Wolverine #206

Nato nel sangue – conclusione (Born in Blood – conclusion, da Wolverine Origins #5 dell’ottobre 2006). L’ambaradam imbastito da Daniel Way con la complicità di Steve Dillon (disegni) e Dan Kemp (colori) era iniziato male e finisce anche peggio. Dopo essere stato raggiunto da Emma, Ciclope e Satiro (mancava solo il teletubbie viola con la […]

Nato nel sangue – conclusione (Born in Blood – conclusion, da Wolverine Origins #5 dell’ottobre 2006). L’ambaradam imbastito da Daniel Way con la complicità di Steve Dillon (disegni) e Dan Kemp (colori) era iniziato male e finisce anche peggio. Dopo essere stato raggiunto da Emma, Ciclope e Satiro (mancava solo il teletubbie viola con la borsetta), Wolverine continua ad azzuffarsi con Capitan America sullo sfondo di un Nuke ormai completamente devastato anche nel corpo. Dopo quattro pagine di inutili sberloni, Emma interviene a fermare tutti ed entra nella mente di Wolverine comunicandogli… la $&%@nzata dell’anno, ovvero che ha avuto un figlio da Mariko, sopravvissuto grazie al fattore rigenerante, trasformato in arma esattamente come lui e bestia infame esattamente come lui. Segue flash-back in toni di grigio che, oltre a risparmiarci i terrificanti colori delle tavole normali, si rivela l’unico passaggio decente dell’intera storia: Wolverine ricorda il suo passato con Volpe d’Argento, la scoperta di lei morta e la sconfitta nello scontro con Sabretooth, il risveglio in una buca, la vendetta sull’innocente villaggio in cui vivevano. Nelle intenzioni narrative, il passaggio dovrebbe essere di grande introspezione psicologica; Sabretooth, parlandogli dall’alto della buca gli dice (grassetti originali): “Sai la gente che vive in quello schifo di città? Quelli che ritenevi tuoi amici? Non lo sono mica. Hanno fifa di te… non ti vogliono qui intorno. E si sono liberati della cosa che ti teneva qui“. E Wolverine, voce narrante, ribatte: “Continuava a parlare dandomi i dettagli. Sapevo che era una bugia… ma una buona parte di me se ne infischiava. Se gli credevo, potevo liberare questa cosa che avevo dentro e che mi dilaniava, cercando disperatamente di uscire fuori. E sarebbe stato giusto… perché lo meritavano. Per ciò che avevano fatto alla mia donna. Quando mi tirai fuori a forza di artigli dalla buca, Sabretooth non c’era più. Ma mi aveva lasciato un regalo”. Una bella accetta con cui trucidare il villaggio. Penso di non dover commentare l’indecente livello del tutto. Mi limito ad aggiungere che, oltre ad essere atroce, è anche sbagliato: Volpe d’Argento non è stata uccisa da Sabretooth, bensì solo ferita, dato che è ricomparsa alcuni numeri dopo il Wolverine #10 cui risale questo episodio. Lo so persino io che sicuramente non sono una grande esperta della continuity. Ma questi autori hanno mai letto i fumetti su cui scrivono?
In chiusura, la storia si riprende un pochino: Wolverine consegna a Ciclope la katana, incaricandolo di fermarlo quando non sarà più in grado di fermarsi da solo o se cadrà di nuovo nelle mani di coloro che l’hanno trasformato in un’arma. Uno schema classico, che funziona sempre. Buono lo scambio di battute finali: Emma lo avverte che “c’è un’altra cosa che dovresti sapere di tuo figlio, Logan. Ti odia più di ogni altra persona”. E Wolverine risponde: “Siamo in due, allora”.
Per concludere, una nota. L’autentica fissazione degli autori per porre Wolverine ed Emma nelle pose più compromettenti (vedi copertina variant dell’edizione inglese ma anche la copertina del prossimo numero di X-men Deluxe) sta diventando ridicola: prima o poi qualcuno inizierà a teorizzare che non fosse innamorato di Jean Grey ma che semplicemente si invaghisca di chiunque sia stato nel letto di Ciclope. Per piacere evitiamo questo scempio finché siamo in tempo.

La promessa (The Promise, da I love Marvel: My Mutant Heart #1 dell’aprile 2006). Non so che dire: trovo questi disegni (Ken Knudtsen) veramente atroci. Volwerine sembra un gibbone. Il lettering è terrificante. Sono solo otto pagine, ma ho faticato a leggerle come se si trattasse di ottocento. Aggiungete a questo che non ho capito nulla. Veramente. Niente. Cos’è successo? Cosa significa? Di che cosa parla? Sarò grata a chiunque vorrà spiegarmelo.

