…and flowers sprang from the cold earth

«…and the song of Lúthien released the behind the walls of the world; and the song of Lúthien released the bonds of winter, and the frozen waters spoke, and flowers sprang from the cold earth where her feet had passed.» (J.R.R. Tolkien, The Silmarillion) Articolo dal Manifesto di oggi: Orfeo rinasce su un fragile rotolo […]

Gustave Moreau, "Baccante con la testa di Orfeo"«…and the song of Lúthien released the behind the walls of the world; and the song of Lúthien released the bonds of winter, and the frozen waters spoke, and flowers sprang from the cold earth where her feet had passed.»
(J.R.R. Tolkien, The Silmarillion)


Articolo dal Manifesto di oggi:

Orfeo rinasce su un fragile rotolo – Franco Montanari
Sarà forse banale, ma la storia del papiro di Derveni potrebbe fornire lo spunto per uno di quei romanzi di contenuto storico-archeologico che ogni tanto conoscono una vampata di moda: al centro della vicenda, un testo poetico-religioso dell’antica Grecia la cui scoperta, del tutto casuale, è stata seguita da un intreccio di gelosie accademiche, rivalità internazionali e colpi bassi, trascrizioni pirata e una pubblicazione differita per decenni e attesa con ansia crescente. La storia però non solo è vera, ma ha una notevole rilevanza scientifica, e per fortuna ha conosciuto proprio nei giorni scorsi il lieto fine tanto atteso. Il 15 gennaio 1962, due chilometri e mezzo circa a sud della località di Derveni (un passo di montagna sulla strada che da Salonicco conduce verso la Macedonia orientale e la Tracia), nel corso di alcuni lavori una macchina scavatrice portò alla luce una tomba ancora intatta. L’eforo – cioè il soprintendente – alle antichità di Salonicco, Charalambros Makaronas, fece eseguire scavi nell’area sotto la supervisione dell’archeologo Petros Themelis (che nel 1997, insieme a I.P. Touratsoglou, avrebbe portato a termine la pubblicazione completa dell’intero sito archeologico) e furono così scoperte altre sei tombe, solo due delle quali violate di recente, le altre piene di tesori. Venne alla luce una grande quantità di reperti, sepolti come offerte funerarie: vasi (tra cui un cratere stupendamente decorato), gioielli e oggetti di vario genere, tutti ora esposti nel Museo Archeologico di Salonicco. Nella tomba dell’iniziato. Il centro abitato della zona, a nord del passo, era l’antica Lete. Un santuario di Demetra e Kore ha restituito sculture databili a partire dalla metà del IV secolo a.C. e allo stesso periodo appartiene un’iscrizione riguardante attività di cittadini della città presso altre comunità: testimonianze di un considerevole sviluppo sul piano urbano, economico e politico. La necropoli della città si trovava a nord del passo e ha restituito tombe databili dal VI al IV secolo a.C., il che vuol dire che l’area era abitata fino dall’età arcaica. Le «tombe di Derveni» invece erano collocate fuori da questo cimitero, a una distanza dal passo di oltre due chilometri: chi erano le persone sepolte così lontano e qual era il motivo di questa collocazione? Importanti cittadini di Lete, nobili e ricchi? Personaggi di alto rango militare, come indicherebbero le armi e i resti di cavalli bruciati sulle pire? Alcune iscrizioni lascerebbero supporre che si tratti di notabili di Lete di origine tessala, presenti nella zona a causa delle – peraltro mutevoli – relazioni del re Filippo II di Macedonia (il padre di Alessandro Magno) con le famiglie dinastiche della Tessaglia intorno alla metà del IV secolo. Sta di fatto comunque che le tombe sono databili fra la seconda metà del IV e gli inizi del III secolo a.C e che in quella che è stata individuata come tomba A, venne trovato, fra i resti bruciati di un rito funerario, un rotolo carbonizzato diventato poi celebre in tutto il mondo come il papiro di Derveni. In base alla ricostruzione più probabile, il morto venne cremato su una