Domenica mattina per arpa e Stravinsky

Strana formula, se ci si pensa, quella del matineé: invece di rimanersene a casa a dormire, andare a messa come una pia donna o a prendere il pane come una brava massaia, una si alza all’improbo orario delle 10:00 a.m., salta in quella che al momento sembra una tenuta decente (vedere dress code alla voce […]

Strana formula, se ci si pensa, quella del matineé: invece di rimanersene a casa a dormire, andare a messa come una pia donna o a prendere il pane come una brava massaia, una si alza all’improbo orario delle 10:00 a.m., salta in quella che al momento sembra una tenuta decente (vedere dress code alla voce Elena Piva), agguanta i necessari strumenti atti a contrastare le intemperie e si infila in un concerto mattutino della serie Maggiore & Minore, ovvero la selezione che l’auditorium di largo Mahler dedica a compositori in qualche modo consderati minori, affiancati ad opere minori in qualche modo attinenti di autori generalmente noti per altre composizioni. Quello tenutosi domenica scorsa 15 aprile è un esempio da manuale: un’opera nota di un autore poco noto (l’Op.26 di Kabalevsky, altrimenti conosciuta come The Comedians), un’opera poco nota di un autore poco noto (concerto per arpa in Mi bemolle maggiore Op.74 di Reinhold Glière) e un’opera poco nota di un autore molto noto (Jeu de Cartes di Stravinsky). Sul podio, un Giuseppe Grazioli cui piacciono le chiacchiere, e che gentilmente ci contestualizza le sue scelte.

Dmitry Kabalevsky ebbe grande notorietà in vita ma non duratura se si considera la (s)fortuna che ebbe presso i posteri, perché serve a poco essere talentuosi e benvisti dal Comitato Generale (che lo rese uno dei pochi compositori del suo tempo non messo all’indice dalla famosa nota del 1948) se sei nato nello stesso periodo di gente come Prokof’ev e Shostakovich. La sua opera più nota è proprio The Comedians, una suite in dieci pezzi tratta dalla musica di scena che Kabalevsky scrisse per lo spettacolo teatrale L’inventore e i commedianti, messo in scena dal Teatro Centrale per l’infanziadi Mosca nel 1938. Si trattava di un’opera burlesca i cui toni si trasmettono ai “generi” che compongono questa suite:

  • 1. Prologo (allegro vivace);
  • 2. Galop (presto);
  • 3. Marcia (moderato);
  • 4. Valzer (moderato);
  • 5. Pantomima (sostenuto e pesante);
  • 6. Intermezzo (allegro scherzando);
  • 7. Piccola scena lirica (andantino semplice);
  • 8. Gavotte (allegretto);
  • 9. Scherzo (presto assai e molto leggiero);
  • 10. Epilogo (allegro molto e con brio).

All’interno di questa composizione, il Galop rimane il pezzo più noto di Kabalevsky. Personalmente, i miei preferiti sono la farsesca, appesantita marcia e il leggiadro, ebbro valzer. La suite viene spesso incisa, giustamente, insieme alla Masquerade Suite di Khachaturian, suo contemporaneo. Personalmente però amo molto anche i Preludes (opera 38), una serie di studi per pianoforte alla maniera di Chopin in cui reinventa motivi tipici delle danze russe, un po’ sulla falsa riga delle adorabili Danze Slave di Dvořák.

Autore poco noto al grande pubblico, invece, questo Reinhold Glière, russo tanto quanto i precedenti e appartenente al medesimo periodo storico (ed effettivamente questa selezione mattutina è stata tanto più interessante considerato che andava a recuperare pezzi molto diversi di artisti tra loro contemporanei). Il suo concerto per arpa e orchestra in Mi bemolle maggiore opera 74 è considerato dagli intenditori una sorta di sfida per i suonatori d’arpa, una musica virtuosa spesso paragonata ad un Rachmaninov e composta con la consulenza di Ksenia Erdeli, un’arpista […], come viene scritto nel libretto del concerto (che, purtroppo, per la frase in oggetto cita pedissequamente il profilo di Glière su classicalarchives.com):

[…] i cui suggerimenti furono così utili che il compositore le offrì di figurare nella pubblicazione come coautrice, ma lei rifiutò, insistendo sul fatto che il suo lavoro era stato solo quello di un editore.
(testo del libretto, a cura dell’Ufficio Edizioni)

Her suggestions were so helpful that he offered to give her credit in the publication as co-composer but she refused, insisting that her function was that of an editor.
(profilo su Classical Archives)

