Riguardo a SpoonRiver
Dal Manifesto di oggi… ed ora mi riascolterò l’album di De André, aspettando le due gentili donzelle con cui esco a cena questa sera (tanto saranno in ritardo ;-p). Scatti dalla città del silenzio Millenovecentoquattordici. Stati Uniti. Edgar Lee Masters, un avvocato dell’Illinois piuttosto noto, inizia a pubblicare sul Mirror di St. Louis delle poesie. […]
Dal Manifesto di oggi… ed ora mi riascolterò l’album di De André, aspettando le due gentili donzelle con cui esco a cena questa sera (tanto saranno in ritardo ;-p).
Scatti dalla città del silenzio
Millenovecentoquattordici. Stati Uniti. Edgar Lee Masters, un avvocato dell’Illinois piuttosto noto, inizia a pubblicare sul Mirror di St. Louis delle poesie. Sono epitaffi, l’idea gli è venuta leggendo l’Antologia Palatina, anche se sono scritti con una tecnica diversa. Edgar Lee Masters ha trascorso l’infanzia a Petersburg, poi si è trasferito a poche miglia di distanza, a Lewistown, dove scorre il fiume Spoon. Lì, come in molte cittadine statunitensi, il cimitero sta su una collina. E sono proprio i morti di quel cimitero a recitare i propri epitaffi. Storie vere, rielaborate, degli abitanti sia di Petersburg che di Lewistwon. Nel 1915 viene pubblicata una raccolta di quelle prime 213 epigrafi con il titolo di Spoon River Anthology. L’anno successivo l’antologia assume il suo segno definitivo, le poesie diventano 244, con l’aggiunta di La collina. 1938. Una ragazzina di ventuno anni, che conosce perfettamente l’inglese, incontra il suo insegnante Cesare Pavese, appena rientrato dal confino. La studentessa Fernanda Pivano vuole capire la differenza tra letteratura inglese e letteratura americana. Pavese allora le dà quattro libri da leggere: Addio alle armi di Ernest Hemingway, Foglie d’erba di Walt Whitman, L’autobiografia di Sherwood Anderson e L’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Pivano comincia subito a leggere i versi di Masters e rimane stregata dalla poesia dedicata a Francis Turner, il ragazzo dalla vita negata per la scarlattina, che gli ha lasciato il cuore malato, che gli fugge via in un pomeriggio di giugno mentre bacia innamorato Mary, con l’anima sulle labbra. Nanda è folgorata. Senza neppure sapere dell’esistenza dei traduttori professionisti, inizia a rendere le poesie in italiano trascrivendole su un quadernetto. Pavese, senza più diritti civili, le dà lezioni private di letteratura comparata (una disciplina che allora non esisteva sottolinea Nanda) e scopre casualmente il quadernetto. Soddisfatto e sorridente, perché lei ha capito la differenza tra le due letterature, si porta via il quadernetto. Per darlo a Giulio Einaudi che più tardi lo pubblicherà (in versione ridotta, fatto che non impedisce successivamente alle autorità fasciste di sequestrarlo). 1981. Fabrizio DeAndré, grande amico di Nanda Pivano, pubblica Non al denaro né all’amore né al cielo, sua personale rilettura musicale dell’Antologia di Spoon River. 2005. William Willinghton, giovane fotografo non ancora trentenne, ma già abbastanza affermato, ha avuto un’idea balzana. Se n’è andato in un paesino a cinquanta miglia a Nord di Springfield, Illinois, dove scorre il fiume Spoon. Era andato lì un po’ in fuga, un po’ per leggere Edgar Lee Masters nei luoghi stessi che avevano fatto da cornice ai personaggi delle sue poesie. Poi, dopo una settimana trascorsa in quel luogo, sente che è giunto il momento. Attraversa il cancello del cimitero, cammina lungo La collina. Legge l’antologia, ma viene interrotto dal custode del cimitero. William detesta essere interrotto quando legge, ma ormai è fatta. Qualche chiacchiera poi domanda all’uomo quale sia la cosa che più gli piace dell’antologia. La risposta è fulminante: il silenzio. E la folgorazione porta alla proposta di far conoscere al giovane i posti più belli di Spoon River, quelli dove il custode andava con la sua Mary personale. Nasce così