Shanghai Devil

Me ne avevano parlato malissimo, ma non è male questo Shanghai Devil, nuova fatica di Gianfranco Manfredi dopo Volto Nascosto. Premetto che ho detestato il suo predecesssore, l’ho trovato ben oltre i limiti dell’illeggibile, una specie di summa dei motivi per cui non compro Bonelli e, pur avendoli in casa praticamente tutti ogni mese, ne […]

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Me ne avevano parlato malissimo, ma non è male questo Shanghai Devil, nuova fatica di Gianfranco Manfredi dopo Volto Nascosto. Premetto che ho detestato il suo predecesssore, l’ho trovato ben oltre i limiti dell’illeggibile, una specie di summa dei motivi per cui non compro Bonelli e, pur avendoli in casa praticamente tutti ogni mese, ne leggo pochissimi: graficamente anonimo, sbrodolatissimo nella sceneggiatura, didascalico verso la nausea e oltre, avvincente come una partita a Monopoli. Detto questo, i primi sei numeri di Shanghai Devil (sei di diciotto previsti) sembrano differenti: il protagonista è il solito cretino, Ugo Pastore, che invischiato in intrighi internazionali applica una propria visione semplicistica di eroe quasi D’Annunziano travisando qualunque dinamica e complicando ulteriormente una situazione cui riteneva di venire in soccorso. In questo caso non ci troviamo più nelle terre coloniali d’Etiopia ed Eritrea ma nell’altrettanto coloniale terra di Shanghai, e la vicenda si apre nel 1897 con un numerillo dall’evocativo titolo Il trafficante d’oppio. Ebbene sì, la tendenza didascalica Bonelli non è del tutto annullata, ma ho gioito nel vedere Enea, il padre di Ugo, che dopo essere partito con quello che minacciava di essere il solito spiegone, ha concluso:

“La Cina è complicata. Non avere fretta, figliolo. Imparerai a conoscerla col tempo, un po’ per volta.”

Signore Iddio ti ringrazio.
Ed effettivamente gli spiegoni sull’oppio, sull’eroe cinese Lang Ling, sull’ingerenza europea nella città arrivano dosate con il contagocce, in un modo che oserei quasi definire sapiente, al punto che se non fosse per il formato (e, naturalmente, per i disegni) potrei quasi dimenticarmi che ho tra le mani un Bonelli.
Non mi si fraintenda: il mio rapporto con le opere di casa Bonelli è più affettuoso di quello che ho, ad esempio, con le opere di casa DC (eufemismo: persino un mio rapporto con la sifilide sarebbe più affettuoso di quello che ho con le opere di casa DC). Leggo con piacere tendenzialmente le opere “fuori continuity”: Dampyr, Brendon, persino Julia, quando sono proprio alla frutta. Il rischio che corrono queste testate, senza una continuity interna e rigorosamente fedeli alla loro concezione originaria, è quello di esaurire l’ambientazione e rimanere a corto di idee (vedi Julia, che sta da tempo raschiando il barile, o lo stesso Dampyr che ultimamente annaspa): da questo punto di vista, trovo si riveli felice la scelta di Manfredi che decide di riservare a ciascuno dei primi numeri un tassello separato nella vicenda storica che fa da sfondo alle avventure di Ugo. Primo numero a Shanghai, quindi, ma un secondo numero a Pechino, con disegni che passano da Massimo Rotundo a Alessandro Nespolino che fa anche rima, dove ci viene mostrato il giovane imperatore Kuang Su (Guangxu) al centro degli intrighi di corte tessuti dalla madre del precedente erede al trono, la celebre imperatrice vedova Cixi qui traslitterata Suxi. Un terzo e un quarto numero, disegnati rispettivamente da Stefano Biglia e Roberto Diso, ci conducono nelle campagne cinesi, dove l’oppio ha sostituito la coltivazione del riso, e tappa in una missione, per poi tornare a Shanghai e passare a Tientsin. Piacevole seguire questi vagabondaggi per chi conosce la storia della rivolta dei Boxer, anche se i repentini dambi di programma e d’umore del protagonista potrebbero a tratti sembrare insensati e pretestuosi. Unica pecca è che fino ad oggi, giunti al punto in cui siamo, le trame si stanno continuando a tessere, ma non a dipanare. Spero che Manfredi non si trovi a corto di terreno, ma questa volta mi sento di dargli fiducia.

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