Una mattina mi son svegliato…

…e ho scoperto tutto quello che è successo nel mondo in questi due giorni. Compresi i tagli alla ricerca e la tassa di soggiorno. La tassa di soggiorno?!? Ora, io sono stata finora iper-protettiva nei confronti del governo. I soldi dovranno tirarli pur fuori da qualche parte. Fatemi capire. Ho una casetta sul lago di […]

greyteddy06-morning…e ho scoperto tutto quello che è successo nel mondo in questi due giorni. Compresi i tagli alla ricerca e la tassa di soggiorno.

La tassa di soggiorno?!?

Ora, io sono stata finora iper-protettiva nei confronti del governo. I soldi dovranno tirarli pur fuori da qualche parte. Fatemi capire. Ho una casetta sul lago di Como: devo pagare tutte le volte che ci vado a dormire? Qualcuno dirà: "Hai una seconda casa, sei più ricca, è giusto che paghi di più!". Niente di più giusto. Ma c’è già una cosa che si chiama ICI sulla seconda casa… aumentate quella, buon dio! Altro esempio: devo pagare una tassa ogni volta che vado a Roma e dormo da un’amica? Sono fortunata che il mio ragazzo stia di casa a due isolati di distanza, altrimenti dovrei pagare anche quando vado a dormire da lui? E quando vado in giro per lavoro, nemmeno sicura di ottenerlo (ah, il precariato e la libera professione che belle cose) e ovviamente mai retribuita da nessuno per quanto riguarda autostrada, albergo e benzina? Pago in nome di cosa? In nome del fatto che non ho un bel lavoro tranquillo nella banca sotto casa? State dicendo che è colpa mia e avrei dovuto fare ragioneria? E Marco che lavora di notte e studia di giorno per mantenersi una stanza a Milano Lambrate e frequentare il Politecnico (dato che nel buco da cui viene l’università fa talmente schifo che con una laurea presa laggiù i committenti gli riderebbero in faccia)? Avrebbe dovuto fare ragioneria anche lui? Ehi, ragazzi, ci siete? Vi ho votato anch’io, mi vedete? C’è qualcuno là dentro? Ehi, Fausto, a spasso non ci vanno mica solo i ricchi! Mi senti? I ricchi vanno alle Bahamas, se ne sbattono della tassa di soggiorno! Tra un po’ mi finiranno i soldi, non voglio finire in galera per debiti come il padre di Charles Dickens! OH, MI SENTITE? Vi stimo un sacco. Ma mi sa che voglio emigrare

Aggiornamento:
Rassegna stampa dai giornali di oggi sulla questione "t&t" (tasse e tagli)


Dalla Stampa.

Piccola chiosa al primo articolo: sono fiera del mio presidente. Piccola chiosa al secondo articolo: nella prima parte del post non ho toccato la questione da un punto di vista economico e da un’ottica più ampia ma è chiaro che il problema risiede anche e soprattutto laggiù. Ad Amalfi che vuole "imitare la Sardegna" bisognerebbe spiegare che cos’è successo in Sardegna da quando hanno messo la tassa.

