Ariel Toaff: sacrifici umani e altro

Qualcuno di voi forse avrà sentito parlare del libro di Ariel Toaff dal titolo Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali (Il Mulino, 2007), per il grande scalpore che ha suscitato. In sintesi, il libro afferma, su basi storiche e storiografiche, la fondatezza di alcune delle accuse che nel XV secolo videro alcune comunità […]

Qualcuno di voi forse avrà sentito parlare del libro di Ariel Toaff dal titolo Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali (Il Mulino, 2007), per il grande scalpore che ha suscitato. In sintesi, il libro afferma, su basi storiche e storiografiche, la fondatezza di alcune delle accuse che nel XV secolo videro alcune comunità ebraiche accusate di praticare sacrifici umani di bambini cristiani durante la Pasqua.
Il grande scalpore che ha suscitato il libro, come si può facilmente immaginare, si è mosso sia per l’ardita teoria storica (laddove invece queste accuse erano sempre state considerate al pari di quelle di stregoneria) sia per il presunto antisemitismo di fondo. Sull’antisemitismo non mi pronuncio: è impossibile, in qualsiasi parte del globo, sviluppare un qualsiasi prodotto che coinvolga la sfera sionista senza esserne accusati. Riguardo alla questione storica, invece, riporto questi articoli dal Manifesto di ieri, che critica profondamente la tesi e ne sviscera gli errori d’impostazione e di conclusione soffermandosi, in chiusura, anche sulla questione delle polemiche cui accennavo prima.

Il terzo articolo è invece dalla Stampa e riporta la notizia della richiesta di ritiro del libro da parte dell’autore.