Spoonriver, ciao, la mostra fotografica e il libro (le foto sono in mostra sino al 31 maggio nelle librerie Feltrinelli a Milano, piazza Piemonte, Roma, galleria Colonna, Firenze, via Cavour, Bologna, piazza Galvani, Napoli, piazza dei Martiri, Genova, via XX settembre, Bari, via Melo, mentre il libro è edito da Dreams Creek). Ma per completare il tutto bisogna arrivare al regalo di natale che William mostra a Nanda. Sono proprio queste foto, lui racconta «la poesia della sua scoperta» e Nanda non resiste. Riaffiora la trepidazione per quelle storie e decide di «scrivere vicino a ogni immagine poche parole». Parole in grado di rievocare di nuovo le emozioni di una realtà sognata da giovane, un sogno che riaffiora attraverso queste fotografie. E la prima foto parte proprio da un modesto cartello di legno accanto alla strada che recita «Welcome to Lewistown, Spoon River Country» e più sotto la sagoma di una carrozza che annuncia «Free Museums in Lewistown». Un’insegna dimessa, molto poco ufficiale, capace di attirare solo sognatori. E la prima delle didascalie di Nanda che si apre, come tutte, con «Ah, questo Spoon River», poi prosegue «Stregata anch’io a vedere questo nome magico come insegna stradale abbastanza da sognare che molti lo seguano per vivere con i protagonisti la loro avventura, la vita, la morte, il mistero di gesti inspiegabili, la melanconia di speranze non realizzate, la commozione per questi futuri. Ah, questo Spoon River, raccolta di sogni non realizzati, raccolta di fragili anime capaci di fare da esempio a anime più durature». Solo dopo molte immagini del paese e del paesaggio, tutte rigorosamente in bianco e nero, si arriverà a quelle del cimitero, perché il senso è proprio quello di respirare il clima, seppure diverso, in cui sono nate quelle vite e quelle storie che attraverso Masters da quasi un secolo colpiscono i nostri cuori per quanto induriti. Quasi un secolo, è affiorato di nuovo il tempo, così come abbiamo fatto nel tentativo di dare una cronologia degli incroci che hanno portato a questa nuova proposta per rileggere l’Antologia di Spoon River attraverso la capacità evocativa delle fotografie. E ovviamente non è casuale. Viene ancora in soccorso Pivano che nella sua introduzione all’Antologia ricordava come quel volume «prima che un documento (fosse) un grande libro di poesia. La legge di questa poesia consiste in un atteggiamento espressivo (…) che è la scoperta della memoria. La realtà è vista sotto l’aspetto del ricordo: gli epitaffi non ci descrivono quello che il villaggio è stato, ma quanto del villaggio hanno fantasticato i suoi morti. (…) La scoperta non sta nel riandare i fatti, ma nel riandarli considerandoli invece che in sé, nel loro rapporto col tempo. Ora in Spoon River tutti i personaggi parlano di un passato che importa loro non nella sua esplicazione materiale, ma proprio perché è passato: protagonista dell’opera è il tempo». E allora può succedere che una ragazza senza età come Nanda provi trepidazione per la lettura di un giovane fotografo in relazione alle emozioni. Emozioni forti, belle, intense che arrivano dalla capacità di un avvocato di provincia nel trasformare le storie dei suoi concittadini in poesia. In apertura del volume è riprodotta una citazione di Masters «C’è qualcosa nella Morte che ricorda l’Amore». E suoi epitaffi, il suo cimitero, parlano d’amore, di vita, di indignazione per l’ipocrisia, di compassione, di comprensione. Forse per questo ancora oggi moltissimi giovani leggono e rileggono l’Antologia di Spoon River. E forse per questo un giovane fotografo ha preso la strada per Lewistown in cerca di qualcosa, di un senso, con quella molla che lo voleva portare alla tomba di George Gray, quello che nel suo epitaffio dice «Dare un senso alla vita può condurre alla follia / ma una vita senza senso è la tortura / dell’inquietudine e del vano desiderio / è una barca che anela al mare eppure lo teme».