Il Fai: l’8 per mille usato per l’Iraq – Giacomo Galeazzi

ROMA – L’8 per mille ha finanziato la guerra in Iraq invece della solidarietà e della tutela del patrimonio artistico. La denuncia di Giulia Maria Crespi, presidente del Fai, il Fondo per l’ambiente in Italia («me lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta») fa esplodere un caso politico che scuote il mondo politico e il terzo settore. Onlus, Ong e organizzazioni di volontariato insorgono per i soldi dei contribuenti (80 milioni di euro) sottratti alla solidarietà e alla cultura per coprire i costi della missione irachena. E Letta conferma: «Negli anni scorsi l’8 per mille è stato mal utilizzato e dirottato su finalità che non avevano nulla a che fare con quanto stabilito dalla legge». In particolare, la quota dell’Irpef destinata a «solidarietà, cultura e cooperazione» è stata ridotta di 80 milioni di euro annui a decorrere dal 2004. La somma, confluita al Tesoro, è stata poi destinata alla sicurezza e al finanziamento delle missioni all’estero. Immediate le proteste del centrosinistra e delle associazioni non profit. «E’ una rivelazione gravissima – protestano i Verdi -. La Corte dei Conti deve occuparsi subito di questa inaudita distrazione dei fondi attuata dal governo Berlusconi». Anche Legambiente punta l’indice contro «l’odioso inganno verso i cittadini che provocherà un aumento della sfiducia verso le istituzioni». E il diellino Ermete Realacci rincara la dose: «Destinare l’8 per mille alla missione in Iraq fu un autentico imbroglio del precedente governo ai danni dei tanti italiani che, ponendo la loro firma nella casella destinata allo Stato, intendevano destinare fondi per combattere la fame nel mondo, per i beni culturali, per dare assistenza ai rifugiati e alle vittime delle calamità naturali – afferma -. Finalità ben diverse, dunque, da una missione bellica». I Comunisti italiani parlano di «inaudito raggiro dei cittadini», mentre Rifondazione comunista tuona contro la «vergognosa truffa »: «Quei fondi dovevano servire alla cooperazione allo sviluppo e alla lotta alla povertà, invece sono stati inopinatamente trafugati e sono andati ad ingrassare i mercanti di armi». A scatenare la polemica è stato il «patto nazionale» lanciato ieri dal Fai al convegno organizzato nella sede romana della Confindustria (presenti il capo dello Stato Napolitano, il vicepremier Rutelli, il presidente degli industriali Montezemolo e il sindaco di Roma Veltroni) per fare il punto sulla condizione del nostro patrimonio culturale. E il panorama non è roseo. I soldi sono pochi, visto che il bilancio della cultura è sceso a capofitto negli ultimi anni: precipitato dallo 0,48 % del bilancio dello Stato del 2001 allo 0,26% delle proiezioni sul 2007. «Ma sono anche stati spesi male – sostiene il Fai – se si contano i miliardi di residui passivi accumulati negli ultimi cinque anni dalla amministrazione del ministero ». E destinare i fondi alla guerra in Iraq ha messo in notevole difficoltà le associazioni che beneficiano dell’8 per mille per progetti di tutela del patrimonio culturale e di solidarietà. «In pratica la cooperazione internazionale è ormai costretta dai tagli al piccolo cabotaggio – spiega Mario Marazziti, portavoce della comunità di Sant’Egidio -. I soldi della missione irachena avrebbero fatto molto comodo a noi che operiamo sul campo per i malati, gli emarginati e il Terzo Mondo. L’allora premier Berlusconi, da presidente di turno dell’Ue, promise alla Fao di far salire gli aiuti allo 0,35% del Pil, invece l’Italia è crollata allo 0,17%. E’ urgente riportare l’8 per mille alle finalità originarie, altrimenti la cooperazione muore e il Welfare ne esce penalizzato». Le sigle del volontariato concordano nel ritenere che quei fondi sarebbero dovuti andare, come di consueto, per il restauro dei beni culturali, la lotta alla fame, l’assistenza ai rifugiati, le calamità naturali e non per finanziare una missione militare. E l’ex viceministro dell’Economia di Forza Italia Giuseppe Vegas ammette:«L’8 per mille originariamente doveva essere devoluto tutto agli aiuti al terzo mondo, alla cultura. Poi una parte venne utilizzata per le missioni all’estero. E 80 milioni di euro per l’Iraq».