Una tesi fondata su una cantonata storiograficaAmedeo De Vincentiis
Come spesso capita ai libri di storia di cui si discute molto e polemicamente anche il saggio di Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali (edito dal Mulino, 2007) rischia di vendere molto e al tempo stesso di essere poco letto. Cosa abbastanza rara nel caso dei libri di storia, molti recensori si sono spinti a inquisire persino la buona o cattiva fede dell’autore, inducendolo a una grottesca e opportunistica abiura storiografica sulle pagine del Corriere della sera di ieri. A leggere il libro serenamente (e con attenzione) la sorpresa più immediata che riserva sta forse in alcuni dei suoi contenuti di cui meno si è scritto in questi giorni. Toaff, infatti, non tratta di specificatamente di quella vasta corrente di ebrei, di area ashkenazita, che nel tardo medioevo avrebbe abitualmente praticato l’uccisione di bambini cristiani per scopi rituali. È ben lungi, insomma, dal sostenere «la madre di tutte le revisioni» o dal fornire legittimazioni storiografiche alla tradizionale propaganda antiebraica, come sembrerebbe sostenere Adriano Prosperi sulla Repubblica del 10 febbraio scorso. Anche metodologicamente, come per fortuna è stato notato, non è poi così trasgressivo. In linea di principio, l’orientamento metodologico di Toaff, infatti, è simile a quello proposto, tra gli altri, da Carlo Ginzburg, come è stato già ricordato: cercare di capire se dietro il linguaggio messo in bocca dagli inquisitori agli imputati, per quanto deformato, pilotato, stereotipato e persino estorto tramite terribili torture (che l’autore non dimentica affatto) possa trapelare ancora qualche verità pronunciata dalle vittime. Contro ogni verosimiglianza storica. Al centro della ricerca è un caso preciso: il processo che si svolse a Trento attorno al 1475-1478 in cui, sotto l’occhiuta e interessata sorveglianza del tanto colto quanto terribile vescovo principe Giovanni Hinderbach, un gruppo di ebrei locali venne processato e trucidato con l’accusa di avere a sua volta straziato un bambino cristiano a scopi rituali. Su questo caso l’autore prende posizione sostenendo a più riprese come gli atti processuali non potessero riflettere solo le opinioni degli inquisitori: le deposizioni registrate sarebbero troppo dettagliate, troppo specifiche, troppo al corrente degli usi liturgici delle comunità ebraiche per non essere in buona parte vere. Questa interpretazione si scontra con la più ragionevole verosimiglianza storica, per tutte le notissime ragioni che riguardano la natura delle fonti processuali in generale, e inquisitoriali in particolare: ragioni che sono state opportunamente ricordate, tra gli altri, da Diego Quaglioni sul Corriere della sera dell’11 febbraio. Toaff si mostra convinto che il piccolo Simone di Trento venne realmente ucciso da una manciata di fanatici religiosi a fini rituali. Il fatto, in assoluto, non sarebbe poi così inedito e neanche così distante dai nostri tempi. Sette più o meno sataniche e sanguinarie sono sempre esistite. Ma in questo caso, dal punto di vista dell’analisi delle testimonianze, Toaff incorre in una clamorosa cantonata storiografica, analoga, per esempio, a quella che prende per buone le stravaganti quanto perverse abitudini di sette eretiche medievali di origine cristiana: un tranello in cui, peraltro, è caduta tanta storiografia almeno fino agli inizi del secolo passato. Prendendo a prestito una metafora storiografica su cui si è riflettuto molto, quella del rapporto tra storico e giudice-inquisitore, facciamo tuttavia finta, per un attimo, di commettere lo stesso errore che ha commesso Toaff: fingiamo dunque di fidarci disinvoltamente dell’inquisitore-storico e di ciò che ha estorto dalle sue fonti. Cosa verrebbe fuori da tutta questa vicenda? Che una setta relativamente esigua di persone, in un contesto molto preciso e limitato del tardo medioevo, esasperato dalla