Teheran, Londra e dintorni

Raramente indugio nella politica su questo spazio, ma ogni tanto ne vale la pena… grazie all’amico Giuliano per avermi girato questo articolo: Incredibile: i musulmani parlano! – Maurizio Blondet 05/04/2007 Ora che i 15 marines britannici sono tornati a casa, salutati all’aeroporto dall’«orribile Ahmadinejad», si può chiudere il bilancio della vicenda. E il bilancio è: […]

Raramente indugio nella politica su questo spazio, ma ogni tanto ne vale la pena… grazie all’amico Giuliano per avermi girato questo articolo:

Incredibile: i musulmani parlano!
– Maurizio Blondet
05/04/2007

Ora che i 15 marines britannici sono tornati a casa, salutati all’aeroporto dall’«orribile Ahmadinejad», si può chiudere il bilancio della vicenda.
E il bilancio è: un incredibile successo per Teheran, e una sconfitta durissima per la propaganda israeliana.
Il primo punto serve a spiegare il secondo.
Il regime iraniano ha gestito benissimo le immagini, che oggi sono parte integrante del conflitto.
I media occidentali hanno gridato invano all’«orrore», invano hanno cercato di farci temere per i poveri prigionieri torturati e costretti a scusarsi «under duress».
Abbiamo visto quei giovanissimi biondastri mangiare cibi apparentemente appetitosi.
Soprattutto, erano ben lavati e pettinati, evidentemente avevano fatto una doccia dopo la cattura.
Hanno pronunciato le loro scuse al popolo iraniano seduti in poltrone, davanti a un tavolino su cui campeggiava un vassoio con frutta fresca: un particolare che faceva pensare fossero «detenuti» in un albergo.
La ragazza, con un foulard, era stata rifornita di sigarette.
Altre immagini ce li hanno mostrati in tuta da ginnastica, mentre ridevano e scherzavano tra loro seduti su un tappeto.
Il colpo magistrale è stato l’ultimo: i quindici, all’aeroporto, erano tutti vestiti con abiti civili, evidentemente riforniti dai loro guardiani.
Abiti decenti, probabilmente fatti su misura da un sarto iraniano.
Tutte le immagini contrastavano troppo puntualmente con quelle dei prigionieri di Bush, per consentire alla propaganda occidentale di eccitare lo sdegno di massa.
Tutti noi abbiamo in mente Saddam catturato: sporco, esaminato come un cavallo, non era certo passato sotto la doccia.
O i detenuti di Abu Ghraib, sporchi delle loro feci, denudati e in pose oscene sui nudi pavimenti carcerari, incappucciati, collegati a fili elettrici.
Le immagini testimoniano che la civiltà sta dall’altra parte.
O almeno, che l’Iran non ignora la civiltà.
Se ciò si deve ad una magistrale gestione delle immagini, o alla ben nota ospitalità orientale, poco importa.
Probabilmente l’uno e l’altro.
In ogni caso, è risaltata l’articolata sottigliezza del regime iraniano.