Tassate le vacanze: 5 euro al giorno – Paolo Baroni

ROMA – Arriva la tassa di soggiorno, 2 euro al giorno per i comuni più piccoli e massimo 5 per le città metropolitane. Subito però scoppia la polemica: i comuni si dividono in pro e contro, mentre tutto il mondo del turismo spara a zero contro il provvedimento previsto dalla Finanziaria. Il vicepremier Francesco Rutelli parla di «piagnisteo assurdo». E spiega: «si tratta di una norma moderna e giusta i cui i proventi verranno investiti nel miglioramento dei servizi turistici». Non la pensano allo stesso modo gli operatori che invece temono che la nuova «tassa di scopo» assesti un «nuovo colpo mortale» al comparto. Secondo Palazzo Chigi «il nuovo contributo è una norma equilibrata e innovativa che migliora i servizi ai turisti nelle città più visitate. È stata evitata la reintroduzione della vecchia imposta di soggiorno che avrebbe riguardato solo i clienti degli alberghi». L’emendamento approvato ieri alla Camera prevede che dal prossimo anno i comuni italiani possano introdurre una tassa di soggiorno per far fronte alle esigenze create dall’arrivo di turisti, per migliorare i servizi e valorizzare i centri storici. Il prelievo potrà essere applicato solo ai cittadini non residenti ma saranno previste anche «eventuali riduzioni ed esenzioni» nonché «forme di convenzione con le imprese della filiera turistica». Sarà anche possibile prevedere l’applicazione del tributo solo per un certo periodo annuale. I comuni più piccoli, per i quali vale il tetto sino a 2 euro, dovranno attendere che la conferenza Stato-Regioni definisca le linee guida di coordinamento nazionale, le grandi città potranno invece partire subito col nuovo anno. «L’emendamento – spiega il sindaco di Roma Walter Veltroni – è il frutto di una convergenza tra esigenze dei comuni e quelle avanzate dal vicepresidente Rutelli per trovare un equilibrio tra i problemi che riguardano la possibilità per le città, soprattutto quelle turistiche, di poter reggere il livello dei servizi nelle quantità giuste e le esigenze di non penalizzare un settore strategico come quello turismo». D’accordo con Roma anche Venezia, Pompei e Positano. Bari non intende applicare la nuova norma, mentre da Milano arriva un secco «no». «E’ un controsenso logico, figlio di un federalismo alla rovescia », protesta l’assessore al Turismo meneghino, Massimiliano Orsatti. «Porterà conseguenze non positive» dichiara a sua volta il presidente della Regione Roberto Formigoni. Pollice verso anche da Napoli, dove l’assessore al Turismo Valeria Valente parla di «misura davvero poco incentivante: il problema – spiega – è che bisogna investire sul turismo aggiungendo e non prendendo». Per il sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone la nuova tassa agevolerà «solo le grandi città d’arte», mentre secondo il Comune di Capri «penalizza chi va in albergo». Non a caso nell’isola dei faraglioni da mesi chiedevano a gran voce una «tassa di accesso», allo scopo di frenare quel turismo «mordi e fuggi che – spiega l’assessore Salvatore Ciuccio – grava sui servizi e provoca gravi impatti ambientali sul territorio». Amalfi, invece, vuole imitare la Sardegna alzando ancora di più il tiro: la nuova tassa va estesa anche ai diportisti. «Del resto – spiega il sindaco Antonio De Luca – chi viene qui da noi non avrà certo problemi a pagare 2 euro in più». Tutti gli operatori turistici, senza alcuna eccezione, da Confindustria a Confcommercio da Confesercenti all’associazione delle grandi catene alberghiere, sono invece compatti contro la nuova tassa. Spiega Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi: «E’ un atto di puro autolesionismo per l’economia del paese. Così facendo graveremo le imprese turistiche di un nuovo balzello, che contribuirà a portare l’Italia fuori mercato, a mettere a rischio migliaia di posti di lavoro ed a far perdere migliaia di visitatori in quegli stessi comuni che dall’introduzione della tassa pensano di arricchirsi». Per Costanzo Jannotti Pecci, presidente di Federturismo, la norma «va abolita, o quantomeno ripensata» perché «non può gravare solo sulle strutture alberghiere e ricettive: va spalmata su tutta la filiera, cominciando da esercizi commerciali e trasporti locali». Anche il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli chiede che la tassa venga abolita: «le nostre imprese non hanno bisogno di una zavorra in più. E’ in gioco la competitività del paese».

Dal Manifesto:

Pubblica incoscienza – Marcello Cini
«Nella vecchia economia la gente comprava e vendeva risorse congelate, cioè un mucchio di materiale tenuto insieme da un pochino di sapere. Nella nuova economia, compriamo e vendiamo sapere congelato, cioè un sacco di contenuto intellettuale in un involucro fisico». Così Brian Arthur, uno dei fondatori del celebre Istituto di ricerca di Santa Fé sulla complessità che caratterizza la svolta dell’economia dal XX al XXI secolo. E l’editor della rivista economica americana Fortune, Thomas Stewart spiega: «In questa nuova era, la ricchezza è il prodotto del sapere. Sapere e informazione – e non soltanto sapere scientifico, ma le notizie, i consigli, l’intrattenimento, i servizi – sono diventati le principali materie prime dell’economia e i suoi prodotti più importanti. Il sapere è quel che compriamo e vendiamo». Chi mi conosce sa che non mi piace che la conoscenza in generale e la scienza in particolare siano diventate merci che si comprano e si vendono, e che la loro produzione sia sempre più subordinata al vincolo della produzione del maggiore e più immediato profitto possibile del capitale investito. Penso che la conoscenza e la scienza – in quanto beni che, al contrario degli oggetti materiali, non si «consumano» ma si moltiplicano tanto più quanto maggiore è il numero di coloro che possono fruirne – dovrebbero ritornare a essere beni comuni disponibili a tutti. Ma anche se questo obiettivo può sembrare utopistico – ma forse non lo è pensando alle catastrofi che si annunciano se il mercato continua a essere l’unico riferimento – la necessità di una forte ricerca pubblica, che persegua finalità collettive dovrebbe essere un’assoluta priorità per un governo che pensa al futuro dei suoi cittadini. Dovrebbe essere ovvio che se la conoscenza e la scienza non vengono prodotte, o se bisogna comprare a caro prezzo sul mercato quelle prodotte dalle multinazionali, il nostro paese non entra nel XXI secolo, ma retrocede al XX se non al XIX. Non è una battuta. Un piccolo esempio storico ci deve far pensare. Basta ricordare che la Cina, dove nel Medioevo erano state inventate la ghisa, la bussola, la polvere da sparo, la carta, la stampa e tante altre cose nel giro di un decennio perse per cinquecento anni la supremazia tecnologica che aveva accumulato. «Perché le sue formidabili navi – si domanda Jared Diamond nel libro Armi, acciaio e malattie – non doppiarono il Capo di Buona Speranza, prima che Vasco de Gama lo doppiasse in senso inverso? Perché non attraversarono il Pacifico arrivando in America prima di Colombo? Cosa fece perdere alla Cina la supremazia tecnologica?». La risposta è banale e dimostra quanto possano essere catastrofiche le conseguenze di perturbazioni locali imprevedibili e apparentemente irrilevanti. Fu semplicemente la vittoria nella lotta per il potere della fazione avversa a quella responsabile della marina a bloccare le spedizioni marittime, smantellare la flotta e proibire la navigazione transoceanica. Una valanga che travolse tutto. Tagliare 300 milioni su un totale di 1.630 – questo sembra essere l’ammontare della riduzione del finanziamento pubblico per la ricerca scientifica e tecnologica prevista dalla finanziaria – non è un sacrificio paragonabile a quello che anche altri settori della spesa pubblica devono sopportare per mettere in ordine i conti pubblici. E’ soltanto incoscienza.

«Gli scienziati hanno ragione, la situazione è insostenibile»
Luciano Modica, sottosegretario al ministero dell’Università e della Ricerca, nonché ex presidente della Conferenza unificata dei rettori italiani, nel 2002, da senatore Ds, plaudì alle minacciate dimissioni della Crui contro i tagli agli atenei della finanziaria Tremonti. Sottosegretario, e oggi? Si è reso conto che finanziare l’università è difficile? Il discorso non è questo. Certo che il mondo della ricerca si attendeva di più da questo governo, che ha di sicuro l’intenzione di sostenere questo settore. Ma quest’anno abbiamo scelto una strada difficilissima, che però ci è parsa l’unica possibile, e cioè rientrare in un solo anno nei parametri del patto di stabilità. Una riduzione di spesa colossale, la più grande da quindici anni in qua. Ma perché la sinistra al governo si impelaga sempre in manovre così pesanti? Lei è d’accordo? Sinceramente io ho condiviso l’idea di utilizzare il primo anno con il massimo sforzo di risanamento possibile, sperando che nei successivi quattro anni si possa finalmente investire. E’ una scelta, non dico che sia ovvia, o obbligata. Io sono stato tra coloro che pur con qualche – lo riconosco – dubbio e preoccupazione ho ritenuto che dovessimo correre l’alea. Però lo voglio dire: in questo quadro il sistema ricerca e università non è stato, finora, tra i più penalizzati rispetto ai sacrifici richiesti ad altri settori del paese. E’ che si sono sommati una serie di interventi, in parte della Finanziaria e in parte non. Come il decreto Bersani, che taglia il 20% dei consumi agli enti pubblici. Esatto. E alla fine questa sommatoria ha caricato le università e soprattutto gli enti di ricerca di una situazione che è insostenibile. Lo dico da uomo di governo, so che è difficile, ma gli enti pubblici di ricerca sono in una situazione letteralmente insostenibile. E allora? In questo momento il governo sta riflettendo. E’ un questione di priorità: se noi assegniamo, come penso dobbiamo assegnare, all’accrescimento del capitale umano, e all’investimento in innovazione il primo posto delle nostre strategie, dobbiamo trovare uno spazio. E in questa manovra i soldi ci sono: c’è la parte dei tagli, certo, ma ci sono anche 14 miliardi di investimento per lo sviluppo, che sono il nostro fiore all’occhiello, il nostro sforzo per non chiuderci in un banale taglio. Ecco, di questi 14 miliardi basta una percentuale anche relativamente piccola per permettere a università e ricerca di respirare. Il deputato Ds Walter Tocci sostiene che le risorse sono male allocate, cita i 750 milioni per gli incentivi industriali. Non so dire se questa è la scelta giusta, ma è una proposta da analizzare con attenzione. A me interessa la sostanza, che condivido: cerchiamo di ripartire meglio, a parità di saldi, i sacrifici. In questo momento il sacrificio richiesto agli enti di ricerca, lo ripeto, è insostenibile. E per il fondo ordinario di finanziamento delle università? La finanziaria prevede 94 milioni di euro in più, il problema è che non prevede l’eliminazione del taglio dei consumi intermedi, quindi con una mano diamo e con una mano togliamo. Dunque è chiaro che la somma algebrica è zero o addirittura in negativo. Per non parlare del fatto che riguarderà anche fondi reperiti dagli stessi enti… Sì, curiosamente si applica anche alle risorse reperite dalle università e dagli enti sul mercato. C’è un po’ un’illogicità di fondo. Tra l’altro avrà un effetto pernicioso: spostare la ricerca fuori dall’università, perché quel punto qualsiasi professore o ricercatore bravo per evitare di pagare questa «tassa» del 20% sposterà la sua ricerca presso un ente non universitario. Ma il governo cosa sta facendo? Alcune cose le abbiamo ottenute, come il finanziamento del fondo ordinario o l’eliminazione del taglio agli stipendi per i professori più giovani. Ora, non posso dire che le proteste sono utili, ma certo interventi come quelli della senatrice Rita Levi Montalcini, con la sua autorità scientifica, morale e politica, possono aiutare a chiarire la situazione. Sia nell’opinione pubblica, sia presso chi ha proposto le norme. Che forse, in buona fede, non si è reso conto delle conseguenze.

