Il codice da Vinci: seconda critica positiva

E’ la seconda critica positiva che leggo, la prima di un amico generalmente contraddistinto da ottimi gusti cinematografici. Finirò a vederlo, prima o poi. Giusto per poter giudicare personalmente. Nel frattempo, leggetevi l’articolo da Liberazione di ieri. “Il Codice da Vinci”, una critica da sinistra – Stefano Jorio Il Codice da Vinci è un bel […]

Leonardo da Vinci, La scapigliata (studio per la Vergine delle Rocce)

E’ la seconda critica positiva che leggo, la prima di un amico generalmente contraddistinto da ottimi gusti cinematografici. Finirò a vederlo, prima o poi. Giusto per poter giudicare personalmente. Nel frattempo, leggetevi l’articolo da Liberazione di ieri.

“Il Codice da Vinci”, una critica da sinistra – Stefano Jorio
Il Codice da Vinci è un bel film. Un fotoromanzo d’azione tecnicamente riuscito, con il montaggio che va come una scheggia e la colonna sonora indovinata. Un film bello e – come di solito i polpettoni del suo genere – moderatamente noioso. E’ girato bene, gli attori sono bravi e non cerca di passare per quel che non è. Rispetto al romanzo, vederlo è un sollievo: vengono meno gli aspetti più beceri e reazionari, il razzismo latente, l’omofobia esplicita, il classismo strisciante. Meglio del romanzo racconta la storia dei vangeli apocrifi e la vulgata sui templari e il segreto del Graal. Il Codice da Vinci, laddove non si discosta dal romanzo, è un film conservatore e oscurantista per forma, concezione, retorica. Mette in discussione tutto per non discutere nulla. Denuncia come il Vaticano abbia perduto quella carità che era il suo mandato istituzionale, contesta anzi che si possa dare mandato istituzionale di carità, e tramite una gerarchia maschile: ma fa passare sottobanco alcuni dei più gravi impliciti di tale malinteso. L’assenso ai privilegi della ricchezza, del sapere. Il plauso a tutto quanto è ereditario. La rimozione del desiderio. Senza contare che l’esaltazione del femminile è una discriminazione subdola. Fedeli in crisi di coscienza? Quanto potrà durare la crisi di una coscienza bisognosa di un evento mediatico planetario per stropicciarsi gli occhietti e guardarsi intorno spaesata. Il Vaticano ne è consapevole: tanto che la levata di scudi appare un’alzata di voce dettata dall’arroganza più che dalla preoccupazione. Anche perché il “Codice” fa il furbo e gioca su entrambe le sponde: avalla la tesi eretica di un Gesù solo umano, ma ammicca alle virtù taumaturgiche della sua discendente, all’intervento divino nelle vicende terrene, alla redenzione dei peccatori-eroinomani, alle preghiere esaudite. Un grande inno a Gesù, ribadito comunque Salvatore: al di là del tormentone sulla natura umana o divina. “I’m a go-go-god / I’m a I’m a man…” magari lo sentiremo nelle discoteche. E nelle capitali europee girano volantini a suo nome: il “Codice” mente… ma di nuovo il mondo mi guarda, e sono felice. Alla fine del film, dell’estate, dei dibattiti e delle danze tornerà la fede moderata, acritica e farisea che il Vaticano ha sempre promosso con esempi edificanti e tridentinate al fine di farsene austero amministratore delegato. Ma il Vaticano ha accettato la sfida, ha criticato da destra la destra reazionaria del “Codice”. In Germania hanno scritto che si diventa bestseller con un mix anticattolico di denaro, potere, corruzione, decadenza e sfrenatezza sessuale; in Inghilterra, era già sul Times un anno fa, organizzano campagne nazionali contro il “Codice”. Da noi son stati pubblici anatemi: e libri, criminali per quanto sono irresponsabili, che si appellano alle scienze storiche ma adombrano dietro il “Codice” l’opera di Satana (un esempio: Attacco alla Chiesa di Livio Fanzaga). Il professor Langdom si rade nel bagno di una stanza d’albergo. Si taglia. Una goccia di sangue cade nel