Witchblade – considerazioni generali

Con l’uscita del secondo 100% Panini Comics dedicato a Witchblade, mi sono recuperata anche il primo e mi sono rimessa in pari anche con questo prodotto Top Cow. I riferimenti editoriali e qualche commento più puntuale arriveranno questa sera: per ora qualche impressione a memoria e qualche ragguaglio ai meno informati. Witchblade nasce come serie […]

Con l’uscita del secondo 100% Panini Comics dedicato a Witchblade, mi sono recuperata anche il primo e mi sono rimessa in pari anche con questo prodotto Top Cow. I riferimenti editoriali e qualche commento più puntuale arriveranno questa sera: per ora qualche impressione a memoria e qualche ragguaglio ai meno informati.

Witchblade nasce come serie inserita nello stesso universo di altre della Top Cow, e ne condivide il pantheon. La più nota delle figure che possiede una propria testata ma vi fa la sua apparizione è Darkness, già protagonista in Italia di un 100% remotamente edito da Panini: la witchblade infatti è una di tredici armi dello stesso tipo generate dalle forze di Darkness e dell’Angelus, in eterna contrapposizione tra loro, e ha una spiccata predilizione femminile nella simbiosi. In tempi moderni, quelli in cui si apre il primo volume, l’artifatto è in possesso di Sara Pezzini, formosa ed energica agente di polizia newyorkese che si trova nella non particolarmente originale posizione di dover conciliare la propria professione con questo nuovo potere e con le responsabilità che esso comporta. Apprezzabile, nella serie, è il tentativo di intrecciare la vicenda principale con il corso della Storia, aprendo flash-back attraverso le ere per mostrare la witchblade in possesso di personaggi femminili di spicco come Elizabeth Brontë e Marie Curie… e tuttavia è misurandosi con uno spunto del genere che il fumetto fa il primo consistente capitombolo. Ritrovarsi Maria Maddalena insieme a Sara Pezzini, Danielle Baptiste insieme a Giovanna D’Arco e Cleopatra insieme a Lara Croft, rischia di ottenere un effetto a dir poco macchiettistico, invece di ricreare l’atmosfera epico-mitologica che era tra gli obiettivi. Più sottile ma non meno importante è che se la witchblade moderna è un oggetto indossato all’insegna della segretezza, non si spiega come le precedenti custodi siano entrate tanto prepotentemente a far parte della storia. Avrebbe giovato all’atmosfera e al racconto una maggiore ricerca storica, magari, per introdurre personaggi di minor risonanza ma di maggior fascino e mistero. Ma mi rendo conto che avrebbe necessitato il doppio del lavoro con il rischio di una non comprensione da parte dei lettori. Ahimé.
Anche l’empatia prettamente femminile è gestita piuttosto male, o meglio non è gestita affatto. Per essere un artifatto che si lega preferibilmente alle donne, la witchblade non ha nulla di peculiare né nel background né nel “comportamento”. Mi è stato inevitabile, da questo punto di vista, fare un confronto con un controverso film che inizia ad avere i suoi annetti e che agli appassionati non piacque affatto, ma che avevo trovato decisamente interessante. Sto parlando, e reggetevi forte perché la sparerò grossa, di Catwoman di Pitof. Nella sceneggiatura di quello che rimane tra i migliori film tratti da un fumetto proprio per il coraggio di sviluppare una tematica autonoma discostandosi dall’ispirazione, la questione femminile era delineata piuttosto bene, con delicatezza e senza scadere nel pacchiano: si parlava di vincoli sociali e libertà, di spinta creativa e distruttiva, di sensibilità ed estetica. Sara Pezzini è, piuttosto, una bella donna con grandi tette che vuole essere un buon poliziotto e si arrabbia di fronte alle ingiustizie proprio come farebbe un uomo, e che rinuncia alla Witchblade quando rimane incinta. Proprio come farebbe un uomo. Se questo sia dovuto ad una scarsa sensibilità ed attenzione dell’autore o per snellire la narrazione e venire incontro al pubblico (di nuovo), proprio non saprei dire, ma le pochezze iniziano già ad essere due e continuare ad addossarle alla natura dei lettori inizia ad essere un po’ forzato.
Di certo il fumetto non manca dei suoi bravi punti di forza. Primi fra tutti i disegni, derivanti da una lunga tradizione di artisti noti per la loro attenzione nel disegnare le tette di cui sopra come Michael Turner, Marc Silvestri e, soprattutto, Mike Choi, che molti ricorderanno per Target-X (anch’esso 100% in Italia e dedicato al passato di X-23) e che delle tette ha fatto un vero e proprio manifesto artistico. Intendiamoci, non che l’argomento mi dispiaccia a prescindere. Solo, mi fa specie che alle volte la sceneggiatura e lo storytelling si svolgano interamente in funzione di un’inquadratura più o meno d’effetto sulle ghiandole mammarie della protagonista.

Continua questa sera…

3 Comments

  1. ok, anzitutto un grazie per le belle parole, carissima shel, che fanno un gran bene all’ego. addirittura prode!:-)

    su witchblade: in effetti la prima versione con scrittura di christina z. era un po’ diversa a mon avis. il contesto “grosse tette/grosse macchine/effettoni speciali”- perchè non dimentichiamo come nascono all’inizio image e top cow e altri- era qui sfruttato già con qualche intento critico, con maggiore spessore psicologico (ricordo alcuni episodi introdotti dai monologhi di pensieri di sara, il che poi ne faceva meno un epigone in gonnella del soldato stallone, cobra o rambo è uguale) e con sensibilità femminile, oserei perfino dire.

    saluti da un riconoscente

    il elettrico

  2. @ il [spazio] elettrico: anche il secondo e il terzo volume 100% usciti in Italia recuperano un po’ di derive… non è che il fumetto sia male in toto, soprattutto all’interno del contesto “grosse tette / grosse macchine” della TopCow, però ogni tanto si perde. Sto preparando qualcosina di più approfondito su Fuga e Morte e rinascita, il secondo e il terzo 100% dopo Caccia alla strega (che non ho), in cui spero di spiegarmi meglio.

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