Passa il decreto. Ferrero dice no – Francesco Piccioni
C’è chi dice no. Che il Tfr di ogni singolo lavoratore finisca per diventare massa di manovra finanziaria per i fondi pensione, non piace a tanti, in questo paese. Ma all’interno del governo, al momento di contare i voti contrari al nuovo decreto, si è alzato un solo braccio. Quello del ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che è anche l’unico ministro di Rifondazione. Il decreto approvato prevede che la previdenza complementare nel settore privato parta dal 1° gennaio 2007, un anno prima di quanto previsto dalla «riforma Maroni». Era perciò necessario fissare delle norme procedurali che consentissero ai fondi di adeguare statuti e regolamenti per partire fin dalla nuova data. La motivazione data da Ferrero in mattinata era molto chiara: «Considero grave che il governo proceda sul tfr senza tener conto del programma con il quale è stato eletto e dell’opinione di tutta la sua maggioranza». La risposta arrivava per bocca di Tiziano Treu (ideatore dieci anni fa del «pacchetto» che apri alla legalizzazione dei contratti «atipici»): «lo sviluppo dei fondi pensione corrisponde alla linea del governo, che prevede il ‘secondo pilastro’». Ma non risponde alla domanda: la «linea» attuale e il «programma» elettorale, in che rapporto stanno? L’opposizione di Ferrero ha subito scatenato una ridda di ipotesi su una possibile crisi di governo (la Cdl ha immediatamente chiesto di portare in aula il nuovo decreto, nella palese speranza di «mandare sotto» la maggioranza grazie al possibile voto contrario del Prc). Tanto più che tutta Rifondazione, a partire dal segretario Franco Giordano e dal capogruppo dei senatori, Giovanni Russo Spena, prendeva le difese del ministro ribelle: «siamo da sempre contrari – spiegava Giordano – alla previdenza integrativa; le modalità dell’intervento andavano definite con un accordo preventivo nella coalizione, perché non fa parte del programma di governo». A sgombrare il campo dagli equivoci interessati, arrivava una seconda nota di Ferrero, con cui precisava di aver «voluto segnalare un problema nella realizzazione del programma in merito ai fondi pensione; era infatti prevista l’attivazione di fondi pubblici presso l’Inps che, a oggi, non sono stati attivati». Si tratta di un «secondo pilastro» di natura pubblica, anziché privata, che potrebbe funzionare da alternativa per quei lavoratori che non vogliono destinare il proprio tfr ai «fondi negoziali». Il dissenso di Rifondazione, concludeva Russo Spena, riguarda «un caso specifico, ma non ci saranno le dimissioni del ministro».


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