pira presso la tomba, poi i resti suoi e di altre cose combuste furono posti in un cratere di bronzo, cui si diede sepoltura. Il fatto che anche il rotolo di papiro venne bruciato ha probabilmente una relazione con il suo testo di contenuto religioso, legato alle credenze orfiche, mentre la vicinanza al santuario di Demetra e Kore indica che il defunto era probabilmente un iniziato, seguace dei connessi riti misterici. In ogni caso, non sfuggì ai primi scopritori l’eccezionalità del ritrovamento del rotolo di papiro. Come è noto, il materiale scrittorio fatto di papiro non si è conservato in Grecia per ragioni climatiche, a differenza di quanto è accaduto in Egitto o anche a Ercolano dove i papiri carbonizzati furono preservati sotto il materiale eruttivo del Vesuvio. Quello di Derveni era dunque il primo papiro ritrovato sul suolo della Grecia, e la datazione alla fine del IV secolo ne faceva inoltre probabilmente il più antico libro scritto in greco, coevo al massimo di un altro paio di provenienza egiziana, anche se il confronto delle scritture può essere problematico data la diversità geografica. (Esiste per la verità anche un piccolo frustulo trovato nel 1982 in una tomba di Atene e datato al V secolo: ma per quanto riguarda il testo, nulla di paragonabile né per quantità né per valore). Il rotolo era ovviamente di una estrema fragilità: bastava sfiorarlo per ridurlo in polvere. Trasferito al museo archeologico di Salonicco, si ruppe in pezzi e rivelò che l’interno era scritto: Makaronas chiese allora al filologo Stylianos G. Kapsomenos di occuparsene, conferendogli i diritti della pubblicazione del testo. Fu subito chiamato Anton Fackelmann, celebre conservatore dei manoscritti della Biblioteca Nazionale di Vienna, che aveva sperimentato un metodo di restauro di papiri carbonizzati, basato sull’applicazione di succo fresco di papiro e gomma arabica e sulla separazione dei diversi strati grazie a un effetto termico ed elettrostatico. Compiuto il lavoro nel luglio 1962, oltre 260 frammenti furono distesi, posti fra due strati di vetro e resi leggibili. Da allora, i vetri non furono più aperti: ulteriori restauri non sono infatti possibili, neppure per distendere piccole ripiegature, pena un danno assai superiore al vantaggio. Le fotografie prese allora restano dunque la documentazione migliore del testo, dato che allo stato attuale, anche le più avanzate tecnologie di lettura di manoscritti non possono portare più avanti. Fu dunque Kapsomenos ad annunciare per primo il ritrovamento nel 1963 e a pubblicare l’anno dopo una descrizione generale con la trascrizione di alcuni brani del testo. Il mondo scientifico fu messo a rumore e la pressione morale e psicologica sui responsabili fu pesante e crescente. Tutti volevano conoscere il testo e vedere le fotografie: il papiro di Derveni divenne una ossessione, l’oggetto di una insostenibile curiosità per papirologi, studiosi di storia della letteratura greca antica, della storia della filosofia e delle religioni, della lingua, del libro e della scrittura. Più la pubblicazione ritardava, più le richieste aumentavano e sottolineavano il valore del ritrovamento, ma una sorta di paralisi psicologica si impadroniva dei responsabili. Il papiro di Derveni restava inedito e diventava per i più una chimera: a disposizione, infatti, c’erano solo le anticipazioni di Kapsomenos e la piccola foto di una sola colonna, e con il tempo la situazione editoriale si complicò ancora con modalità tipiche del mondo accademico e della ricerca. La rottura di un tabù. Alla morte di Kapsomenos, il diritto e la responsabilità dell’edizione passarono a Kyriakos Tsantsanoglou e Georgios M. Parássoglou, docenti dell’università di Salonicco. Ma nel 1982 una edizione pirata comparve in fondo a un fascicolo di una rivista tedesca, in pagine non numerate nel corpo della rivista, senza firma né assunzione di responsabilità