In ogni caso, la Erdeli era una virtuosa molto nota e stimata, e fu maestra di musiciste più note come Vera Dulova (del metodo omonimo, grande amica di Shostakovic) e compose in prima persona numerosi pezzi, oltre ad esibirsi, lungo una carriera durata oltre settant’anni, in prime non solo di Glière ma anche di Anatoly Kos-Anatolsky (di cui è più nota la dumka), Mikhail Ippolitov-Ivanov (più noto per aver ultimato l’opera Zhenitba lasciata incompiuta da Mussorgsky) e Alexander Gretchaninov (quello che con la sua opera 48 mise in musica per primo I fiori del male).
Lo ha eseguito quella domenica l’arpista Elena Piva, infilata in un abito da sera nero con inserti sbarluccicosi e scollatura ombelicale decisamente poco in linea con il dress code di un matinèe, su un’arpa con corda fessa fortunatamente (anche se parzialmente) sistemata al termine del primo movimento.
L’arpista è ospite dell’auditorium anche questa settimana, e potrei pensare di sfruttare il mio ultimo biglietto del carnet per andarmela a sentire questa domenica:

«Milano, 23 apr.(Adnkronos) – Il direttore tedesco Claus Peter Flor sara’ ospite, questa settimana, dell’Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi all’Auditorium di Milano. Al suo secondo appuntamento stagionale con l’ensemble milanese, Flor proporra’, giovedi’ alle 20.30, venerdi’ alle 20, e domenica alle 16 con l’arpista Elena Piva, prima arpa della Verdi come solista, un programma incentrato sul classicismo che vedra’ Mozart in apertura con la sua Serenata notturna n. 6, per concludersi con l’emozionante Sinfonia Degli addii n. 45 di Haydn. Nel mezzo, a fare da contrappunto ai due mostri sacri del Settecento asburgico, due vere e proprie perle: i concerti per arpa e orchestra di Haydn e del francese François Adrien Boieldieu, nato sotto l’Ancien Re’gime, formatosi durante il Terrore, celebrato durante Consolato e Impero, infine onorato dai Borboni.»
(notizia riportata su Androknos)

Tornando a Glière, l’arpa è uno strumento che mi piace molto, e quest’opera (che potete ascoltare qui in tre parti, eseguita da Rachel Masters) è particolarmente godibile, ingiustamente poco nota e spesso liquidata come pezzo virtuosistico insieme alla sua Coloritura per Soprano.

Gran finale di questa mattinata, il Jeu de Cartes. Una deliziosa composizione di Stravinsky che gode, come illustrato da Grazioli, della giusta definizione di “cubista” per come ama prendere riferimenti musicali del passato e scomporli in nuove melodie. Straordinariamente evidenti le cìtazioni, nell’ultima mano, del La valse di Ravel e del Barbiere di Siviglia di Rossini.

  • Première donne (Alla breve – Moderato assai – Tranquillo)
  • Deuxième donne (Alla breve – Marcia – Variazioni 1 – 5 – Coda – Marcia)
  • Troisième donne (Alla breve – Valse – Presto – Tempo del principio)

La musica, composta nel 1936 ad accompagnare un balletto su soggetto di tale Malaieff e coreografia del celeberrimo George Balanchine, già ideatore delle coreografie per cosucce come La Nuit di Rubinstein (1920, considerato il suo primo lavoro), Apollon musagète sempre con Stravinsky, Le Burgeois Gentilhomme da un concerto di Strauss e con soggetto tratto da Molière, l’Orfeo ed Euridice di Gluck. I suoi costumi, tra gli altri, vennero disegnati da gente come Picasso, a mantenere questo fil rouge con il cubismo, Rouault e Matisse. Mise in scena questo Jeu de Cartes come una giocosa metafora socio-politica, in cui un camaleontico Joker molto simile ad una diabolica versione del matto nei Tarocchi, sbaraglia il resto delle carte con le sue continue trasformazioni e viene poi sconfitto, nell’ultima mano, da un’unione delle altre carte che vanno a formare una scala reale di cuori. Del balletto esiste anche una versione più cupa, con finale tragico, autorizzata dallo stesso Stravinsky e messa in scena a Milano per la prima volta nel 1959 (ne parla, qui, niente di meno che Eugenio Montale). Quale sia questo finale, non mi è dato sapere. Certo è che la critica diverge sul supposto significato allegorico del balletto: se per la critica italo-francese si tratta di un messaggio politico da contestualizzarsi nel periodo storico (le potenze che unendosi possono sconfiggere il male), la critica anglosassone ne fa un messaggio quasi proletario che dimostra come personaggi di bassa estrazione possono, con furbizia e talento, avere la meglio sui potenti. Sicuramente la musica parla un linguaggio più giocoso, sfrenatamente goliardico, cui applicare queste letture sembra addirittura manicheista.

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