Dal Manifesto di qualche giorno fa, la recensione di un romanzo fanta-matematico che sembra intrigante. Niente di nuovo comunque, almeno a prima vista, tra i personaggi di Flatland, il retrogusto di Alice e le (presunte) paranoie di John Nash.
Imperfette utopie, le colorate insidie della matematica
Affetti da un disturbo che traduce le cifre in esperienze sensoriali, i personaggi del «Peso dei numeri» dell’inglese Simon Ings si perdono in un intrico di trame che attraverso lo spazio e il tempo convergono verso un ordine illusorio. Un incontro con l’autore
– Luca Tomassini
Cosa c’entra la matematica con il mondo? Più che una domanda, è un’ossessione, che da oltre duemila anni tormenta filosofi e scienziati, artisti e scrittori. Realtà concreta fatta di pura perfezione, linguaggio in cui dio avrebbe scritto il grande libro della natura e che non cessa di stupire per la sua «irragionevole efficacia» o magari semplice strumento per la costruzione di modelli più o meno arbitrari, una cosa è certa: la matematica è ovunque, impregna le nostre vite.
Simon Ings, scrittore di fantascienza e saggista nato quarantadue anni fa a Londra, durante la sua infanzia con i numeri ha avuto un rapporto particolare: li percepiva come colori, come qualcosa di immediatamente fisico. Si chiama sinestesia, ovvero sovrapposizione, confusione delle informazioni provenienti dai cinque sensi, ed è un «disturbo» (o un dono a seconda dei punti di vista) neuropsichiatrico abbastanza comune, di cui hanno sofferto fra gli altri il fisico Richard P. Feynman o il musicista Rimskij-Korsakov. Può capitare di percepire l’odore delle note oppure di vedere il 1980 come piccolo e lontano rispetto al 2005, può essere controllabile o costituire un vero e proprio handicap.
Proprio attraverso la sinestesia Ings esplora nel Peso dei numeri, la sua ultima fatica narrativa appena uscita per il Saggiatore (traduzione di Carlo Torielli, pp. 407, euro 16), il senso di quella ossessione. E non è un racconto di fantascienza. Al contrario l’intrico di personaggi, momenti storici, luoghi che come in un caledoscopio si susseguono lungo le quattrocento pagine del libro non disegna altro che quel labirinto che sembra essere diventato il mondo in cui viviamo.
Perché i numeri sono pesanti?
In inglese «il peso dei numeri» è un’espressione che indica l’inaggirabile potenza della quantità. Volevo esprimere come l’individuo sia schiacciato dalla storia e come questa sia la realtà della vita, che ci piaccia o no. Volevo scrivere qualcosa in cui non ci fosse traccia di fede, ma solamente il nostro personale destino. Volevo capire quale sarebbe stato l’aspetto di un mondo del genere, completamente ateo, nel quale l’unica struttura esistente ha una natura puramente matematica. Qualcosa che si accosta forse alla ricerca di Thomas Hardy sul rapporto tra caso e religione.
Matematica come struttura, dunque. Ma la matematica è anche concreto potere di trasformare il mondo, e tutto il libro è attraversato da questa tensione. I numeri, allora, sono libertà o destino?
Credo che siano destino, anche se per un ex scrittore di fantascienza questa potrebbe sembrare un’eresia. Trovo ammirevole l’aspirazione a rendere il mondo perfetto attraverso la tecnologia, e dunque attraverso i numeri, ma non credo che possa funzionare. Ho cercato di rappresentare la complessità del mondo in cui viviamo, le conseguenze dell’interazione di un grande numero di individui, e la conclusione è che ci saranno sempre dei numeri che ci sfuggono. È questa complessità che rende impossibile ogni tentativo di costruire l’utopia, di dare una forma al caos, di prevedere l’imprevedibile. E allora per me la vera domanda è un’altra. Il fatto che qualunque ideologia sia destinata al collasso implica che non dovremmo averne nessuna? Il libro prova a descrivere un mondo dove i giorni dell’ideologia sono finiti: volevo vedere il suo aspetto e devo ammettere che non mi è piaciuto.
Nel libro i personaggi di Kathleen e Anthony sembrano incarnare questa contraddizione. Sono entrambi impegnati in una Londra semidistrutta dai bombardamenti tedeschi durante la seconda guerra mondiale a interpretare comunicazioni in codice per i servizi segreti britannici. E entrambi sono sinestetici. Comprendono i «numeri», vedono la struttura, ma questo non basta. Perché?
