Tony Stark, Philippe Starck e io non ci volevo venire

Francamente non lo volevo andare a vedere. E quindi, come volevasi dimostrare, tra uno cui piace smodatamente Robert Downey Jr. e uno che un film del genere non se lo perderebbe per nulla al mondo (ma solo per poterne poi eventualmente parlare male), mi è toccato andarlo a vedere il giorno della sua uscita. Che […]

Francamente non lo volevo andare a vedere. E quindi, come volevasi dimostrare, tra uno cui piace smodatamente Robert Downey Jr. e uno che un film del genere non se lo perderebbe per nulla al mondo (ma solo per poterne poi eventualmente parlare male), mi è toccato andarlo a vedere il giorno della sua uscita.
Che dire? Non sono ancora riuscita a formulare un giudizio, né ad astrarre la scanzonata, deliziosa performance di Downey Jr. e Gwyneth Paltrow da tutto quanto il resto. Diamo un’occhiata al film cercando di scindere i vari aspetti.

La trama è telefonatissima, come i film di supereroi ci hanno abituato, e si basa sulle origini ret-conizzate di Iron Man: Tony Stark viene rapito dai talebani e porta i valori americani sulle loro teste infedeli. Già. Personalmente non ho mai apprezzato l’operazione di aggiornamento dell’universo Marvel, figlio – io temo – da una parte dell’incapacità di far correre la continuity su un binario parallelo ma sfalsato rispetto al nostro e dall’altra, cosa assai più grave, dell’incapacità di gestire Earth-616 come un universo parallelo al nostro, simile ma per forza di cose diverso (cause principali, non solo la non trascurabile presenza dei superumani, ma anche la presenza di stati destabilizzanti con dinamiche del tutto particolari non ultimi Atlantide, il Wakanda e la Latveria). In ogni caso, per chi non sapesse di che cosa sto parlando, le origini di Iron Man vennero scritte per la prima volta in Tales of Suspense #39 (del marzo 1963) da Larry Lieber sotto la paterna mano di Stan Lee, e in quella versione la guerra che vedeva Tony Stark costruire la sua prima armatura era quella del Vietnam. Successivamente, da qualche parte nel corso degli anni ’90, qualcuno ebbe la brillante idea di dargli un’aggiornatina trasformando il Vietnam nel Kuwait e la guerra nella prima guerra del Golfo (da non confondersi con la seconda… o forse sì?). Prima ancora (Iron Man Vol. 1 #275), un debole tentativo di ringiovanimento aveva trasformato il Vietnam nella provincia cinese. Incapaci di stare fermi (gli autori, ma anche l’esercito americano, leggetela come volete), nel 2005 i vertici Marvel sentirono poi il bisogno di affidare a Warren Ellis una riscrittura delle origini tramite intervista, durante la prima parte della mini “Extremis” in Iron Man Vol. 4 #1: questa è la versione utilizzata nel film, con i signori della guerra talebani, lo scienziato asiatico Yin Sen che non è più nemmeno asiatico e compagnia. Non penso di aver bisogno di ribadire quanto trovi inadeguata questa politica: da un lato ci troviamo una serie di personaggi, come Bucky e il recentemente (e finalmente) defunto Capitan America, impegolati fino a pochissimo tempo fa con i nazisti. Che risultano ancora più anacronistici e insopportabili. Dall’altra, una assurda frenesia a mantenere perennemente trentenni personaggi come Tony Stark, rincorrendo un’ossessione tutta americana per l’eterna giovinezza e – non dimentichiamocene – per l’ignoranza storica. Non sia mai che qualche giovane lettore si domandi che cosa sono state la Guerra in Vietnam e la Guerra del Golfo (ma quale? perché a quanto pare la definizione “prima guerra del golfo” è qualcosa che gli Stati Uniti si porta dietro man mano che va a rompere le scatole altrui in quella parte del globo, dato che con la recente guerra in Afghanistan la definizione di “prima guerra del golfo” è passata a quella del Kuwait). Non sia mai che magari scopra, non so, che in Vietnam l’America le prese piuttosto secche o che in Iraq con Saddam si andava parecchio d’accordo.
In ogni caso, prendersela con il film per questa attualizzazione avrebbe poco senso, benché sono assolutamente certa che – laddove non ci avesse pensato il fumetto – avrebbero provveduto gli sceneggiatori. D’altronde non sono purista e integralista e apprezzo le modifiche durante la trasposizione da un medium all’altro: bisogna ricordare che un film è un mezzo comunicativo diverso da un libro o da un fumetto, che il prodotto film non dovrebbe essere una trasposizione, come spesso si dice, ma una rielaborazione, se non proprio una reinterpretazione. Bisogna ricordarlo noi spettatori, e non urlare al sacrilegio se viene tolta quella cosina deliziosa ma perfettamente inutile che è Tom Bombadil. Ma sarebbe carino che ogni tanto lo ricordassero anche gli sceneggiatori. E questo film a tratti rischia di dimenticarsene, quando omaggia selvaggiamente i fumetti preoccupandosi poco di chi potrebbe non conoscere la storia del personaggio, ma non scade mai in errori fatti ad esempio da film come Harry Potter, divenuti progressivamente sempre più incomprensibili al neofita: poco importa infatti che James Rhodes guardi l’armatura tentato di indossarla o che la versione originale della conferenza stampa preveda la guardia del corpo di Tony come copertura. Le strizzate d’occhio rimangono, appunto, tali, com’è giusto che sia. I problemi della trama, se vogliamo sono altri: l’assoluta incapacità di costruire un intreccio strutturato, nonostante si abbia a disposizione personaggi principali che per definizione dovrebbero essere machiavellici strateghi. Il piano di fuga di Tony è ridicolo (strategia a lungo termine, zero), e Obadiah è un deficiente come tutti i villain da fumetto, non c’è un colpo di scena a pagarlo con American Express e la risolutezza di Stark nell’indossare l’armatura e andare a raddrizzare torti creati con la sua complicità rischia di trasformarsi in un’avventatezza degna della Torcia Umana (quella dei film, che è peggio). E nonostante questo il film non è male. Ma perché?