Si è visto che il regime sa distinguere fra i soldatini ventenni e i loro mandanti.
Persino Ahmadinejad s’è rivelato capace di improbabili battute scherzose.
Rivolto alla soldatessa ha detto: «Ma perché affidate il controllo dei mari alla madre di una bambina?».
E ha annunciato la liberazione dei marines come «un regalo al popolo britannico».
Impagabile.
Molto orientale, ma qui c’è qualcosa di più.
La frase ha ridicolizzato in anticipo l’assicurazione di Toni Blair che «non abbiamo trattato».
La domanda che è sorta subito nelle coscienze è: perché non trattare?
Quella è gente ragionevole.
Io credo che questo fosse l’effetto voluto.
Ed è stato pienamente raggiunto.
Il regime di Teheran s’è presentato al mondo come una entità articolata, capace di parlare, ospitale benchè al centro di attacchi molto tesi, persino clemente e generosa.
Perché non va dimenticato che Bush detiene cinque diplomatici iraniani catturati nel loro consolato in Iraq, in totale violazione delle norme internazionali e della semplice umanità; e un generale dei pasdaran, rapito in Turchia a dispetto della sua immunità diplomatica, dagli israeliani.
L’Iran ha liberato 15 soldati che, sia vero o no, avevano violato il suo territorio; Bush continua a detenere diplomatici senza nessun pretesto, violando patentemente le norme della civiltà.
Il regime di Bush, sulla scena del mondo, si dimostra quello più brutale e inarticolato, neanderthaliano.
Bastava vedere l’evidente sollievo di Blair: la cosa poteva durare mesi, costringere il Regno Unito ad una doccia scozzese di minacce e ritorsioni, spingerlo ad atti che il governo britannico sa di non potersi permettere: impantanato nelle guerre di Bush, non può, e il suo consiglio dei ministri deve averlo escluso fin dai primi giorni, imbarcarsi in un’aggressione all’Iran.

Era questo che voleva il regime iraniano: parlate con noi.
E da qui il fallimento della propaganda d’Israele.
Perché dall’11 settembre in poi, tutta la «psy-war» ebraica è consistita nel dare all’Occidente una sola sensazione: gli islamici sono tutti belve.
Bestie feroci senza parola, che capiscono solo la violenza.
I palestinesi sono belve; è inutile ascoltare Hamas, non sanno parlare, ululano.
Hezbollah è un organismo composti di belve fanatiche.
Il regime iraniano è la belva assoluta, il nuovo Reich: vuole la bomba atomica per distruggere Israele, anzi no, vuole lanciarla su Parigi e Washington, ed è prontissimo a pagarla a prezzo della propria distruzione, perché è totalmente irrazionale e folle.
Dunque bisogna distruggerlo preventivamente.
E l’Europa non osi trattare con queste belve.
Nessuno tratti, tutti si preparino a sparare.
Lo ha scritto lo stupidissimo Panella, facendo da ventriloquo alla propaganda giudaica, senza comprendere che proprio la crisi dei 15 marines smentiva la menzogna sionista: «La dottrina di politica estera di Israele ormai ha lasciato alle spalle la formula ‘terra contro pace’ nella convinzione che con l’Islam fondamentalista non abbia senso sviluppare strategie geopolitiche, perché la sua logica jihadista può accettare tregue, ma non può cedere sul punto strategico dirimente: la distruzione di Israele. Israele vede nell’asse Ahmadinejad-Hamas- Hezbollah una massa critica rivoluzionaria con cui si può dunque, temporeggiare, ma con cui è impossibile qualsiasi accordo definitivo».
Ora è chiaro che Israele rifiuta la formula «terra contro pace» non perché la controparte è stupida, ottusa e intrattabile, ma solo perché non vuol cedere un pollice di terra.
E’ la politica mondiale di Sharon, la politica che consiste nello spingerci all”odio e alla paura cieca contro «ogni» musulmano, che è crollata rumorosamente.