violenza secolare inflitta dalla società cristiana circostante, si rifugiò in confuse concezioni religiose costruite a partire dal loro personale contesto culturale (in questo caso quello ebraico ashkenazita) fino al punto di commettere un efferato rito omicida, in aperto contrasto con i principi religiosi ufficiali e condivisi dalla quasi totalità degli ebrei del tempo: come peraltro Toaff ricorda a più riprese. Due impostazioni del tutto diverse. È ragionevole anche solo suggerire una vaga affinità tra le tesi negazioniste e la tesi storiografica contenuta nel libro di Toaff, sebbene fondata su una scorretta esegesi documentaria del processo di Trento? Una tesi, quella di Toaff, niente affatto generalizzante, nonostante l’opzione narrativa adottata lo porti a connotare negativamente molti dei singoli protagonisti della storia. «Va da sé – scrive – che il problema non si poneva affatto quando si trattava di ebrei italiani, sefarditi o orientali, che costituivano la stragrande maggioranza del mondo ebraico medievale». E, a proposito di possibili omicidi rituali, scrive di «triste realtà dei deliri criminali di individui obnubilati da fobie e psicosi di carattere religioso». Sarebbe un errore, perché significherebbe equiparare due impostazioni completamente diverse, finendo con il banalizzare quelle negazioniste, sulla cui inaccettabilità non si discute nemmeno. Eppure, il libro di Ariel Toaff ha suscitato la condanna solenne della comunità ebraica, una raffica serrata di demolizioni critiche dell’opera e della professionalità dello storico; e, addirittura, l’isolamento – a quanto pare non solo intellettuale – dell’autore. Fino alla abiura pubblica di ieri. Il fatto è che il libro di Toaff tratta molti altri temi, per lo più ignorati dai recensori, che possono essi stessi irritare. Tocca infatti nel vivo un nodo dai risvolti istintivamente repellenti nella nostra cultura giudaico cristiana: quello della metafora sacrificale del corpo umano, della sua carne, del suo sangue. Inoltre, ma questa volta con ragioni assai più convincenti, come Piero Camporesi prima di lui, Toaff ci ricorda che nel cuore dell’Occidente di pochi secoli fa moltissimi dei nostri antenati, cristiani o ebrei che fossero, erano fermamente convinti delle più svariate virtù (terapeutiche, magiche, etc.) derivate dall’assunzione di sangue umano, meglio se fresco e giovane ma, in mancanza di questo, anche essiccato e di dubbia provenienza. E in quel riservato ma fiorente mercato anche alcuni ebrei, come molti altri, ebbero un loro ruolo. Infine, piuttosto che rafforzare un ignobile luogo comune antisemita, il libro di Toaff contribuisce a sfumarne un altro, più edulcorato e tuttavia irrispettoso: quello che identifica l’ebreo nella storia come vittima non solo inerme, ma quasi sommessamente rassegnata al proprio destino sacrificale. Dalle sue pagine, al contrario, emerge con chiarezza quanto fosse diffuso e violento l’anticristianesimo in alcune frange delle comunità ebraiche di quelle regioni e di quel tempo. Pare quasi superfluo aggiungere (ma l’autore ricorda anche questo) che tale ostilità traeva ragioni più che comprensibili dalla secolare oppressione di quelle comunità stesse da parte dei cristiani; oppressione che, al contrario dell’ostilità ebraica, espressa per lo più tramite insulti e derisioni, i cristiani manifestarono in maniera cruenta e sistematica. La storia che Toaff rievoca, da questo punto di vista, è una storia in cui, tra le infinite violenze imposte alle comunità ebraiche nel medioevo, vi è stata anche quella che si è risolta nel portarle a forme di esasperazione aggressive, dunque tutt’altro che rassegnate. Ed è un segno preoccupante delle drammatiche pressioni a cui è sottoposta oggi la comunità ebraica, italiana e internazionale, il fatto che questo libro – per quanto contestabilissimo nella sua tesi principale – non sia stato letto da tutti con maggiore equilibrio.