La percezione che la sinestesia dà della matematica è quella di un fatto concreto, come se studiare la matematica equivalesse a studiare un fenomeno naturale. Ma questa comprensione immediata, fisica, non è razionalizzabile e può diventare persino una forma di autismo, tanto da rendere impossibile la comprensione del linguaggio o di qualunque forma di logica simbolica. Con il personaggio di Kathleen volevo verificare se la sinestesia, rivelando la materialità dello scheletro matematico, potesse essere utile nel mondo, ma nel suo caso è un ostacolo perché lei non è neanche in grado di scrivere un testo che qualcuno possa capire. Anthony, invece, è un sinestetico funzionale, lui può essere un matematico e lo è: a impedirgli il contatto con il mondo è la sua convinzione di essere sempre in un luogo e in un momento particolari. Come molti sinestetici ha infatti una memoria fatta di flash che si susseguono senza controllo, più che di informazioni che possiamo richiamare alla coscienza quando lo desideriamo. In entrambi i casi, e per ragioni opposte, la matematica promette un futuro radioso ma non fornisce gli strumenti per realizzarlo.
Razionalizzazione e distacco come ingredienti per trasformare la matematica, la conoscenza, in potere?
Di questi tempi accade sempre più spesso che si forniscano spiegazioni matematiche per descrivere il funzionamento di una società o persino per seguire l’evoluzione di una civiltà. Sono modelli che hanno sicuramente un grande fascino, e anche una certa utilità, ma personalmente non credo che sia un orientamento corretto: leggere per esempio i risultati di una elezione solo alla luce dei dati matematici, sottovalutando le ideologie in campo, rischia di falsare la prospettiva. In un’epoca come la nostra, dove la fiducia nei valori – o meglio, nelle descrizioni che sui valori si fondano – è venuta a mancare, dobbiamo evitare che la matematica diventi un surrogato: non sono i numeri a poterci dire quello che in realtà desideriamo. Questo ovviamente non esclude che la matematica ci possa offrire una descrizione incredibilmente precisa di moltissime cose che avvengono nella nostra società. Anzi, è così attraente proprio perché funziona. Ma cosa succede quando non resta altro?
Appunto, cosa succede?
Personalmente sono convinto che si tratti in realtà di una questione poco rilevante. Molto presto, forse già nella generazione dei nostri figli, il vero problema riguarderà aspetti molto più concreti della nostra vita, a partire dalla produzione del cibo. Osservando quanto succede oggi, sono arrivato alla conclusione che quello che potremmo definire il «progetto occidentale» della storia sia finito. Non è possibile conciliare gli attuali livelli di produzione e di consumo con la sopravvivenza del nostro pianeta e per questo credo sia inevitabile un passaggio dalla politica delle identità alla politica della necessità. Da questo punto di vista, la matematica ci potrà aiutare, perché fornirà modelli su cui elaborare proiezioni di uno sviluppo diverso, modelli che però avranno bisogno di nuovi valori. Oggi non li vediamo ancora, ma è solo questione di tempo, di un paio di generazioni.
Ma questa è fantascienza.
Niente affatto. Una volta Philip K. Dick ha detto che la fantascienza è la letteratura della paranoia. Ho abbandonato questo genere letterario proprio perché sono convinto che oggi la paranoia sia nella realtà di tutti i giorni, perché non sono sicuro che una proiezione nel fantastico sia appropriata in questo momento. Lo sarà di nuovo, questo è sicuro, ma oggi non abbiamo altra scelta che guardare il mondo in faccia.
3 Comments
heraclitus
Posted at 09:51h, 06 Februaryeffettivamente sembra interessante.
Njord
Posted at 13:39h, 06 FebruaryTralascio ogni commento suglia spetti personali dell’autore nel romanzo: non ho conoscenza di entrambi, ergo non mi azzardo a porre giudizio in merito.
per quello che concerne il connubio fra matematica, pesi, misure, conoscenza, potere e destino…bhè, per il momento mi limito a dire semplicemente che
1) si, i numeri hanno si un loro “peso”, quale valore soggettivo del raziocinio umano e delle Sue misure
2) la conoscienza è la conoscenza statica del Potere, quello vero …di ogni sua forma è la saccenza
3) la Matematica è quindi la chiave di interpretazione delle forze con cui l’ordine cosmico è costituito…un esempio diverso, per meglio capire, è la musica, la voce dell’universo…
Allora Shelidon, sono stato bravo o no?
AH Dimenticavo: il Destino? Bhé…diciamo che il destino controlla il libero arbitrio…
SALUTONIII!!! ;-)
Shelidon
Posted at 15:00h, 06 FebruaryNjord, riflessioni interessanti, ma hai la glicemia un po’ alta oggi? Sei decisamente su di giri.