Farewell James

Il giorno di Natale, «come in un libro scritto male», ci ha precocemente lasciato il grande James Brown, precocemente perché personaggi del genere se ne vanno sempre troppo presto. Ne parla Marco Boccitto sul Manifesto di oggi (27/12). Goodbye, Sex Machine… James Brown per sempre – Marco Boccitto È morto in piena notte di Natale, […]

Il giorno di Natale, «come in un libro scritto male», ci ha precocemente lasciato il grande James Brown, precocemente perché personaggi del genere se ne vanno sempre troppo presto. Ne parla Marco Boccitto sul Manifesto di oggi (27/12). Goodbye, Sex Machine…

James Brown per sempre – Marco Boccitto
È morto in piena notte di Natale, praticamente contromano. Ed è come se gli avessero gettato sulle spalle un’ultima volta la mitica mantellina con cui inscenava l’interminabile epilogo dei suoi show (l’idea gliela diede il lottatore Gorgeus George). Poi il sipario si è chiuso davvero, per sempre, su una delle figure più fiammeggianti della musica del XX secolo. Quella stessa musica che il suo funk aveva investito con la furia di un uragano, spettinandola irreparabilmente. James Brown aveva 73 anni e da poco era stato ricoverato in un ospedale di Atlanta per una sospetta polmonite. Non sembrava grave, tanto che il medico gli aveva dato l’ok per il concerto di fine anno previsto a New York, nel club di B.B. King. Pare gli siano state fatali le complicazioni cardiache sorte dopo il ricovero. Soltanto venerdì aveva partecipato all’ennesimo party benefico, di quelli in cui si distribuiscono doni natalizi ai poveri. I bambini che vanno a scuola con lo stomaco vuoto e tanta voglia di imparare, erano diventati loro i custodi ultimi del senso più profondo espresso dal suo funk, nato e cresciuto in stato di rivolta contro l’ingiustizia. Furiosamente integrazionista, poi anche un po’ patriottardo, ma sempre con quella spinta irrazionale, erotica, generosa, l’urgenza espressiva del vero rivoluzionario. Fine della storia. Dopo mezzo secolo di carriera turbolenta e alcuni milioni di dischi venduti, vari giri del mondo compiuti con la sua celebre «rivista» e varie generazioni stregate dall’onda cinetica che si è propagata per mezzo di quei poliritmi spiritati, l’urlo irredentista della sua voce, il corpo che guizza, delirio sussultorio che spezza le catene dello spazio. Il Padrino del Soul, Mr. Dinamite, The Groove Master, lo sgobbone dello showbiz, Soul Brother N°1, geeems braun… Un punto e a capo nel discorso sviluppato fin qui dalla musica neroamericana. L’uomo di Please, Please, Please, Papa’s Got A Brand New Bag, I Got You (I Feel Good), It’s A Man’s World, Give It Up Or Turn It Loose, Ain’t It Funky Now, Get Up, I Feel Like Being A Sex Machine, Soul Power, Hot Pants, Get On The Good Foot, The Payback è stato cantante, compositore, polistrumentista, bandleader, ballerino e coreografo, costumista di se stesso e della sua orchestra, imprenditore scatenato, collezionista di radio private, jet e storie d’amore tormentate. L’infanzia difficile nel Sud segregazionista (nato il 3 maggio 1933 a Barnwell, Souh Carolina, è cresciuto a Augusta, in Georgia), famiglia incasinata. Garzone, lustrascarpe, lavamacchine, raccoglieva cotone e ballava in strada per i passanti, tirava di boxe e si faceva il suo riformatorio duro per piccoli reati. Un tipo tosto fin da subito. La via verso il successo è infestata di trappole e lui combatte sempre come il pugile che stava per diventare, che tante ne prende e tante ne rende. Presto capisce che l’indipendenza nella vita e nell’arte è quasi tutto. I rapper gli sono quindi devoti per la profezia dell’autoproduzione, ma soprattutto perché senza la batteria di Clive Stubblefield in Funky drummer, forse il brano più campionato della storia, l’hip hop non avrebbe avuto neanche una musica sua. James Brown ha scandito in modo muscolare, con intensità e grazia guerriera, le metamorfosi della musica neroamericana dal gospel al rhythm’n’blues e dal soul al funk. Frontman esplosivo, maestro nel rituale dell’avvicinamento al palco. Era di una professionalità esasperata nella messa a punto della sua macchina del suono, la band che doveva venirgli dietro. Con lui un fraseggio, uno stacco, il semplice spostamento dell’energia motrice dal levare al battere sono molto più eloquenti di qualsiasi testo sacro. Èun brivido lungo il fondoschiena del mondo, una guerra di liberazione dell’anima. Certo era sempre lui che smaniava per andare in Vietnam a cantare per i «nostri ragazzi», perniciosamente attratto dalla Casa Bianca e dai suoi inquilini, che in James Brown vedevano un prezioso intercettore di voti neri. Calmò parecchio gli animi, in diretta tv, dopo l’assassinio di Luther King. Ma l’Fbi in fondo lo temeva – se uno era così bravo a fermare la rivoluzione poteva esserlo altrettanto bravo a scatenarla – e non gli ha fatto sconti. Per James Brown è stata una vita di cruciali intuizioni musicali e aspre intemperanze umane, anche a mano armata, che gli sono costate ancora carcere e pubblico ludibrio. Neanche l’era della disco, che certo gli fece assaggiare le corde, riuscì a metterlo così al tappeto. Non i guai con la coca e con il fisco, ma il rispetto della sua gente che alla prima occasione si trasformava in morbosa curiosità. Questo sì che lo distruggeva, come un colpo basso non visto dall’arbitro. Ora si ricomincia. Ieri ancora non si conoscevano data e luogo dei funerali che già infiammava l’ennesima battaglia legale, a casa di James Brown. Quarta moglie e madre di James Brown II, 5 anni, Tomi Rae Hynie, si è vista sbarrare l’accesso all’appartamento del cantante a Beech Island, in South Carolina. Secondo Buddy Dallas, legale di Brown, quando i due si sono messi insieme nel 200,1 lei era ancora sposata a un texano. Poi una volta divorziata, i due non si sono mai uniti in matrimonio. La lotta per l’eredità impegnerà presto anche i quattro figli nati dai precedenti matrimoni. Per fortuna c’è altro di cui parlare. Il James Brown «paladino dei diritti civili» che cantava Say It Loud, I’m Black And I’m Proud – Dillo forte – sono nero e sono orgoglioso – e minacciava: «Non smetteremo di muoverci finché non avremo ottenuto quello che ci serve». Quel che si dice mettere la politica in ballo… I cubi di ghiaccio possono restare a casa. Gambe forti e precise come compassi, passi anti-gravitazionali che esplodono in scena insieme alle formidabili dinamiche di una musica che è fatta di sincopi elettriche, fratture, nervi tirati, crescendo chirurgici. spaccate e spacconate varie, il ritmo che si avvita contro le leggi conosciute della musicologia, fatica, fiotti di sudore e molta goduria, ovvero funky good time per tutti. Ma proprio tutti. James Brown aveva il dono, affatto scontato, di parlare ai neri come ai bianchi. Alla domanda che molti si sono posti senza attendere The Committments – ma non saremo un po’ troppo bianchi per quella roba? – lui tranciava corto con la storia che «un’anima ce l’hanno tutti». Per questo, ovunque si trovi adesso, la festa è appena cominciata.