Delle interpretazioni principali ho già parlato, ma dilunghiamoci un po’. Innanzitutto, tanto di cappello a Robert Downey Jr., che quasi da solo riesce a salvare il film dal rischio di perdere autocritica e autoironia e scivolare in un polpettone celebrativo. Se vogliamo, questo è uno dei rischi principali anche del fumetto ed è figlio diretto del personaggio (un americano patriota, per di più industriale multimiliardario e industriale di una fabbrica d’armi come se non bastasse, caratterizzato da una passione per le donne e per le macchine costose, e il rischio nel film è ulteriormente appesantito dall’eliminazione volontaria della questione alcolismo, lasciata sullo sfondo per motivi inesplicabili).
Aggiunge qualità, inaspettatamente, anche una Gwyneth Paltrow deliziosa, diversa dalla “donna dell’eroe” cui ci hanno abituato filmacci come l’inguardabile trilogia di Spiderman: il rapporto Pepper – Tony rischia di scivolare, ma rimane sempre in sospeso com’è giusto che sia per non essere banalizzato. La questione della fantomatica fidanzata di Ironman, nel fumetto, non è mai stata gestita a dovere per incompatibilità di fondo con il personaggio (che appare sempre molto dispiaciuto della morte di quest’ultima, oh sì, come no): trovo che nel film abbiano risolto l’inghippo in modo egregio.
Il problema del cast è che questi due sono gli unici salvabili. Il povero Terrence Howard (Rhodes) ormai fa sempre la stessa parte e la fa sempre peggio, a Jeff Bridges (Obadiah) devono aver fatto del male tanto, e in tanti, e a Clark Gregg (l’agente dello S.H.I.E.L.D. Phil Coulson) qualcuno ha dato forti pugni sulla testa, forse per evitare che sembrasse più alto di Tony. La giornalista di Vanity Fair (Leslie Bibb) è un personaggio insulso senza bisogno che ci si metta anche quella comparsetta già inguardabile nell’episodo di Nip/Tuck che aveva la sfortuna di vederla protagonista, mentre gli afghani sono tutti impresentabili, dal primo all’ultimo. Samuel L. Jackson poi, nella sua comparsa con benda sull’occhio nei panni di Nick Fury al termine dei titoli di coda, fa quasi tenerezza. Il «progetto vendicatori»? Ma che razza di battuta è? Degna conclusione sarebbe stata dopo il primo minuto, all’ironico «Io sono Iron Man?»: tanto chi non sa chi sia Nick Fury non ha capito nulla ugualmente. Così come chi non conosce la versione ultimate del colonnello non ha potuto apprezzare la scelta dell’attore.
In ogni caso, cast che – a parte i due di cui sopra – è abbastanza da dimenticare. E nonostante questo il film è godibile. Ma perché?