e senza dichiarazione di origine. Il testo, incontrollabile per assenza di riproduzioni e di possibilità di autopsia, non autorizzato da chi ne aveva i diritti, fu dichiarato pubblicamente incompleto, provvisorio e in parte errato: probabilmente era stato sottratto con astuzia da qualcuno che aveva avuto in mano una trascrizione di lavoro. Un tabù però si era rotto e ne seguì una lunga storia di riprese del testo dervenico, inclusione di sue parti in raccolte particolari (quali ad esempio edizioni dei frammenti di poesia orfica), traduzioni (in inglese e in francese), progressi in singoli punti compiuti grazie a informazioni elargite con generosità dai responsabili greci, sottoposti sempre più a una sorta di accerchiamento. Gli studi si susseguivano, del papiro di Derveni si conosceva molto e molto più si ipotizzava, ma per gli studiosi era impossibile verificare la correttezza delle loro ipotesi testuali ed esegetiche. Mancava quello che tutti aspettavano da quasi mezzo secolo: l’edizione ufficiale e autorizzata, completa e condotta di prima mano, corredata di una valida riproduzione di tutti i frammenti, che fissasse lo stato reale del testo in ogni suo punto e mettesse chiunque in condizione di controllare l’attendibilità delle proprie ipotesi di integrazione e costituzione del testo, vale a dire della base irrinunciabile per l’interpretazione. E finalmente in questi giorni, grazie all’aiuto decisivo di Theokritos Kouremenos, un giovane e attivo studioso dell’università di Salonicco, l’attesa edizione affidata a Kyriakos Tsantsanoglou e George M. Parássoglou è uscita a distanza di oltre quarant’anni dalla scoperta. Fra poesia e dottrina. Ma cosa contiene questo straordinario reperto, cosa c’è scritto nel papiro di Derveni? Il rotolo doveva essere lungo in tutto oltre tre metri e alto forse 16-17 centimetri: ne sopravvivono circa due metri e mezzo, in tutto ventisei colonne frammentarie in condizioni assai diverse di conservazione: di alcune infatti non rimangono che poche lettere. Forse i numerosi piccoli frustuli non collocati potranno permettere in seguito di ricostruire altre parti (nel libro sono tutti accuratamente riprodotti e gli esperti avranno da esercitare la loro acribìa). Appare acquisito che il testo sia stato scritto tra la fine del V e gli inizi del IV secolo, più o meno intorno al 400 a.C.: dunque, quando fu copiato nel rotolo di Derveni (scritto alla fine del IV secolo) era già vecchio forse poco meno di un secolo. L’autore cita brani di poesia orfica (qualcuno dei versi era già noto da altre fonti) e svolge su di essi un commento dottrinale: il tema dei versi e della trattazione riguarda la cosmogonia, negli aspetti peculiari che essa assumeva per le credenze orfiche (il nome di Orfeo è conservato alla colonna 18). Al centro del discorso è Zeus, ma sono menzionate anche diverse altre figure divine, alle quali si applica una interpretazione allegorica. La genealogia cosmogonica mostra la peculiarità di provenire dalla coppia Etere-Notte, che gioca un ruolo particolarmente importante, ma ogni singolo elemento deve essere considerato alla luce del confronto con le altre fonti su un insieme di dottrine e interpretazioni altamente problematiche. Un libro della religione, dunque, che contiene sia il testo di riferimento del fondatore Orfeo che la trattazione esegetica. Nelle fonti antiche, del resto, si fa spesso riferimento ai «libri» orfici, a sottolineare l’importanza che l’orfismo attribuiva al libro scritto, alla parola autorevole dell’interprete sacerdote iniziato, accanto alla ritualità delle purificazioni e delle cerimonie cultuali. L’uomo sepolto a Derveni, così, portò con sé nell’oltretomba, bruciato con lui, il rotolo prezioso che l’avrebbe seguito in quella vicenda post mortem alla quale aveva attribuito tanta importanza durante la sua «vita orfica».

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.