La vita al prezzo dell’adesione a verità imposteAlberto Burgio
Nel tentativo di approdare a una messa a fuoco del libro di Ariel Toaff, Pasqua di sangue, che tante reazioni ha sollevato in questi giorni, ne ripercorriamo alcuni passaggi cruciali con il medievista Giacomo Todeschini, che è stato tra l’altro «Skirball fellow» presso il Center for Hebrew and Jewish Studies di Oxford, ed è condirettore di «Zakhor. Rivista di Storia degli Ebrei d’Italia».
Argomento delle sue ricerche sono i diversi tipi di pensiero economico e sociale espressi nel medioevo dalla cristianità occidentale e dalla diaspora ebraica, studi che hanno dato luogo, tra gli altri, a libri come La ricchezza degli Ebrei. Merci e denaro nella riflessione ebraica e nella definizione cristiana dell’usura alla fine del Me-dioevo (Spoleto, 1989) e I mercanti e il Tempio. La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo ed Età Moderna (Bologna, 2002). Sul libro di Ariel Toaff si sono accavallate diverse prese di posizione, e forse è venuto il momento di prendere le distanze dal clamore che le ha accompagnate e di fornire una sobria descrizione della questione. Lei cosa ne pensa? Il libro riabilita l’accusa, rivolta sin dal XII secolo agli ebrei, specie di area tedesca, di praticare infanticidi rituali, in particolare per la Pasqua. Lo fa lavorando soprattutto intorno a un caso molto studiato, il processo di Trento, del 1475, che diede origine alla beatificazione di Simonino, presunta vittima di un sacrificio pasquale. Sulla base di accuse di questo genere, ricorrenti nei testi-chiave dell’antisemitismo otto e novecentesco fino al nazismo, centinaia di ebrei furono condannati al rogo nel medioevo e in età moderna. Fino a ieri non avevamo dubbi sull’infondatezza di accuse basate su confessioni estorte con violente torture. Eravamo certi si trattasse di un quadro simile a quello del sabba stregonesco, con una specificità: l’accusa di omicidio rituale è analoga a quella indirizzata agli indios nel XVII secolo, ai quali si addebitavano sacrifici umani, e all’accusa di cannibalismo rivolta ai neri ancora nel ‘900. È una accusa strategica, che si risolve nel ridurre a animali un gruppo umano e che svolge un ruolo-chiave nella costruzione della razza, funzionale agli stermini di massa. Grazie al lavoro storiografico svolto da Miri Rubin, Diego Quaglioni e Anna Esposito, Po-Chia Hsia, Anna Foa, David Ruderman e altri, si era conquistata la certezza dell’inconsistenza di tali accuse, poiché la storia della mitologia dell’omicidio rituale era stata inserita nella più ampia vicenda delle relazioni ebraico-cristiane fra medioevo ed età moderna, e dunque ricondotta a problemi generali di ordine politico, economico e giuridico. Ora, eliminando ogni riferimento a questo ordine di questioni e rifuggendo dall’analisi semantica delle fonti, il libro di Toaff rimette tutto in discussione, producendo un’immagine sensazionalistica che impedisce di leggere la storia ebraica nel quadro della storia europea. Lo stesso Toaff rivendica questo carattere del libro dicendo di avere «infranto un tabù». Sì, ma per rigettare una tesi consolidata bisogna disporre di ragioni forti. Sul piano storiografico questo significa presentare nuovi documenti, o una lettura metodologicamente rivoluzionaria delle fonti note. Anna Foa e Adriano Prosperi escludono che nel libro vi siano documenti nuovi. In particolare Prosperi osserva che Toaff cita di seconda mano il documento-chiave del libro, la testimonianza di Giovanni da Feltre. Col risultato di non avvedersi che Giovanni si trovava in carcere e non era quindi più attendibile degli ebrei incolpati della morte di Simonino. Siamo di fronte a un paradosso. I documenti che hanno convinto gli storici dell’inconsistenza dell’accusa di infanticidio rituale servono ora per argomentare la tesi opposta. Questo avviene perché le testimonianze sono lette anacronisticamente, ignorando le particolarità della procedura giudiziaria medievale. Gli ebrei erano ritenuti «infami», privi di diritti giuridici. L’unica possibilità di salvezza dipendeva dal loro denunciarsi a vicenda ripetendo quanto i giudici chiedevano loro di dire. Questo è il punto. La procedura penale li considerava inattendibili a-priori e solo l’adesione totale alla «verità» imposta da chi stabiliva le regole del discorso politico e giuridico poteva far loro sperare di salvarsi la vita. All’assenza di nuovi documenti si aggiungono, nel libro di Toaff, lacune metodologiche e bibliografiche. C’è tutta una bibliografia che il libro trascura. Alludo agli storici (Lasker, Chazan, Dahan e altri) che hanno analizzato i linguaggi della controversia teorica medievale. Prescinderne implica non cogliere la differenza fra i dibattiti elitari di ambiente teologico tra rabbini e sacerdoti cristiani e la microconflittualità quotidiana, il che impedisce di comprendere i testi. Aggiungo che la mancata considerazione degli studi sulle impalcature dell’immaginario teologico cristiano e sui suoi vocabolari (penso ai lavori di Blumenkranz, Rubin, Sapir e Sabre-Vassas) impedisce di capire quanto succedeva nella testa dei giudici ecclesiastici e le dinamiche di diffusione degli stereotipi antigiudaici a partire dall’XI secolo. Non è solo questione di bibliografia. Dietro una retorica che tradisce il compiacimento nella descrizione delle atrocità si celano sorprendenti cortocircuiti metodologici. Le confessioni dettate dagli inquisitori diventano infatti nel libro il punto di arrivo di ritualità eterogenee appartenenti ad epoche diverse; mentre nella mente degli inquisitori cristiani c’era la convinzione che la ritualità ebraica fosse prova di alterità diabolica. Questa sorta di gioco di prestigio ha luogo perché l’autore ha deciso che il rito e i suoi riferimenti biblici o talmudici sono la premessa «ovvia» di una presupposta attitudine sanguinaria degli ebrei ashkenaziti. Come attestano tanti suoi scritti precedenti, che dimostrano l’infondatezza degli stereotipi antigiudaici, Toaff è uno storico esperto, consapevole dell’uso strumentale che per secoli è stato fatto dei materiali che ora egli riabilita. Com’è possibile, allora, che sia venuto fuori un libro come questo, soprattutto in un momento in cui infuriano le polemiche sul ruolo storico dell’ebraismo e si moltiplicano i segnali di un risorgente antisemitismo? Difficile rispondere. Ogni uomo è dotato di diversi livelli di consapevolezza, di differenti versanti della propria identità, il discorso storiografico ne lascia filtrare alcuni e ne censura più o meno automaticamente altri. È possibile che un tema come quello prescelto per il libro, che tratta del confine che separerebbe il sacrificio dall’omicidio, abbia perturbato l’autore, facendolo cadere nelle trappole di un secolare antisemitismo. La forza di certi stereotipi può coniugarsi con un odio di sé di cui la storia culturale ebraica offre svariati esempi. Un’altra questione riguarda le possibili conseguenze del libro. Mi pare che le aspre reazioni suscitate non vadano lette solo in relazione alla gravità del tema e delle tragiche vicende ad esso legate. Lei è d’accordo? Il fatto è che un testo di questo tipo rischia di riabilitare, sulla parola di uno storico ebreo con le carte in regola, l’accusa rivolta agli ebrei di avere praticato per secoli omicidi rituali. Più in generale, rischia di avvalorare l’idea che gli ebrei siano, per natura e in quanto popolo, bestialmente aggressivi. Insomma, si può temere che il libro getti olio sul fuoco del negazionismo e venga utilizzato da chi cancella la differenza fra carnefici e vittime, ossia le responsabilità di chi ha prodotto la Shoah e le successive carneficine del Novecento.

