. In questo senso, incontriamo uno Zachary Quinto decisamente cresciuto rispetto ad una prima stagione di Heroes, ben spalleggiato da Zoe Saldana (ricordate la Anamaria di Jack Sparrow?) nei panni di Nyota già vestiti da Nichelle Nichols, poi nonna di Micah nella seconda stagione di Heroes. Anche John Cho fa il suo dovere come Sulu, e lo stiamo vedendo anche in Flash Forward (non dimentichiamo, per la cronaca, che Heroes è in qualche modo legato anche a Sulu, originariamente interpretato da George Takei aka Kaito Nakamura). Da citare la piccola parte di Winona Ryder come madre di Spock, quasi irriconoscibile, ed Eric Bana nei panni del tamarrissimo capitano romulano Nero, oltre a Karl Urban nei panni di McCoy. Con un cast del genere, un’assoluta tragedia sarebbe stata decisamente prevedibile. Eppure, l’unica vera tragedia è Chris Pine, praticamente incapace di articolare un’espressione. Per il resto, il film procede a ritmo più o meno costante incappando solo di striscio nell’effetto Smallville (Spock e Kirk giovani che litigano all’accademia), indugiando solo un poco nell’insensata necessità di combattimenti marziali alla giapponese e concedendosi almeno una stretta vulcaniana. Ed è più di quanto personalmente gli domandassi.

5 Comments

  1. Povero Pine, a me è piaciuto!
    In effetti l’espediente del buco nero è proprio…facile. Tremo per il finale di Lost. Anche se penso che Abrams abbia messo tanta di quella carne al fuoco in due ore di film, che la storia principale era del tutto accessioria. Io ero troppo impegnato a gustarmi le citazioni e la fotografia!

    Per quanto riguarda il video qui sopra… quousque tandem, youtube, abutere hoc videum?

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