100% – La storia dell’ultimo Iron Fist

100% Iron Fist La storia dell’ultimo Iron Fist di Ed Brubaker e Matt Fraction disegni di David Aja — Contiene: L’immortale Iron Fist: Da che parte stai? (da Civil War – Choosing Sides: The Immortal Iron Fist del dicembre 2006) La storia dell’ultimo Iron Fist #1 – #6 (The Last Iron Fist Story, da The […]


100% Iron Fist
La storia dell’ultimo Iron Fist

di Ed Brubaker e Matt Fraction
disegni di David Aja
— Contiene:
L’immortale Iron Fist: Da che parte stai? (da Civil War – Choosing Sides: The Immortal Iron Fist del dicembre 2006)
La storia dell’ultimo Iron Fist #1 – #6 (The Last Iron Fist Story, da The Immortal Iron Fist #1 – #6 del novembre 2006 – luglio 2007).

E il titolo suona proprio male, va detto.  Non è colpa della Panini, ma suona davvero male. Colpa della Panini certo è l’aver voluto lasciare il nome in originale seguendo l’ultima preoccupante tendenza di lasciare in originale anche i nomi che storicamente sono stati tradotti, buttandosi alle spalle con nonchalance giusto quella manciata di storia editoriale italiana. Ma questo non è tanto grave. Molto bravi invece a mettere i riferimenti editoriali originali così completi e così bene in vista: mi comprerò un microscopio elettronico.
Lodevole al contrario, parlando di costruzione dell’albo, la scelta di inserire la scheda sullo studio del costume, qualche commento di Aja e le copertine, che di recente stanno diventando un vero e proprio lusso. E proprio da questo restyling, giustamente valorizzato dalla Panini, vorrei iniziare la recensione dell’albo.
E’ proprio vero che la scelta delle copertine su sfondo bianco paga: non è molto usuale e dà un’eleganza straordinaria a questi artwork, attirando sicuramente l’attenzione. Mi è piaciuta la scela della prima e della seconda copertina di alternare il personaggio (in classica posa wuxia) ad uno sfondo con due architetture simili eppure opposte, ugualmente magiche: la torre di K’un-Lun e l’Empire State Building. Peccato che la terza copertina devi un po’ dallo stile e le altre siano completamente diverse: ricercando l’unità estetica avrei preferito che fossero un po’ più omogenee, ma forse si è scelto di non farle troppo simili per avere più presa nell’occhio dell’acquirente occasionale.
In ogni caso, su di me il look di copertina ha funzionato. Non conoscevo molto Pugno d’Acciaio e, come dicevo proprio ieri in chat al prode Imp Bianco, non pensavo di comprarlo. Ma, un po’ tentata dalla copertina e un po’ per fargli dispetto perché a lui non è ancora arrivato, ho ceduto preferendolo all’imponente 100% Wolverine – Nemico pubblico numero uno. Ho fatto bene? Ho fatto male? Chi lo sa. Vediamo un po’.

I disegni di Aja innanzitutto meritano, di sicuro. Il suo stile graffiato nelle tavole di New York mi ha ricordato La Confessione, non chiedetemi perché, e mi sono particolarmente piaciute le sue atmosfere piovose, alla Daredevil. Meno di mio gradimento sono stati i disegni ambientati nel passato, ma nessuno è perfetto. Del resto colori e tratto della parte diurna non sono le uniche pecche estetiche, e l’altra è decisamente più imponente. Per un’opera come questa, in cui l’introspezione e le didascalie hanno un ruolo a dir poco predominante, il lettering è davvero pessimo e rende la lettura abbastanza faticosa. Ho frugato un po’ on-line per vedere se non fosse stata una qualche buona pensata dell’edizione italiana, ma a quanto pare il lettering originale era peggio. Molto peggio. Non colpa della Panini, quindi, ma di tale Ramone che avrebbe fatto meglio a starsene nel buco da dove è uscito: i box vagano a caso nella pagina, in teoria seguendo i volteggi di Rand ma in pratica rendendo impossibile seguire i disegni e le didascalie contemporaneamente, non senza una certa fatica. In più, i caratteri originali corsivi erano davvero atroci. Ma anche questi maiuscoletti italiani, per quanto indiscutibilmente eleganti, forse non aiutano.

