X-men deluxe #161

E se Vulcan avesse ottenuto i poteri della Fenice? (What if Vulcan gained the power of the Phoenix?, da What if? X-men: Rise and fall of the Shi’ar Empire #1 del febbraio 2008). Mmm… vediamo… come si può riassumere questo what if? Inutile? No, no, troppo banale. Orribile? Nah, troppo poco! Vediamo… ecco, ce l’ho. […]

E se Vulcan avesse ottenuto i poteri della Fenice? (What if Vulcan gained the power of the Phoenix?, da What if? X-men: Rise and fall of the Shi’ar Empire #1 del febbraio 2008).
Mmm… vediamo… come si può riassumere questo what if? Inutile? No, no, troppo banale. Orribile? Nah, troppo poco! Vediamo… ecco, ce l’ho. Una storia ileggibile con dei disegni inguardabili. Non le rende ancora giustizia ma si avvicina alla realtà.
Che cosa sarebbe successo se Vulcan fosse stato scagliato da Darwin nel cristallo m’kraan e avesse conseguentemente ottenuto i poteri della Fenice? La risposta che Chris Yost dà a questa domanda è “ci saremmo annoiati a morte”. E l’avremmo fatto accompagnati da pessimi disegni, per giunta.
Un what if, se ben concepito e ben scritto, è un’ottima occasione per narrare qualcosa sulla psicologia dei personaggi: non è una storia ambentata in una realtà alternativa, ma è l’evento che genera questa realtà. I personaggi quindi sono, o dovrebbero essere, quelli che conosciamo. Ma alle prese con un evento diverso da “come si sono svolti i fatti”. Va da sé che quest’occasione, se ben sfruttata, come ogni speculazione può essere molto proficua per l’introspezione e la caratterizzazione dei personaggi, specie se il personaggio in questione è un parto molto recente ed ha sofferto di una caratterizzazione a mio parere abbastanza grossolana.
Bene.
Che cosa apprendiamo su Vulcan da questo what if?
Che è un ragazzino arrabbiato che vuole solo essere amato dalla sua famiglia.
Sparatemi.
E, sia ben chiaro, non vi chiedo di porre fine alle mie sofferenze perché Yost abbia snaturato il personaggio, tutt’altro. Il punto è proprio che su Vulcan non c’è altro, e tra tutte le possibilità di tratteggiarlo o approfondirlo, proprio non si è riusciti a trovare nulla di meglio? Qualche morte completamente gratuita (Polaris, Deathbird), qualche battuta assolutamente stereotipata, un finale telefonatissimo. Il tutto aggravato dai disegni inguardabili di questo Larry Stroman e dai colori tremendi della sua degna compare Christina Strain. Di ritorno alla Marvel da luoghi in cui avrebbe fatto meglio a trattenersi, Stroman a quanto pare si metterà presto al lavoro su X-Factor. Rabbrividiamo. L’unica parte guardabile di questa storia è la Fenice Bianca della tavola finale.


Figli degli X-men
(Children of X-men, da New X-men #42 e #43 del novembre e del dicembre 2007). Il problema principale della prima storia, ciò che rende il suo orrore tanto inspiegabile, è che Chris Yost non è un idiota. Il suo lavoro lo sa fare e non lo sa fare male, come questa doppia dose di New X-men dimostra. Due numeri principalmente statici, introspettivi, in cui vengono tirate le fila della sarabanda di eventi che hanno investito i nuovi x-men negli ultimi tempi, gli x-men adulti finalmente ritrovano un ruolo e, per la gioia dei grandi e dei piccini, viene data una risposta chiara a tutti i quesiti sulla collocazione delle storie. Sto persino iniziando ad apprezzare le matite di Skottie Young. Ma prima di iniziare a parlare della storia, due parole sulla copertina del primo episodio, che naturalmente nell’albo non viene pubblicata (ma abbiamo un meraviglioso riassunto introduttivo: siamo o non siamo fortunati?). Il taglio è chiaramente quello di due ragazzi in attesa di essere ricevuti dal preside, con la differenza che i questo caso il preside è Scott, con lui c’è Emma ed i due ragazzi sono un bestione roccioso e un lucertoloide. Fin qui niente di difficile da capire. Ciò che non capivo era la data sotto il titolo, e non riuscivo a leggere il nome dell’autore fonte d’ispirazione, citato sotto la firma. Devo ringraziare questa pagina e il relativo link al blog dell’autore per avermi fornito un’esauriente risposta: Skottie Young si è ispirato a questa copertina del Saturday Evening Post di quella data, disegnata da Norman Rockwell e dal titolo “Girl with black eye”. Ecco come lo stesso Young spiega la propria scelta:

«X-men came after, and due to story line I thought this would be a chance for me to pay tribute to one of the greatest artists of all time, Norman Rockwell. I’ve always wanted to this but just couldn’t fine the story that would fit it. So, I was happy to get this chance. Again, I wanted to make it feel like an old magazine, wrinkled from time and faded a little from light. It was a great learning experience and something that I didn’t know if I could pull off. It’s just another part of this crazy experimental stage I’ve been going thru.»

Per i non anglofoni, dice più o meno che, per via del particolare taglio della storia, ha pensato potesse essere una buona occasione per un omaggio a quello che considera uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, cosa che ha sempre voluto fare senza trovare prima un’occasione adatta. Quindi ha cercato di mantere il look dell’illustrazione originale, dando qualche tocco vintage alle luci della sua copertina: trovo abbia fatto decisamente un ottimo lavoro anche con il lettering del titolo.
E già che siamo in tema di copertine, prima di iniziare a parlare della storia, due parole su ciò che ci perdiamo anche in relazione alla cover #43, ugualmente non pubblicata: si tratta di una scena di gruppo decisamente ben fatta cui, stando a questo sito, si accompagnava questa pin-up con Surge, Mercury e X-23. Hanno deciso di non pubblicare nemmeno questa. Magari, non essendoci Deadpool da tagliare, hanno pensato non ne valesse la pena.
Ma direi che mi sono dilungata abbastanza con le cover. La storia si ricollega alla story-line di Stryker e del predatore X, pur prendendo le mosse dal ritorno dei nostri dal limbo. Gli adulti si rendono conto del potenziale dei loro ragazzi ma anche di come abbiano un po’ lasciato andare in vacca la scuola, alcuni dei ragazzi si lasciano andare ad una paranoia collettiva in perfetto stile “chi sarà il prossimo a rimetterci la pelle”, Santo e Victor testano i rispettivi poteri, Elixir riflette sulla vita e sulla morte, David recupera un ruolo nel mondo e c’è spazio anche per gli intrighi sentimentali, con vari doppi intrecci e una Laura che si taglia in bagno.
Molto ben fatto: una lunga lettura che lascia soddisfatti.

L’isolazionista #3 – vero o falso e L’isolazionista – conclusione (The Isolationist #3 – true or false e The Isolationist – conclusion, da X-Factor #23 e #24 del novembre e del dicembre 2007). Doppia razione anche di X-Factor e anche Peter David conclude la sua storia con Huber.
Quicksilver è sempre più fuori di testa, Layla Miller sempre deliziosa, Monet davvero splendida e Rahne molto intensa. Quello che mi lascia un po’ perplessa è proprio la creazione di questo ennesimo personaggio. Sarà utile alla fine? Si vedrà.

Nel complesso, un albo che sarebbe stato molto meglio senza il what if.

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