Ariel Toaff ferma pubblicazione di "Pasque di sangue"

Lo storico ha fatto la richiesta all’editore "Il Mulino"ROMA

Lo storico Ariel Toaff ha chiesto all’editore "Il Mulino" di ritirare dal commercio il suo controverso libro «Pasque di sangue» ma non fa marcia indietro sul contenuto. Toaff ha infatti chiesto scusa per i danni arrecati al popolo ebraico ma solo a causa delle «falsità» che la stampa gli ha attribuito.
Nel libro Toaff ha scritto, tra l’altro, che ristretti gruppi di ebrei ashkenaziti dell’Italia settentrionale in epoca medievale avrebbero compiuto infanticidi di bambini cristiani per usare il loro sangue nei riti pasquali. Una tesi che ha suscitato l’indignata protesta delle comunità ebraiche in Italia, che avevano accusato Toaff di aver dato credito alla propaganda antisemita e a confessioni estorte agli ebrei sotto tortura. Persino il padre dell’autore, l’ex rabbino capo di Roma, Elio Toaff, si è dissociato dall’opera.
In un comunicato Ariel Toaff ha fatto sapere che intende «riscrivere quei passaggi che hanno dato origine alle distorsioni e alle falsità pubblicate dai media. Sto compiendo questi passi per prevenire un ulteriore uso improprio del mio libro come propaganda antisemita».
Lo studioso ha esteso le sue «più sincere scuse a tutti coloro che sono stati offesi dagli articoli e dalle alterazioni attribuite a me e al mio libro» e ha promesso di donare i ricavi dalla vendita del libro alla Anti Defamation League per esprimere il suo «profondo rammarico per i travisamenti» a lui «attribuiti e che hanno ferito il popolo ebraico».
Toaff ha doppia nazionalità italiana e israeliana e insegna storia all’università Bar-Ilan vicino Tel Aviv. In un comunicato l’ateneo ha espresso «grande rabbia ed estremo dispiacere» per «la mancanza di sensibilità dimostrata» da Toaff con il suo libro. «Il prof. Toaff – ammonisce – avrebbe dovuto dimostrare maggiore cautela nella pubblicazione del libro in modo da prevenire interpretazioni distorte e offensive».

11 Comments

  1. Sarò banale, ma preferisco non dare opinioni che possano essere fraintese: sono inconvenienti del mestiere!

    …e poi dopo le vaccate dei miei colleghi, va a finire che compio io qualceh omicidio…sempre che non rimanga vittima del loro contagio.

    SALUTONI ;-)

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