La regia, affidata a quel Jon Favreau che già ci aveva annoiati a morte in Zathura, non è davvero gran che. Non che sia male, intendiamoci (fatte salve alcune sequenze, di cui parlerò più tardi), ma gran parte della – scarsa – adrenalina regalata dal film è affidata alla – tamarra – colonna sonora. Nessuna particolare trovata, nemmeno in sequenze come quella del combattimento in volo, che avrebbe consentito maggiori evoluzioni, o come quella dell’evasione con lanciafiamme, che avrebbe potuto essere un filino più esplosiva (in senso figurato e letterale, naturalmente).
La mancanza di fantasia, tuttavia, pesa e pesa molto nelle sequenze più difficili, quelle che per essere un minimo decenti dovrebbero maggiormente distaccarsi dal cliché più diffuso. Sto naturalmente parlando delle sequenze di combattimento tra Iron Man e Obadiah nell’Iron Monger. Tony scagliato nell’autobus? Già visto, grazie (una delle ultime volte nel primo Fantastici Quattro, quando Michael Chiklis vi scaraventa il bel faccino ormai metallico di Julian McMahon). Automobili con a bordo simpatiche famiglie nel pieno del tafferuglio? Già visto, grazie, ma almeno l’ultima volta avevano il buon gusto di essere dei cameo e non degli stunt qualunque (sto parlando della famigliola bloccata nell’auto sul ponte nell’ultimo X-men). Auto che continuano la loro corsa con l’eroe sul cofano che gentilmente chiede di rallentare? Già visto, l’ultima volta sempre nei Fantastici Quattro, sempre la Cosa.
Per tacere delle movenze del robottone, una roba (in)degna del grande Mazinga. Tremendo. L’unica parte salvabile, ma anche qui salvata semplicemente dall’ironia, è il colpo sul testone di IronMonger quando precipita per via del ghiaccio. Ma è ben poco.
Intelligente e apprezzatissima invece la citazione da Guerre Stellari quando Shaun Toub insegue i due afghani sparando e urlando come un pazzo per poi svoltare l’angolo e trovarsene una buona ventina ad attenderlo con le armi spianate. Ma è ben poca cosa di fronte al senso di insipido che lascia, in generale. E nonostante questo il film è forse il migliore tratto da un fumetto Marvel fin’ora. Ma perché?


Giuro che non lo so perché. E’ inutile che continuate a leggere sperando che l’incremental repetition ci porti da qualche parte.
Sicuramente posso dire che cosa ho apprezzato io. Ma io sono matta, lo sapete.