Ma basta parlare di disegni, altrimenti poi mi dite che guardo solo le figure.
La storia non è male, intreccia molte delle cose che mi piacciono in questo periodo dei fumetti marvel, cose cui Brubaker ci ha abituati a badare. Innanzitutto è perfettamente inserito in contesto, pur essendo una storia autonoma e senza legami effettivi con il resto del mondo parla di registrazione, degli eroi in vendita, ci mostra un Luke Cage ancora e sempre in clandestinità, un’America in cui «per gli eroi non registrati è diventato sempre più difficile ricevere cure mediche adeguate» e si parla di cliniche clandestine. Un’America di multinazionali e di feroci concorrenze, di uffici vuoti e compagnie prestanome, di eserciti mercenari che la notte si rincorrono sui tetti e di uomini d’affari che di giorno non si scannano diversamente negli uffici. A questa storia, con il continuo sottofondo introspettivo di Rand, si mescolano le storie dei precedenti Iron Fist. E’ una coincidenza piuttosto strana, perché ho parlato proprio di recente di due albi con lo stesso schema narrativo, ed erano "Capitolo 92" ("Chapter 92", da Witchblade #92 del dicembre 2005) nel 100% Witchblade #2 "Fuga" e "Capitolo 100" ("Chapter 100", da Witchblade #100 dell’agosto 2006) nel 100% Witchblade #3 "Morte e rinascita". In entrambi i casi mi ero trovata a lodare la scelta di affidare ogni flash-back ad un disegnatore diverso, benché io non ami in generale gli affiancamenti alle matite. In questo caso forse, trattandosi di uno schema analogo, la scelta avrebbe pagato.

Ma eccomi di nuovo a trascurare la storia per parlare di disegni.
La storia, dicevo, parla di America e di un eroe il cui potere proviene da un’altra cultura. Peccato che il conciliare una filosofia come la sua in una società come quella americana non sia l’oggetto dell’albo: mi sarebbe piaciuto vedere Bru alle prese con questo problema, sarà per un’altra volta. In questa storia il buon Ed si "limita" ad esplorare le connotazioni e le declinazioni di questo potere, le sue origini, le sue implicazioni, la sua storia e il suo sapore. Ci mostra un potere che inebria e che dà la possibilità di sopravvivere, sempre e comunque, ma che assomiglia più ad un cancro alle volte, una cosa troppo grande cui non si può sopravvivere.
E fin qui tutto bene. Poi, ahimé, la storia si perde un po’. L’arrivo di Orson Randall, il predecessore di Rand, lascia un po’ perplessi perché generalmente poteri come il pugno d’acciaio sono titoli unici e si ritrasmettono o per contatto diretto tra i possessori, per "eredità", o per ritorno alla fonte dopo la morte del precedente portatore. E che dire di Davos, Steel Serpent? Grande colpo di continuity, ma introdotto un po’ frettolosamente, per chi non sa nulla del background di Rand o non ricorda esattamente di che cosa si stia parlando. E’ come se tutta la parte centrale del fumetto arrancasse sotto il peso della continuity, senza predere una decisione chiara tra il reintrodurre i personaggi da capo o darli per scontati.
Dall’ingresso nella splendida ambientazione della stazione dei cinque punti, la ripresa è netta. Leparti con madre Gru, le scene con i signori delle Sette Capitali Celesti, sono di una bellezza decismente conturbante, così come il combattimento dei due Iron Fist, i loro opposti approcci al combattimento e alla vita. Passato e futuro che combattono insieme è sempre un tema banale, ma Brubaker ha già dimostrato di saperlo gestire più che bene, con Capitan America, e non delude. Non delude fino alla fine, con un finale deflagrante. Letteralmente.

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