Come l’ombra di Milano

Il tanto discusso monumento Ago e filo di Claes Oldenburg in piazza Cadorna a Milano (foto dalla Wikipedia italiana) Dal Manifesto di oggi un articolo sul film di Marina Spada, di cui tanto si era parlato. Sono curiosa di vederlo. O forse no. Odio questo tipo di film (e ora mi chiedete quale tipo di […]

Milano_Ago_e_Filo_1Il tanto discusso monumento
Ago e filo di Claes Oldenburg in piazza Cadorna
a Milano (foto dalla Wikipedia italiana)

Dal Manifesto di oggi un articolo sul film di Marina Spada, di cui tanto si era parlato. Sono curiosa di vederlo. O forse no. Odio questo tipo di film (e ora mi chiedete quale tipo di film?)

«Come l’ombra» alla scoperta di Milano – Maria Grosso
Presentato a Venezia alle Giornate degli Autori, Come l’ombra è stato poi in diversi festival, tra cui Sulmona. Il racconto ruota intorno alla storia di due donne: Claudia, trentenne che lavora in una agenzia di viaggi e la sera studia russo, e Olga, una ragazza ucraina ospite occasionale che improvvisamente sparisce. Ne parliamo con la regista Marina Spada.
Come e quando si è formato il primo nucleo del film?
Nel 2002 ho fatto un primo lavoro che può essere definito: il primo esempio di film «a produzione dal basso» che sia stato realizzato in Italia. In quell’occasione, abbiamo creato un sito internet in cui si parlava del soggetto che avremmo voluto realizzare e in cui si chiedeva a chi avesse condiviso l’operazione, la sceneggiatura e il senso del film, di partecipare attraverso quote pari circa a 100mila lire. In questo modo abbiamo raccolto 65 milioni e abbiamo fatto Forza Cani, che se non è stato visto da «chi di dovere», è però arrivato a un mucchio di gente. In seguito, la Shake edizioni lo ha pubblicato come vhs insieme a un libro che racconta il percorso del film. Così arriviamo a Come l’ombra. Il film ha cominciato a nascere nel momento in cui Daniele Maggioni (direttore della Scuola di Cinema di Milano, che mi aveva aiutato a montare Forza Cani), mi ha proposto una sceneggiatura che aveva scritto pensando a me. L’ho letta e subito sentita molto mia. Sono intervenuta sul testo e insieme abbiamo cambiato delle cose e approfondito delle altre. Un’altra circostanza decisiva è stata il mio incontro con Gabriele Basilico, cui avevo fatto un videoritratto. Basilico, che è un grande fotografo di architettura, chiamato in tutte le città a documentare la contemporaneità dell’architettura, aveva visto il mio primo film e gli era piaciuto il lavoro che avevo fatto su Milano, perché anche Forza Cani era stato girato lì. Così, quando gli abbiamo proposto un coinvolgimento nel progetto, si è mostrato interessato. Da quel momento in poi, tutti e tre abbiamo cominciato a parlare di come procedere e pian piano il film è venuto fuori. Anche in questo caso, inoltre, abbiamo avuto l’appoggio della Fondazione Scuole Civiche di Milano, di cui fa parte la scuola dove io insegno. È stata dunque un’operazione similare: ho dato cioè la possibilità di esordire a tantissima gente, professionisti e non. E poi mi pregio di aver fatto esordire il primo direttore della fotografia donna in Italia, che si chiama Sabina Bologna e ha firmato la fotografia con Giorgio Carella.
Vedendo Come l’ombra si ha la sensazione che abbiate voluto eliminare dalla sceneggiatura ogni ridondanza verbale, ogni parola che non fosse strettamente necessaria.
È così. Abbiamo fatto parlare le immagini. Credo poi che i nostri riferimenti cinematografici siano abbastanza trasparenti: uno è sicuramente Antonioni, un altro è sicuramente Ozu, ma anche Godard e in generale il cinema sperimentale che risale agli anni ’60.
Hai detto che le città si stanno sempre più somigliando. Probabilmente è destino che si crei una grande megalopoli in cui non è possibile comunicare. Se le grandi città sono come vasi comunicanti, nel film lo sono anche le vite delle persone?
Sicuramente deve essere stato molto strano per Claudia andare in giro per la sua città cercando percorsi e contatti che non conosce e avendo la sensazione di essere quasi un’estranea dentro una cosa che dovrebbe esserle nota. Se si cerca una donna ucraina che è sparita, non si può certo andare dal giornalaio a chiedergli se l’ha visto, come non si può andare dalla polizia, se non per rendere nota la faccenda alle autorità. Allora il posto che conosce da sempre le appare ignoto, differente, ha la netta sensazione di cercare un fantasma. E a quel punto è un fantasma anche lei. All’interno di un territorio che per te dovrebbe essere noto, scopri mondi che sono totalmente non noti. E forse è per questo che io continuo a girare a Milano.
Si è parlato di una Milano inverosimile perché troppo vuota, come se ci fosse una visione oggettiva della città.
Quando ho visto il film, mi sono chiesta: ma la città è veramente così, o è lei che la vede così? Forse non è così, ma è il suo sguardo che la percepisce in questo modo, o forse sono tutti come lei, nascosti dietro i vetri a guardare. Non so. O forse si tratta di un luogo abbandonato, svuotato dalla peste. Ma è anche vero che è stato davvero difficile realizzare alcune inquadrature, perché Gabriele (Basilico, ndr.) fa soltanto uno scatto, ma io devo girare dieci venti secondi di vuoto, ed è tanto. A meno che non blocchi tutto il traffico, cosa impossibile non solo per motivi oggettivi, ma anche perché ci vogliono un sacco di soldi. Quella inquadratura semivuota di Melchiorre Gioia, uno degli snodi principali di Milano, sono riuscita a farla solo perché l’ho girata il 14 agosto alle sette di sera, quando erano già tutti in pista pronti per partire.
Claudia cercando Olga si imbatte in parti della sua città che non conosceva. Attraverso il lavoro di Gabriele Basilico hai scoperto aspetti di Milano per te inaspettati?
Il suo lavoro è speciale e mi ha sempre colpito. Io non sono una cinéphile, sono una che conosce la fotografia e l’arte contemporanea, la pittura. Tanto è vero che per questo film ho fatto anche dei quaderni preparatori pieni di riferimenti iconografici, non di carattere cinematografico, bensì legati alla fotografia e all’arte. Lo sguardo di Gabriele è talmente lirico e poetico rispetto alla mediocrità che ci circonda, che ne sono rimasta affascinata, anche perché è molto vicino al mio modo di rapportarmi alle cose. Lui parla di ridare dignità all’architettura mediocre. Che poi è ciò che lui ha perseguito in tutte le città del mondo. Anche se dice che Milano rappresenta la «palestra dello sguardo». Lo sguardo che ha imparato a esercitare qui l’ha portato in tutto il mondo.
Il film è stato accolto molto bene. Che riscontro hai avuto dal contatto col pubblico?
A Toronto c’era la fila e il film è stato proiettato due volte con la sala piena e il direttore del festival in persona lo ha presentato. La gente si è avvicinata per farmi i complimenti, chiedendo l’autografo e facendo domande. Sono luoghi in cui il pubblico è molto interessato e affezionatissimo al cinema e fa domande da un lato ingenue ma anche di alto livello. Per domande ingenue intendo non cervellotiche, domande che rivelano una vera passione per quanto hanno visto, un grande coinvolgimento. Insomma io sono molto contenta. E con questo spero di venderlo questo film, anche se mi dicono che è ancora presto. È la prima volta che ho un’occasione così grossa. E anch’io sono una neofita.

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