Il Testamento Purpureo (The Purple Testament, da Son of M #6 del luglio 2006). Bellissimo. Semplicemente. A partire dalla copertina, con un Freccia Nera decisamente sexy (se solo non si vestisse come uno scemo) che pone l’indice alle labbra esortando al silenzio sullo sfondo di una città deserta.
Nel numero precedente, soldati dell’esercito americano avevano sparato a Quicksilver che si stava allontanando con la figlia Luna e le nebbie terrigene sottratte agli inumani. Purtroppo si trattava solo di un sedativo e sta bene: dopo una scaramuccia, vengono sottratti alle grinfie dell’esercito dal cagnone Lockjaw, lasciano i cristalli delle nebbie a Genosha, e i cristalli – sotto gli occhi impotenti di Magneto – finiscono nelle mani dell’esercito. Questo è il nucleo attorno a cui ruota l’intera vicenda.
Mentre gli inumani si azzuffano con i ragazzi di Magneto, le nebbie si rivelano anche a loro per quello che sono, ovvero tossiche: Unus, perdendo il controllo del proprio potere, si avvolge con una versione così potente del proprio campo di forza da non lasciar passare nemmeno l’aria, e muore (è recidivo!).
In quel mentre arriva Magneto, che avverte Medusa della fine che hanno fatto i cristalli, e l’esercito americano che conferma la versione e si rifiuta di restituirli senza un ordine del presidente. “Le suggerisco di procurarselo. E in fretta”, risponde Medusa, minacciosa. Nel frattempo i ragazzi vengono trasferiti in ospedale (con la promessa di tornare): a Genosha rimangono solo Erik, gli inumani e l’esercito. Dopo aver fatto decollare i cristalli, l’esercito si rifiiuta naturalmente di restituirli ed intima agli inumani di tornare ad Attilan, sulla Luna. “Freccia Nera vi darà la sua risposta… fra breve”.
Già.
In una sequenza a dir poco meravigliosa, si vede Freccia Nera rimanere solo e gli inumani decollare. L’esercito comprende troppo tardi in che cosa consiste la “risposta” del re. Un sussurrato, appena percettibile, minuscolo “Guerra” (peccato che la traduzione perda molto dell’originale carica emotiva di “War”). E tutto è distrutto: gli elicotteri e gli altri mezzi militari, le rovine di Genosha, i soldati.  Solo Magneto, nella sequenza successiva, si rialza da sotto una lamiera che l’aveva protetto. Forse la sua mutazione secondaria è una considerevole dotazione di quella parte del corpo generalmente associata alla fortuna (o forse l’aveva previsto, dato che non ci voleva Nostradamus).
Nel frattempo Quicksilver, Luna e Lockjaw sono tornati in California, e la bambina ha una sorta di crisi d’astinenza: ha bisogno dei cristalli e attacca il cane con un pugno, cosa che – da come era stato presentato il suo rapporto con Lockjaw nei primi episodi – normalmente non avrebbe fatto mai. Sembra che Pietro si renda conto di ciò che ha fatto e recuperi la lucidità: sussurra al cane di riportare la bambina da sua madre Crystal e rimane solo. Per fare un’altra sciocchezza, non pago di aver causato la guerra tra gli Stati Uniti e Attilan. Si immerge nelle nebbie e viaggia nel futuro, più lontano che può: ciò che vede è ignoto. Tuttavia è sufficiente per farlo uscire completamente di testa: con un potere probabilmente dato dalla sovraesposizione alle nebbie, lo si vede muoversi come un fantasma per le strade di una città e ridonare il potere a coloro che l’hanno perduto. Un potere che palesemente rende disperati e folli.
Solo una nota che non riguarda Son of M ma Il Collettivo, pubblicato su Thor: nell’ultima scena dello scorso numero, Michael atterra a Genosha. Sappiamo che quella storia è ambientata successivamente a questa. E allora come mai sono ancora in piedi tronconi di grattacieli dopo che l’uomo della luna ha detto “war”? L’ennesimo errore di Bendis, immagino.

Di nuovo in pista! (Here we go again! da New Excalibur #1 del gennaio 2006). Guidata da Claremont con i disegni di Michael Ryan torna Excalibur, la squadra britannica di Brian Braddock (l’inutile Capitan Bretagna), Rachel Grey, Meggan (recentemente trapassata in House of M), Nightcrawler e Kitty Pryde. In questo numero, la squadra si riunisce, con l’assenza ovvia di Meggan e l’aggiunta della bella Psylocke, sorella del britannico Cap. Ovviamente non può trattarsi di una tranquilla rimpatriata. Alison “Dazzler” Blaire si trova invischiata in qualcosa di davvero strano, che coinvolge un Arcangelo, un Henry McCoy e una Jean Grey oscura con pessime intenzioni. Infarto. Muore. O forse no? Viene soccorsa dalla riunita Excalibur, con l’aggiunta di Talia “Nocturne” Wagner e del Fenomeno, e portata in ospedale.
Qui, qualcuno attacca mentalmente TJ. Non sono certa di aver capito o anche solo di sapere di chi si tratti.
Una storia di riscaldamento, in ogni caso, che intriga a sufficienza per indurmi a comprare anche il prossimo numero. Ma a quello bastava la presenza di Claremont. Ottime le sequenze della rianimazione di Alison e le parti in ospedale. Disegni non indimenticabili, ma decisamente buoni e con un altissimo livello di dettaglio che, almeno a mio parere, aggiunge qualità.