Immagine: James Brown in un ritratto di Kelly Sullivan

Aggiornamento: è dal Manifesto di oggi (28/12) la notizia che Spike Lee girerà un film sulla vita di James Brown. Nemmeno il tempo di farlo diventar freddo.

Spike e James Brown
Spike Lee si appresta a dirigere un film sulla vita di James Brown, il «padrino del soul» spentosi il giorno di Natale all’età di 73 anni nell’Emory Crawford Long Hospital di Atlanta, per insufficienza cardiaca in seguito a una polmonite. Ne dà notizia la rivista Variety. Il regista, spesso impegnato in progetti a sfondo sociale – è stato tra l’altro il primo a girare un film nella New Orleans devastata dall’uragano Katrina – ha firmato ieri il contratto con il produttore Brian Grazer. Ancora sconosciuto il nome dell’attore che vestirà i panni di James Brown. Secondo Variety Spike Lee (autore di film come Malcolm X, Fa la cosa giusta, Inside man) e Brian Grazer starebbero già da tempo lavorando anche a un altro progetto, un film sulla rivolta razziale scoppiata nel 1992 a Los Angeles, progetto nel quale era attivamente coinvolto lo stesso James Brown, impegnato a rivedere le prime bozze della sceneggiatura prima del suo decesso. Oggi una camera ardente aprirà i battenti nel mitico Apollo Theater di New York, ad Harlem, per permettere al pubblico di rendere l’ultimo omaggio alla salma. I funerali si celebreranno invece domani in forma strettamente privata ad Augusta, in Georgia, la città dove James Brown ha trascorso la sua infanzia (era nato il 3 maggio 1933 a Barnwell, South Carolina), facendo il garzone di bottega, il lavamacchine, il lustrascarpe, il raccoglitore di cotone, l’artista di strada, il pugile dilettante… Il reverendo Al Sharpton, un ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti, celebrerà la cerimonia di fronte ai familiari del cantante. Sabato avrà luogo una commemorazione nel Palazzo dei Congressi che porta il suo nome, la James Brown Arena. Sarà aperta al pubblico ed è prevista la partecipazione di molte migliaia di persone.


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