lavandino e traccia una sottile linea sul marmo bianco. Siamo alla fine del film: illuminato dalla linea del sangue, Langdom scioglie l’enigma e chiude il cerchio, riportando la telecamera là dove era partita. La linea del sangue attraversa Parigi notturna e risale a ritroso nei millenni. Fa di Gesù il capostipite dei Merovingi: dal Golgota alla torre Eiffel, la linea del sangue svolge una storia di nobili dinastie, monarchi mezzi divini, famiglie reali felicissime e perfette. Donne venerate per quanto portano nell’utero. Dal canto suo la lingua del sangue, primordiale e violenta, parla del sangue della nuova alleanza, del sangue versato in remissione dei peccati, beve il sangue, adora il sangue, consacra il sangue sotto l’effigie di un uomo seviziato. La linea del sangue separa il bene dal male. La lingua del sangue invoca la protezione dal maligno. In scena è comunque la lotta tra i buoni e i cattivi. Monolitico, granitico, il Vaticano lo ripete da quando è uscito il romanzo: noi siamo i buoni, punto e basta. Sempre nel 2003, un evento cinematografico di portata epocale ha riunito tre nuovi modi di agire e conoscere, e ha dato loro legittimazione estetica. Il film è La passione di Cristo di Mel Gibson, una somma schizoide di segmenti trascelti dagli episodi più fumettisticamente sensazionali della passione. I tre nuovi modi di agire e conoscere sono: il riduzionismo al sangue, carezzato dai restauratori e dal fondamentalismo cattolico come metafora di autenticità e garanzia di conformità. La strategia vittimista della chiesa cattolica che grida alla persecuzione e all’anticristianesimo. Il rinnovato ruolo di instrumentum regni conferito dal capitalismo armato alla religione: la morte onorevole, come nei codici morali militari, diventa per Gesù un valore primario. Buoni contro cattivi, ancora, perché l’immaginario del film è quello di una sottocultura machista e marziale, incapace di articolare in discorso le relazioni e contraddizioni del pianeta globale: esiste solo lo scontro. Frontale. Il Vaticano ha approvato il lavoro di Gibson: senza ombre, come senza ombre ha rifiutato il “Codice”. Dite soltanto “sì sì”, o “no no”. Ma un bel “dipende”, ogni tanto? Magari quando un caso mediatico, anche dozzinale e inzeppato di inesattezze, offrirebbe l’occasione di declinare pubblicamente, serenamente, il sistema chiuso di un’istituzione religiosa: compresi gli scheletri nell’armadio, la propria vocazione culturalmente e filosoficamente integralista, il maschilismo, la paura delle pratiche sessuali. Dalla leggenda della sposa di Gesù – vera o falsa che sia – al discorso sul sacerdozio femminile. Dalla discendenza di Cristo a una barzelletta sul sesso. No, si è preferito esaurire la storia nella storia, si è chiesto di specificare “opera di finzione”. Si è puntato sull’accertamento storico per non dover giocare sul suggerimento fantastico. Come se il Vaticano avesse qualcosa da guadagnare dalle verifiche storiche e dall’apertura degli archivi.

3 Comments

  1. Commento doveroso a fronte di critiche arrivatemi in privato: non è detto che io condivida al 100% quanto scritto dall’articolo (stiamo scherzando o cosa?), ad esempio “La passione di Cristo” mi è piaciuto. Ad esempio non condivido la lettura, un po’ tirata per i capelli, della morte onorevole di Cristo come nei codici militari. La crocifissione, ed è chiaro anche dal film di Gibson, è tutto fuorché onorevole. Non a caso il crocifisso non viene rappresentato nei codici miniati se non da un certo punto storico in poi…

  2. bah prima o poi lo si gurderà, anzi, meglio prima che poi, visto che fuori dal grande schermo non credo che gli restino molte chances…comunque complimenti per la tenacia che ha fatto affiorare una (ben due?) critiche positive…

    a presto :)

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