10 Comments

  1. Ok, spetta a me parlaredegli altri eroi del post…

    >freccia nera in posa sexi non ce lo vedo (ps: ma, genosha esiste ancora?)

    >Excalibur? avventure …”all’inglese”!

  2. Vedo che l’artigliato riscuote consensi! ;-p

    Brian, ma il wolverine in Brianza già c’è: guarda qui.

    Njord, trovo sexy Freccia Nera a prescindere dalla posa: quando apre bocca appena appena… stessa cosa nell’episodio di House of M con Pantera Nera e Tempesta, non so se l’hai letto. Solo che là era praticamente un baloon vuoto (e distruggeva mezzo Wakanda).

    Grazie, Maria ;-)

    Ma un Paolo Ferrucci in versione artigliata non ce lo vogliamo inventare?

  3. Vedo che l’artigliato riscuote consensi! ;-p

    Brian, ma il wolverine in Brianza già c’è: guarda qui.

    Njord, trovo sexy Freccia Nera a prescindere dalla posa: quando apre bocca appena appena… stessa cosa nell’episodio di House of M con Pantera Nera e Tempesta, non so se l’hai letto. Solo che là era praticamente un baloon vuoto (e distruggeva mezzo Wakanda).

    Grazie, Maria ;-)

    Ma un Paolo Ferrucci in versione artigliata non ce lo vogliamo inventare?

  4. Boh, per me Wolverine, Logan per gli amici, è sempre stato un inetto, un incapace, nonostante le potenzialità omicide dei suoi artigli retrattili, è tutto fumo e niente arrosto, un impotente, un gattino che fa le fusa. Questo per 2 motivi:

    a) I fumetti della Marvel, la casa editrice di Spiderman, Devil e Hulk, hanno mediamente un raggio d’azione circoscritto ai ragazzotti americani, che vanno si a scuola muniti all’occorrenza di coltello e/o beretta semiautomatica, ma che non devono leggere comics troppo adulti, violenti e granguignoleschi.

    b) La poltica seriale dei comics book supereroistici comporta la creazione e mitopoiesi di un bestiario di villain variegato, ma poco numeroso, alfine di risultare sempre riconoscibile e conseguire l’affetto del lettore medio. Ciò rende il cattivo praticamente immortale, e se per caso muore, raramente non risorge.

    Perciò Wolverine, nonostante si auto-celebri come il mutante più pericoloso sulla faccia della terra, non consegue mai sventrare il nemico di turno come vorrebbe, o perché miracolosamente il cattivo gli sfugge all’ultimo minuto, o perché scivola su una buccia di banana prima del colpo finale, o è distratto da una supereroina dal costume succinto….in tutti i casi è un X-pacco.

  5. Secondo me manchi il punto, come dicono gli anglosassoni, e per svariati motivi. Innanzitutto il metro di giudizio. Wolverine sarebbe un inetto perché incapace di sventrare chicchessia. Il punto è che:

    a) la narrazione si apre sul personaggio in un periodo successivo a quello della “macchina assassina”, un periodo in cui l’ombra di un problema etico si insinua nella sua mente (o quasi);

    b) il problema etico è centrale nei fumetti Marvel, sin dalla nascita, e trova nella riflessione sociale non tanto un palliativo nei confronti del proprio immaturo target bensì una profonda ragion d’essere che, con i migliori autori, si traduce in una riflessione assai profonda ed adulta su temi come il rispetto della diversità, l’utilizzo di un potenziale distruttivo, i diritti civili.

    L’identificare un fumetto adulto con un fumetto granguignolesco mi sembra, al contrario, un approccio decisamente superficiale e, questo sì, tipico di un target adolescenziale non svezzato e non emancipato da standard di azione fine a se stessa.

    Quanto all’elezione del villain a personaggio (con conseguente immortalità), trovo sia anch’essa conseguenza non solo della serialità ma anche della volontà – o quantomeno della potenzialità – di lavorare con i personaggi creando significative dinamiche interiori e/o con gli altri personaggi. Sul fatto che a volte le storie si traducano in un X-pacco… beh, c’est la vie: alcuni autori sono veramente incapaci, ma ciò non inficia i buoni presupposti e le solide basi su cui si fonda l’intera idea dell’X-universo.

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