Guttuso e l’irragionevole strumentalizzazione dei credenti

Giro qui questo interessante articolo che commenta il recente vergognoso balletto sulla presunta conversione di Guttuso durante il quale, su un giornale che è sempre stato parodia di se stesso, uno tra gli ultimi uomini che dovrebbero manifestare professioni di fede e moralità ha ispirato un improbabile articolo (che ha fatto seguito ad uno ancor […]

Giro qui questo interessante articolo che commenta il recente vergognoso balletto sulla presunta conversione di Guttuso durante il quale, su un giornale che è sempre stato parodia di se stesso, uno tra gli ultimi uomini che dovrebbero manifestare professioni di fede e moralità ha ispirato un improbabile articolo (che ha fatto seguito ad uno ancor più improbabile). Non entro nel merito rispetto al dubbio senso del dibattito, che non guarda all’artista ma all’uomo ed è solo l’ennesima insensata apologia politica di un’ideologia sull’altra. Mi limito a segnalare l’ultimo paragrafo dell’articolo e il concetto che un’eventuale conversione tardiva è irrilevante al fine della comprensione delle opere dell’artista. A meno che, certo, non si voglia fare come Andreotti e teorizzare che la conversione tardiva che lui dà per certa sottenda una scarsa convinzione iniziale nella posizione di ateismo e quindi un cristianesimo inconsapevole ma ugualmente genuino, una fede insomma che bypassa la volontà. Il che è naturalmente profondamente offensivo sia nei confronti dell’uomo che nei confronti dell’artista. Ma non è raro che la fede, così facile ad offendersi, diventi offensiva con estrema leggerezza.

Guttuso, fu conversione?
di Antonino D’Anna
Ha fatto scalpore, in questi giorni, la storia della conversione di Renato Guttuso, il grande pittore siciliano scomparso negli anni Ottanta. Prima sussurrata, poi annunciata, poi sconfessata da Marta Marzotto, per la quale "Renato era un ateo granitico", poi confermata da un autorevolissimo testimone quale Giulio Andreotti. Che anzi ricorda su Avvenire come, giunto agli ultimi mesi di vita, poco dopo la morte della moglie, Guttuso lo volle invitare a una Messa celebrata in casa sua. "Era razionale anche nei ragionamenti della fede", ricorda Andreotti, convinto del fatto che il pittore, per tutta la vita, sia stato cristiano.
La conversione di un ateo desta sempre scalpore, come la bestemmia improvvisa del bigotto. Qualcuno la accoglie come un tradimento, per paura della morte. Qualcunaltro invece la vede come un ritorno alla fede per cui fare festa e gioire. Il cattolicesimo conosce tanti di questi ritorni e annovera tantissimi convertiti tra le sue fila, basti pensare a San Paolo o Sant’Agostino passando per l’editore Leonardo Mondadori. Conversioni che non sono mai state reclamizzate come un "trofeo" da appendere nelle bacheche vaticane, visto che Cristo stesso ha ammonito: "la destra non sappia ciò che fa la sinistra" e invitato a pregare Dio "nel segreto della tua camera".
Guttuso: e dunque Bagheria, la sua città. ‘U beddu paisi ‘a Barìa lo chiamano gli emigranti, il bel paese di Bagheria. La città delle ville settecentesche bella tuttora nonostante alcuni orrendi scempi edilizi (Dacia Maraini, nel libro omonimo, li racconta). La città "dell’ingegno, dell’acutezza dei bagheresi" come scrive Leonardo Sciascia proprio parlando di Guttuso e consegnandocelo il giorno di Natale del 1971, in visita al cimitero, mentre parla di comunismo col custode e gira per le tombe. Bagheria, i fratelli Ducato che costruivano carretti siciliani e dove un giovane Renato, figlio di Gioacchino che forse per protesta lo volle far nascere a Palermo (sempre Sciascia ricorda l’aneddoto), imparava a dipingere sotto la supervisione di un altro giovane pittore e scultore, Giuseppe Valenti (1902-1973). Che per un amore segreto non volle lasciare il paese e seguire Renato a Roma, verso il successo. Valenti e le teste di Medusa che sembra raffigurino proprio quella donna, lo sguardo a sognare chissà quali paesaggi o Santuzze (Santa Rosalia) da imprimere nella cera per questa o quella chiesa. Guttuso deciso, osservatore e uomo fatto (così ce lo tramanda una foto in un bar di Bagheria) che guarda un carretto appena finito e ascolta i vecchi Ducato mentre gli spiegano che cos’hanno fatto. Uno credente, l’altro no. O forse no.
La fede di Guttuso non c’entra con le sue opere. E se c’è può darsi sia sottopelle, cattolico come il messaggio dell’arte e cioè universale, rivolto a tutti. Il riconoscersi uguali, fratelli nelle piccole cose come nella sua Vucciria del 1974, o affascinato dalla sua ultima tela, Nella stanza le donne vanno e vengono del 1986: una prefigurazione del "genio femminile" esaltato da Giovanni Paolo II? Non lo sappiamo. Ma non importa per noi che guardiamo, non tocca le opere che ci ha regalato. Alla fine è un discorso tra lui e Dio, visto che ha voluto convertirsi e credere. Impegnandosi nella scommessa di Pascal, quell’"e se c’è?" che secondo Montanelli affiorò anche sulla bocca di Churchill quando, durante la II guerra mondiale, Roosevelt gli chiese di pregare con lui per la sconfitta del nazismo. Alla fine del rito un perplesso Winston, sigaro in bocca, glielo chiese: "E se poi Dio c’è e ci ha visto?". Appunto.


Immagini:
1) Studio per il Gineceo, 1985. (china su carta, 51×70)
2) Studio dal Marat di David, 1962. (china su carta, 100×70 cm)
3) Donna sdraiata e tulipano, 1985. (acrilico e inchiostro di china su carta, 73×102)

4 Comments

  1. Mah, secondo me è umano che – giunti a fine vita da perfetti atei – ci sia la “voglia” di esercitare la scommessa pascaliana.

    Qui emerge tutto il paradosso evengelico: perchè chi si converte a 10 minuti dalla fine dopo aver sollazzato deve avere lo stesso premio di chi si è fatto il “mazzo cristiano” per tutta la vita?

    Eppure nella nota parabola, a fine giornata il padrone dava lo stesso stipendio a tutti i mietitori, sia che lavorassero dalle 5 di mattina che dalle 5 di sera.

    Dato che al cristiano perbene ‘sta cosa fa un po’ girare sotto sotto i maroni anche se non può dirlo apertamente, allora gira in positivo pro domo sua le conversioni dell’ultimo minuto, esibendole un pochino come “trofei”.

    Non so se mi son spiegato.

  2. Ti sei spiegato perfettamente e ti ringrazio del commento, acuto come sempre.

    Personalmente, indipendentemente dalla questione evangelica su cui non mi pronuncio, trovo che esibire la coscienza (debolezza? incertezza? come ti piace) di un uomo come “trofeo” per dimostrare l’altrui torto sia piuttosto scorretto, in una questione che dovrebbe riguardare solo la propria coscienza e l’eventuale buon Dio.

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