Innanzitutto, ho apprezzato le ambientazioni e il look in generale. L’uso della Walt Disney Concert Hall, opera di Gehry, già sarebbe sufficiente a mandarmi in brodo di giuggiole, ma a quanto pare il film ha una vera e propria passione per le forme curve: la villa di Stark, il cui esterno è digitale, è una delizia di forme sinuose quasi quanto l’interno, con le sue bow window e la sua scala vetrata circolare con tanto di cascata d’acqua. Del resto, basta snocciolare un po’ di nomi per rendersi conto dell’origine di tanto buon gusto: il set designer è Ernie Avila, già responsabile di aver arredato all’italiana la villa di Leonardo Di Caprio in The Aviator, nonché l’unico a fare qualcosa di buono in The Chronicles of Riddick (a parte naturalmente chi ha avuto la sempre buona idea di mettere Vin Diesel in canottiera, ma questa è un’altra storia). Al set decoration c’era invece Lauri Gaffin, qualcuno ricorderà il suo lavoro in Mission Impossible II.
E, nel caso qualcuno se lo stesse domandando, sì la lampada nel soggiorno di Stark era una Arco di Castiglioni per Flos ma, soprattutto, i divani erano l’idea platonica del divano, tipo i Box di Lissoni per Living. Avrei visto bene qualcosa di Philippe Starck, ma mi rendo conto che l’avremmo capita in pochi.
Anche la scelta dell’auto, una concept car Audi con motore centrale, mi è sembrata a dir poco azzeccata.
Anche i personaggi, dal manifesto della segretaria Estee Lauder Gwyneth Paltrow all’ottima scelta Robert Downey Jr con pizzetto, hanno il giusto look, così come le armature nelle diverse versioni. E a proposito delle armature, l’altro aspetto che mi sono trovata ad apprezzare è l’uso ironico delle apparecchiature elettroniche, dal sarcastico Jarvis (qui intelligenza elettronica, Just A Rather Very Intelligent System) al bistrattato ma servizievole robottino.

Per chi poi fosse curioso riguardo alla colonna sonora, qualcosa è ascoltabile anche dal pannello che vi embeddo di seguito. E’ di Ramin Djawadi, lo stesso del tema di Prison Break, ed è veramente tamarra. Ma proprio tanto. Non metal. No. E neanche rock. Solo tamarra.

In chiusura, annuncio qui solennemente che, nonostante la presenza di attori del calibro di Tim Roth e Edward Norton, non andrò a vedere il secondo film di Hulk il cui trailer faceva orrida mostra di sé prima del film. Ma proprio no. Non se ne parla neanche. Hulk spacca. Le balle.

7 Comments

  1. Concordo su tutto (a parte l’intero paragrafo dei divani).

    Ci sarebbe un bel discorso da fare sul perché ‘sti americani non li vogliono far invecchiare.

    Io un’idea ce l’avrei, ed è molto semplice: 25 tavole di storia al mese sono troppo poche per poter andare di pari passo con i tempi.

    Ecco perché testate tipo, chessò, Dampyr, riescono bene: perché in un anno di continuity si dipanano 12 storie regolari per un totale di 1128 tavole, speciali esclusi.

    Di serie americane, invece? (a parte i casi eccezionali di Spider-Man) Una miseria di 300 tavole all’anno, poco più che 2-3 archi narrativi, 3 albi bonelli.

    In questi giorni mi stavo leggendo Capitan America in inglese e lì, seppur con un ruolo marginale e fuori dai soliti canoni, Iron Man mi piace molto, così come la storia (sono arrivato a quando decidono finalmente chi farà il nuovo Cap).

  2. un post da purista Shelidon!

    ancora non ho visto il film ma ho voluto leggere prima il tuo post per andare preparato!

    (come quando vado in fumetteria!)

  3. @ ImpBianco: A te era piaciuto Zathura, ma che vuol dire? A te piacciono anche i libri della Troisi! :-p

    @ Quadrilatero: disamina che mi trova più che d’accordo, la tua, ma trovo che comunque sarebbero auspicabili soluzioni “creative” piuttosto delle continue pezze messe da ret-con fatte più o meno bene. A me in ogni caso testa di latta non piace particolarmente.

    @ Damiani: Da purista? Dici che invecchiando sono diventata bacchettona? No, forse son sempre stata bacchettona…

    Fammi sapere se sei d’accordo con il mio giudizio, quando l’avrai visto.

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