L’effetto si è visto subito.
Nancy Pelosi, che pure si profonde in servilismi verso la potente lobby ebraica (ne va della carriera politica), è andata a Damasco a parlare con Assad.
E la CNN ha dovuto mostrare al pubblico americano che Assad, quel giovane in abiti occidentali, è capace di «parlare»: anzi ha parlato animatamente con la Pelosi, nell’ottimo inglese-british appreso nei suoi studi di odontoiatria a Londra.
Perché la pronuncia british ha questo effetto sull’America profonda: viene «sentita» come la lingua dei signori veri, dei colti.
E’ un po’ come se Prodi andasse a incontrare un signore della guerra nel fondo del Darfur, e il TG mostrasse il capo-guerriero, con i nastri di mitragliatrici sul petto, mentre discorre non solo in italiano perfetto, ma nel fiorentino di Dante.
L’effetto sarebbe la dissociazione cognitiva, uno shock culturale.
Cosa ha detto Assad alla Pelosi nel suo ben articolato inglese non è un segreto: da sempre cerchiamo di parlare con voi, ma lei è la prima americana che accetta di venirci a incontrare.
Il sottotesto: non siamo dei folli votati alla nichilistica distruzione del mondo.
Siamo un regime che ha degli interessi comprensibili, su cui cerchiamo un accordo.
Vogliamo trattare, siamo aperti.
Assaggi uno dei nostri fichi secchi…
L’ospitalità orientale, sottile ma vera, dev’essere stato uno shock per la Pelosi.
La cortesia siriana è anche più evoluta, laica e moderna della media orientale.
Qualunque turista che sia stato a vedere gli splendori antichi di Damasco la conosce e ne è stato conquistato.
Hanno portato la Pelosi, sapendola cattolica, a visitare il santuario islamico dov’è conservata la testa del Battista: e la CNN ha mostrato la Pelosi con il foulard sulla permanente: non l’orrendo foulard islamico «simbolo della soggezione femminile», ma il fazzolettone con cui una cattolica qualunque, non molto tempo fa, entrava in una qualunque chiesa.
Bush ha subito accusato la Pelosi di «sabotare», parlando con Damasco, la «guerra al terrorismo».
Ridicolo: la Pelosi ha avuto buon gioco a replicare che, se è andata a Damasco, è perché Olmert le aveva affidato un messaggio per Assad…
Bush è rimasto l’ultimo sharoniano superstite.

Olmert sa di non essere Sharon, sa che i vestiti dell’obeso generale del terrore gli stanno troppo larghi.
E’ troppo debole e minacciato all’interno, per la corruzione e per come ha condotto la guerra a Hezbollah, per potersi permettere quel che avrebbe certo fatto Sharon nelle stesse condizioni: un bombardamento di Damasco, una guerra facilmente vinta con qualcuno dei «nemici», magari un massacro ulteriore di palestinesi.
La politica di Sharon è stata sempre questa: rovesciare i tavoli con un colpo di testa, impedire i negoziati con qualche azione che mettesse Israele «in pericolo per la sua stessa esistenza», imporre «fatti compiuti» e provocazioni sanguinose per dimostrare che solo le armi, non le parole, sono la soluzione di ogni problema diplomatico coi musulmani.
Ma Olmert non è mai stato un generale.
Gli manca la cinica audacia, il calcolo dell’azzardo violento che erano le (uniche) qualità del boia sionista dei palestinesi.
Gli manca la fiducia fanatica del suo popolo spaventato e odiatore, che Sharon sapeva così bene incitare a suo vantaggio.
Olmert non è capace di determinare gli eventi; deve assecondarli.
Il mondo ha visto che i regimi musulmani sono capaci di parlare.
Che desiderano parlare.
Che sono realisti, ragionevoli e capaci di cavalleresca cortesia verso il nemico.
Che possono dunque tener fede agli impegni negoziati.
Questo, per Israele, è anche peggio della guerra perduta contro Hezbollah: è il più grande scacco strategico che abbia mai subìto.
Solo un nuovo 11 settembre può recuperare questo scacco: dunque attenzione a quel che farà la lobby in USA, vera scheggia impazzita che per zelo fanatico crea ad Israele più problemi che benefici; attenzione ad «Al Qaeda al – Mossad».

Maurizio Blondet

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2 Comments

  1. leggo oggi questo post sono d’ accordo in molte cose però attenzione ai termini parlare di politica giudaica può essere ecquivico meglio dire politica isralianae comunque anche i governi arabi non sono meglio.

  2. Il termine è usato di proposito da chi non riconosce lo stato di Israele. Sulla necessità di stare attenti a non “beatificare” lo schieramento opposto per le colpe dello schieramento in esame sono invece d’accordo.

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